COUS COUS

Slimane, immigrato nordafricano ben integrato, dopo anni di lavoro nei cantieri della cittadina portuale di Sète, vicino a Marsiglia, in fase di ristrutturazione aziendale viene licenziato senza pensione. Deciso a non lasciarsi andare, Slimane decide di mettere su un ristorante a bordo di una barca abbandonata, nel quale servire il famoso cous cous che ogni domenica la sua prima moglie (Slimane ha divorziato e ora vive in una camera in affitto, ha una relazione con un’altra donna e fa da padre a Rym, la figlia di lei) prepara per tutta la famiglia. Ma l’impresa non è priva di difficoltà e a Slimane servirà l’aiuto di tutti i suoi congiunti.

Valori Educativi



Al di là di alcuni elementi di crisi e disgregazione (alcuni tradimenti e divorzi) il film individua proprio nel nucleo familiare l’unica possibilità di radicamento esistenziale, al di là della provvisoria e fragile situazione lavorativa ed economica.

Pubblico

18+ Alcune scene di nudo, una scena a contenuto sessuale

Giudizio Artistico



Il film richiama la forza espressiva del nostro neorealismo,con cui condivide il rigore di una messa in scena essenziale, in cui la scelta delle inquadrature mira ad esaltare volti e gesti dei personaggi

Cast & Crew

Our Review

Il franco-tunisimo Kechiche, che si era creato un piccolo seguito di ammiratori con il suo film precedente, La schivata, trova con questa pellicola il modo giusto per raccontare, con semplicità e partecipazione, una saga familiare capace di rievocare la forza espressiva del nostro neorealismo,con cui condivide il rigore di una messa in scena essenziale, in cui i movimenti di macchina e la scelta delle inquadrature mirano ad esaltare volti e gesti dei personaggi, facce segnate e vere, lontane da ogni pittoresco gusto di una rappresentazione di maniera.

Senza ricorrere a facili patetismi, ma seguendo da vicino le mosse dell’anziano e tenace Slimane, il regista ci fa entrare nella povera vita quotidiana di questi immigrati di seconda generazione, francesi a tutti gli effetti, e tuttavia ancora ben lontani da una piena integrazione (ne è prova evidente la diffidenza delle istituzioni nei confronti dell’iniziativa di Slimane).

Colpisce, in questo ritratto di famiglia, al di là degli elementi di crisi e disgregazione (il matrimonio infelice del figlio di Slimane con una giovane russa, da lui ripetutamente tradita con la connivenza della madre, lo stesso divorzio di Slimane, che pure conserva un legame fortissimo con la prima famiglia), la chiarezza con cui si individua proprio nel nucleo familiare l’unica possibilità di radicamento esistenziale, al di là della provvisoria e fragile situazione lavorativa ed economica.

Per questa gente eternamente precaria rispetto al suo mantenimento e al suo futuro, infatti, non viene però mai meno la certezza che i legami di sangue (ma non solo questi, dal momento che anche l’affetto profondo che lega Slimane alla giovane Rym è la forza propulsiva che consente al vecchio di credere nel suo sogno), le radici, e i gesti di una tradizione comunitaria rappresentano un sostegno contro gli attacchi di una cultura troppo spesso dimentica dell’uomo e del valore della persona.

Slimane, “buttato via” dopo anni di duro lavoro, intuisce che il progetto di creare un ristorante che riproduca il calore e il profumo delle sue domeniche in famiglia, è il modo di ridare unità ai suoi cari (e forse anche, per il futuro, allargare quell’abbraccio a Rym e a sua madre), ma anche di offrire alla città un esempio di vita diverso.

Spinto da una naturale e testarda determinazione, ma soprattutto affiancato dall’energia giovanile di Rym, che desidera disperatamente un padre e spera prima o poi di riuscire a superare la diffidenza della prima famiglia di Slimane, il protagonista incarna un baluardo di semplicità (non priva di contraddizioni, naturalmente) contro la supponente ipocrisia di chi prima lo allontana dal lavoro e poi gli mette di fronte mille piccoli e apparentemente insormontabili ostacoli.

Il ritratto della comunità di immigrati magrebini di seconda generazione (in cui non mancano interessanti incroci con altre “minoranze”: italiani, russi, …) ha il merito di andare oltre gli stereotipi buonisti che tanto ama il cinema italiano di oggi; si coglie con efficacia la forza dei legami familiari a cui gli immigrati sembrano tenere molto più degli smaliziati francesi purosangue, ma anche le contraddizioni di un cultura tendenzialmente maschilista (i tradimenti del figlio maggiore nei confronti della moglie sono guardati con indulgenza) pur se sostenuta dall’energia di figure femminili molto presenti e significative.

L’ultima parte del film (dominata dal momento della cena a base di cous cous che dovrebbe lanciare il ristorante tra gente bene della cittadina) sintetizza poi tutti i temi della pellicola: gli sforzi comuni, ma anche le piccole meschinità che rischiano di mandare tutto all’aria, la spontanea iniziativa di Rym, che prende tempo grazie ad una sensuale danza del ventre, ma pure la malinconia che sembra indissolubilmente legata alla figura di Slimane.

E forse a sigillo di tutto può essere preso il gesto di carità della ex moglie del protagonista che, per invocare lo sguardo buono di Dio sulla sua famiglia, va in cerca di un povero a cui offrire una pasto caldo.

Nessuno può prevedere quale sarà il futuro della famiglia di Slimane, ma è certo che, in una società come quella francese – in cui decenni di convivenza non impediscono periodici rigurgiti di reciproca diffidenza e in cui lo statalismo laico non ha mai risolto il problema dell’identità religiosa e culturale – il racconto di Kechiche riesce a trovare una chiave universale per raccontare un dramma umano che colpisce e commuove nel suo andare al cuore dell’esigenza di felicità presente in ogni uomo.

Autore: Franco Olearo

Details of Movie

Titolo Originale La Graine et le mulet
Paese Francia
Etichetta
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