SCRUBS

L’adolescenza è un’età incline all’intenerimento – romantico e non – e all’ironia. C’è una logica: i  ragazzi nascondono con l’ironia la “debolezza” del sentimento e mantengono insieme il gruppo di amici smussando con il sentimento gli eccessi ironici. Per fare centro su questo pubblico, dunque, i telefilm devono saper toccare contemporaneamente le due corde e giocare sul loro contrasto – almeno in teoria, infatti, è difficile ironizzare quando il cuore si fa sentire sul serio –. Friends è un esempio da manuale di questa tecnica di scrittura.

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Più un telefilm accelera nelle due direzioni – più, cioè, aumenta lo scarto tra il binario della presa in giro e il binario dell’emozione – più il sapore del racconto si fa sofisticato e sintonizzarsi con la storia diventa affare di nicchia, esperienza trendy. E’ il caso di Scrubs: medici ai primi ferri, serie di culto in onda sia su Mtv, sia sulla satellitare Fox. Ambientata in un ospedale losangelino chiamato, con urtante provocazione, “del Sacro Cuore”, la sit-com mescola patemi profondi (l’accesso all’età adulta dei giovani dottori, il loro essere gettati nella mischia del nosocomio, la malattia e la morte, la vecchiaia, l’abbandono) con un umorismo estremo, demenziale. In ogni episodio è come se una canzone dissacrante di Elio e le Storie Tese lasciasse affiorare, di tanto in tanto, palpiti struggenti estratti da un motivo degli 883. L’esito è una comicità caustica e filosofeggiante per una selezionata audience di venti/trentenni che si ritrovano in Internet e plaudono alla fiction in oggetto come qui cito alla lettera: “Se potessi dare 100 a questo telefilm lo farei. Mi “limito” a dare 10. Penso che (I Simpson a parte) nessuna mente umana poteva partorire di meglio, voglio dire, ca**o, è geniale, e poi non è solo comico, ragazzi, questo telefilm: ti dà anche occasione di pensare su tutto quanto sia vita: amicizia, amore, morte etc. In alcune occasioni commuove anche!!”.

Prima di entrare in sala operatoria la procedura antisettica obbliga il dottore ad un robusto lavaggio e strofinamento delle mani che in inglese si dice “to scrub”: di qui il titolo, vagamente allusivo al pelo e contropelo imposto dalla dura vita di reparto alla quale un tirocinante deve imparare a rassegnarsi. La relazione su cui la serie, giunta alla quarta stagione, fa perno è lo svezzamento dell’imberbe e fresco di studi John Dorian, detto J.D., ad opera del Dottor Cox, sergente di ferro tutto insulti, tirannica espressione della macchina ospedaliera il quale, sotto sotto, nasconde un cuore di panna, cioè di superstite idealismo.

Il punto di vista del giovane J.D. tira le fila del discorso. Le puntate sono prevalentemente intitolate al suo scoprirsi in un mondo abnorme e al suo farsene una ragione: “Il mio primo giorno”, “I miei due padri”, “Il mio Gesù personale”, “L’errore del mio migliore amico”. J.D. interviene con voce fuori campo a commentare le vicende di corsia, nonché le allucinazioni strampalate che sono il contrappunto demenziale ai momenti di tensione e che costituiscono la cifra stilistica della serie. Queste visioni irrompono senza preavviso e fanno da valvola di sfogo surreale davanti a un problema. Per esempio, l’onere di comunicare ai parenti il decesso di un congiunto può provocare a J.D. il sogno ad occhi aperti di se stesso in costume kabuki, intento a mettere in scena il triste messaggio con una rappresentazione da teatro giapponese, mentre al capezzale del defunto gli astanti applaudono entusiasti.

Una vena di autocommiserazione, spesso dolente, chiude con repentina virata le puntate, salvando il tutto – almeno in apparenza – dalla completa deficienza e dal cinismo onnidistruttivo. In effetti, alla radice, la serie asserisce – oltre che l’inanità del proceduralismo sanitario – il non senso dell’esistenza, l’assurdità della morte, l’agghiacciante banalità del dolore. Uno degli episodi più celebri si apre con questa constatazione di J.D.: “Il primo giorno mi hanno detto che, escludendo il reparto di maternità e il pronto soccorso, statisticamente, un paziente su tre ammesso in questo posto morirà qui dentro”. Dopo che le storie di tre pazienti assegnate ad altrettanti apprendisti medici si saranno inopinatamente concluse con la dipartita del malato, dopo che la statistica sarà quindi stata smentita al rialzo, J.D. ne concluderà quanto segue: “In giorni come questo, la cosa migliore da farsi è coglierne qualcosa, qualsiasi cosa”. Per esempio starsene distesi sull’erba fresca a guardare il cielo, proprio come il Nostro appare nel finale, seguendo il consiglio della sua anziana paziente appena morta per aver rifiutato la dialisi.

L’insistenza su tematiche sessuali e l’acido trattamento riservato ai valori del senso comune e della trascendenza fanno di Scrubs un prodotto pedagogicamente sconsigliabile e tuttavia culturalmente indicativo di quanto la televisione confeziona specificatamente per il target giovanile. Valgono a darne sintesi le frasi con cui Scrubs fu pubblicizzato al suo lancio: “+ clinico di ER; + cinico di Ally McBeal; + piccante di Sex and the City; + frizzante di Friends”.

 Per gentile concessione di Studi Cattolici

       

Autore: Paolo Braga

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