LA MEGLIO GIOVENTU’ RAI UNO (Ramosino, Orlandi)

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Verso la metà degli anni ’70, quando il cinema italiano si trovò ad affrontare un periodo di crisi, fu paradossalmente la sua concorrente più pericolosa, la televisione, a venire in suo soccorso: la Rai, infatti, attraverso investimenti anche piuttosto consistenti rese possibile la realizzazione di numerosi progetti destinati ad un duplice circuito cinematografico e televisivo, pellicole che ottennero poi riconoscimenti anche in ambito internazionale. Tra i risultati di questa operazione: L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, La strategia del ragno di Bernardo Bertolucci, ma anche, nel 1980, Maledetti vi amerò, opera prima di Marco Tullio Giordana, un regista colto e problematico, da sempre amante delle tematiche difficili e cantore di eroi contemporanei (come il Peppino Impastato de I cento passi).

Oggi forse la storia si ripete con La meglio gioventù, epopea italiana che abbraccia gli anni dal 1966 all’oggi, prodotta da Rai Fiction, programmata in televisione per la primavera, ma poi sparita dai palinsesti. Le sei ore del film, però, sono finite a Cannes nella sezione Un certain regard, ottenendo dieci minuti di applausi e il premio della Giuria. Così produttori e regista hanno deciso di tentare il cimento della sala cinematografica, proponendo una soluzione in due "atti", cioè due film di tre ore l'uno, che ha ottenuto un notevole successo in termini di pubblico; un esito che, oltre ad essere il meritato premio per un grande lavoro di ideazione e realizzazione, potrebbe essere un segnale positivo per il futuro del nostro cinema, se solo saprà osare, come in questo caso, investendo in storie di ampio respiro, superando la dicotomia fra i facili blockbuster natalizi e storie eccessivamente minimaliste e ipersoggettive. Il film di Giordana, per altro, verrà anche trasmesso sulla RAI in quattro serate, probabilmente in tardo autunno, consentendo ad un’audience ancora più vasta di confrontarsi con un progetto godibile sul piano narrativo, ma al contempo ricco di riferimenti e profondo su quello dello spessore umano e culturale. Nel caso, certamente auspicabile, di un successo pari a quello del grande schermo, si tratterà di un’indicazione incoraggiante per chi desidera che anche la fiction televisiva possa sollevarsi dalla mediocrità in cui talvolta tende a cadere per recuperare la sua vocazione a raccontare la realtà in tutta la sua ricchezza, sfruttando al meglio le risorse del medium che più pervasivamente è presente nella giornata di tutti.

            Tornando a La meglio gioventù occorre ricordare che si tratta di un progetto ambizioso, costato sei mesi di riprese, necessari per tradurre in immagini le ottocento pagine della sceneggiatura di Stefano Rulli e Sandro Petraglia, una sorta di sfida culturale al presente, che, senza rinunciare a raccontare alcuni snodi importanti della storia italiana degli ultimi quarant’anni, muove, però, da storie personali (quelle dei due fratelli Matteo e Nicola Carati, ma anche quelle di coloro che gravitano intorno a loro), divise tra la ricerca di un ideale e le sfide grandi e piccoli di ogni vita umana. E' una storia, bisogna dirlo, dichiaratamente di parte: la "meglio gioventù"  è la celebrazione dei sogni (ma anche delle delusioni) di coloro che erano i giovani intellettuali di sinistra, la borghesia progressista; il resto dell'Italia rimane sullo sfondo, come se non esistesse o non avesse incidenza sulla storia.

            Un cast estremamente azzeccato (Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Sonia Bergamaschi, Fabrizio Gifuni, Maya Sansa, Adriana Asti), che alterna riusciti momenti corali ad intensi assolo dei diversi personaggi è il plusvalore che garantisce il buon esito di tutta l’operazione.

Ma qual è, al fondo il nucleo di questa vicenda complessa e distesa nel tempo, che non teme di prendersi lo spazio (anche geografico, visto il riuscito e motivato percorre la penisola e le sue diverse realtà) per raccontare persone e avvenimenti?

Matteo (Boni) e Nicola (Lo Cascio) sono due fratelli, molto diversi ma uniti dai sogni giovanili che condividono con Carlo (Gifuni), giudizioso compagno d’avventura destinato ad un brillante futuro da economista; l’estate in cui li conosciamo sarà decisiva per tutti loro; per Nicola, che affronta con successo il primo esame di medicina, ma anche per Matteo, appassionato di letteratura e fotografia, inquieto al punto da mandare all’aria un brillante futuro accademico, anche sull’onda del suo incontro con Giorgia, una ragazza ricoverata in ospedale psichiatrico. Nella malattia di lei, il ragazzo vede un’ingiustizia da combattere personalmente, ma allo stesso tempo riconosce nell’inerzia della ragazza tutta l’amarezza per i suoi stessi limiti. La fuga dall’ospedale, il coinvolgimento di Nicola, il viaggio lungo la penisola trasformano la vicenda in una sorta di road movie che ha lo scopo di svelare la natura profonda dei personaggi. Mentre Matteo rincorre una libertà assoluta, è insofferente alle regole e alle ingiustizie cui reagisce con scatti di improvvisa violenza, Nicola preferisce forzare gradualmente i confini delle leggi e la sfera personale di chi incontra, convinto che la libertà risieda piuttosto nell’accettazione di sé e degli altri anche nei loro limiti. Quando infine i fratelli si separano (fisicamente e spiritualmente) il momento ha il sapore di un incontro con il destino: a un Nicola assetato di libertà ed esperienze si contrappone un Matteo che sceglie regole e disciplina come rimedio alla sua fragilità.

