MONSTER

2003111'Diseducativo  

 Il film è basato sulla storia di Aileen Wuornos, una prostituta accusata degli omicidi di sei uomini, condannata a morte e uccisa nel 2002 dopo aver trascorso 12 anni nel braccio della morte. Considerata la prima serial killer donna degli Stati Uniti, Aileen è una donna ferita dalla vita, che pensa di trovare una possibilità di riscatto nell’amore per la giovane Selby, ma finisce per precipitare in un baratro di violenza senza ritorno

Valori Educativi



Viene sviluppata la tesi della società come unica colpevole e la non responsabilità degli assassini-vittime nel governare il proprio destino

Pubblico

Diseducativo

Violenza insistita; una scena di tentato stupro, numerose scene di sesso, anche omosessuale, di cui un paio molto esplicite; frequente turpiloquio.
Il messaggio che viene trasferito al pubblico

Giudizio Artistico



Film sviluppato come la dimostrazione di una “tesi”
Interpretazione eccessiva e manieristica della Theron

Cast & Crew

Our Review

Violentata da un amico del padre ad appena otto anni, finita a fare la prostituta a tredici, cacciata dai fratelli che aveva contribuito a mantenere con la sua “professione” dopo la morte dei genitori, tradita e picchiata dagli uomini con cui aveva tentato di costruirsi una vita, quasi violentata e uccisa da un cliente, rifiutata da una società che non vuole darle una seconda possibilità. In una situazione come questa, sembra voler suggerire la pellicola, chi potrebbe davvero condannare Aileen Wuornos se si è trasformata in una omicida seriale?

Più che un film la pellicola a tesi scritta e diretta da Patty Jenkins è una arringa da avvocato, volta a dimostrare che la sua cliente (ops!, protagonista) non può essere accusata dei delitti che ha commesso, ma è solo una vittima della società, una società che commette il suo crimine supremo condannandola a morte.

Monster è uno degli esempi peggiori di quell’orientamento di pensiero, oggi purtroppo molto diffuso e denunciata dal filosofo francese Alain Finkelkraut, che divide il mondo in due categorie, carnefici e vittime, queste ultime, per definizione, prive di imputabilità in nome delle violenze subite. Un modo di pensare che, se tende a scagionare la vittima da ogni responsabilità, persino di fronte alle azioni più atroci, la priva nello stesso tempo del dovere/diritto proprio di ogni essere umano di compiere scelte esercitando il proprio libero arbitrio. Una tesi differente si affaccia per un breve momento, ma solo nelle parole della bigotta e razzista amica dei genitori di Selby, privata, così, di ogni credibilità.

Ed è proprio questa mancanza di scelta che viene più volte ribadita per Aileen, che compie il primo delitto per salvarsi la vita da un maniaco pronto a violentarla e ad ucciderla, ma anche per non privarsi dell’unica possibilità di felicità che ha intravisto per sé, nel rapporto con la giovane Selby. Di qui in poi i delitti si susseguono e anche se la regia fa un debole tentativo di mostrarci che non proprio tutti gli uomini sono pedofili e violentatori (come si sarebbe tentati di pensare fino a tre quarti della pellicola) ormai Aileen appare così offuscata e dipendente dal rapporto con l’immatura Selby da rendere impossibile un qualsivoglia giudizio sulle sue azioni.

Selby, una creatura debole, immatura e confusa di fronte alle proprie pulsioni omosessuali, oppressa da un ambiente familiare e sociale che tenta riportarla ad una squallida “normalità”, fa il salto verso l’ignoto di una storia con Aileen, convinta che la aspetti una romantica felicità, ma finisce per creare un rapporto di dipendenza destinato a perdere la compagna.

La storia tra queste due “perdenti”, poi, viene inizialmente valorizzata come espressione di amore e autenticità contro un mondo ottuso e cattivo, ma sembra poi declinarsi solo in continue sbronze e in un rapporto fisico che si vorrebbe forse antitesi tenera di quello costantemente violento con gli uomini, ma che appare in definitiva piuttosto squallido.

La pellicola si regge sull’interpretazione eccessiva e manieristica della Theron (per l’occasione opportunamente sfigurata dal make-up in perfetta trasformazione acchiappa-Oscar), sfrutta in modo furbo e capzioso anche l’invadente colonna sonora e svela subito, ad uno spettatore appena un po’ attento, il proprio disonesto tentativo di manipolare il pubblico.

La corte che condanna a morte Aileen alla fine non vuole accettare che lei, in condizioni diverse, “avrebbe potuto essere una bella persona”, ma non è certo su queste basi che si mette in discussione la pena di morte. È la via che con tanto più coraggio aveva percorso Dead man walking e che passa attraverso il riconoscimento del valore incommensurabile di ogni vita (quella di una pluriassassina come quella della più miserabile delle sue vittime), senza censurare scelte e colpe.

Se questo è il futuro del film-cronaca e di denuncia c’è davvero da preoccuparsi.

Elementi problematici per la visione: violenza insistita; una scena di tentato stupro, numerose scene di sesso, anche omosessuale, di cui un paio molto esplicite; frequente turpiloquio.

( la recensione è tratta  dal libro "Film di valore" di prossima pubblicazione presso le edizioni ARES, a cura di A. Fumagalli e L. Cotta Ramosino).

Autore: Luisa Cotta Ramosino

Details of Movie

Titolo Originale MONSTER
Paese Usa/Germania
Etichetta
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