Nicola, da parte sua, gode il vantaggio della “simpatia” nel senso etimologico del termine: il suo atteggiamento verso il mondo è di amorevole tensione all’incontro e la realtà, da parte sua, sembra, in questa prima fase della sua vita, rispondere alla sua apertura con bellezza e fascino, come nell’incontro con Giulia, giovane e talentuosa torinese che diverrà la sua compagna.

Al contrario Matteo, che pure è dotato di grande sensibilità, di intuizione e di intelligenza, è penalizzato quando si tratta di entrare in sintonia con il mondo. Sceglie, così, una strada che appare “ascetica”, non però nel senso religioso del termine (anzi proprio Matteo è il personaggio che verbalizza quel rifiuto del religioso che, pur non dichiarato, è senza dubbio una delle note dominanti del film), ma presa di distanza dal mondo, rinuncia ad una realtà che gli si nega come disponibilità piena e che lui, dunque, sceglie di cogliere e “controllare” prima attraverso un’uniforme e più avanti con la lente di un obiettivo fotografico.

Gli anni passano, ma l’indole di Matteo e Nicola rimane come “cristallizzata” nelle loro diversità e complessità, mentre il mondo intorno a loro va incontro a cambiamenti che finiscono per incidere sulla loro vita, così come fu per tanta "meglio gioventù" di quegli anni. Nicola si dedica ai malati mentali e incanala le sue energie sulla figlia e su un legame affettivo traballante.

Matteo, prima militare e poi poliziotto, vive sulla sua pelle le tensioni di uno Stato in lotta prima con i suoi stessi cittadini (i disordini operai a Torino), poi con la Mafia in Sicilia; lì è “fotografo” della polizia, destinato a immortalare con freddezza i delitti più atroci, come se solo la mediazione dell’apparecchio gli permettesse di affrontare il dramma della vita.

Gli eventi precipitano in un lungo periodo di difficoltà che riguardano il Paese (gli anni della crisi industriale e la nascita del terrorismo), ma anche la vita dei due fratelli: Giulia lascia Nicola e la figlia per unirsi alle Brigate Rosse, lui non sa o non vuole fermarla per una malintesa volontà di rispettare la libertà della donna. Matteo, infatti, che dei due è il più fragile pur nella sua apparente freddezza, non sa affrontare l’imprevisto che gli sconvolge la vita nella persona di Mirella, una ragazza conosciuta in Sicilia, ricomparsa a Roma e dolcemente (ma insistentemente) desiderosa di vincere il suo riserbo. Il dramma del giovane chiuso dietro ad un muro di solitudine profonda, dal quale sorveglia la vita, è quello di chi cerca disperatamente di tenere lontano il mondo e la gente per evitare di soffrire, ma finisce per alienarsi ogni possibile felicità.

E così, attraverso drammi personali sospesi al corso di eventi ormai divenuti storia, si arriva ad una nuova generazione, portatrice di un’eredità fatta di desideri, sogni, rimpianti e dolori. Il desiderio di libertà in essa sembra tradursi nella scelta di una precoce indipendenza, nella volontà di camminare con le proprie gambe, recuperando il passato anche attraverso il perdono, come Sara, la figlia di Nicola, che decide di rivedere la madre Giulia -scomparsa per lei da anni- prima di sposarsi.

Quest’ultima è una lezione che coinvolge anche la generazione più matura: Nicola e Mirella, uniti e divisi dall’amore per Matteo, sono l’immagine di chi non rinuncia a cercare la felicità a dispetto degli errori e delle mille occasioni perdute.

Proprio il lungo epilogo del film, che cerca di ricomporre ricordi e orizzonti futuri in un giudizio positivo sulla realtà e sulle persone, suggerisce una tensione che forse va oltre le intenzioni dell’autore e lascia intuire un’inattesa apertura al trascendente. Il giudizio di bene e di “misericordia” espresso nelle ultime scene, infatti, potrebbe apparire quasi troppo pacificatorio nell’ottica tutta immanente che la vicenda sembra decisa a sostenere. Ma forse proprio questo tradimento della “laica” visione del mondo che regna nel film, è lo spazio in cui possiamo riconoscere la tensione così pienamente umana ad un “oltre”, capace di dare senso e bellezza (non nel puro, ma infine povero significato estetico del termine) alla vita e ai dolori di tutti e di ognuno, agli errori e ai desideri così ben raccontati dal film di Giordana, insegnando a rispettare la libertà degli altri, ma anche ad educarla, venendo incontro alla realtà per amarla e costruirla. Ed è questo impegno nei confronti del reale che la pellicola riesce a comunicare al pubblico chiamato a lasciarsi coinvolgere da una vicenda che rinuncia agli usuali elementi di appeal televisivo (un giallo, una storia d’amore convenzionale,…) per percorrere la strada, più difficile, ma affascinate e di fatto efficace, di un discorso personale ed universale saldato nella verità e coerenza dei personaggi.

 

Per gentile concessione di:     Studi Cattolici

     

 

Autore: Luisa Cotta Ramosino e Claudia Orlandi

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Titolo Originale LA MEGLIO GIOVENTU'
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