WORLD INVASION

120 min14+  

Rifacimento del più fortunato Independence Day: di fronte all'arrivo di alieni proprio tanto cattivi, non resta che affidarsi ai prodi marines. Film di pura action, dove non resta che prenderlo per quello che è: un film d'intrattenimento senza troppe pretese


Valori Educativi



Pubblico

14+

Per intense scene di battaglia e per alcune scene di crudeltà nei confronti degli alieni

Giudizio Artistico



Cast & Crew

Our Review

Esistono gli alieni? Diamine se esistono, anche se nessuno è mai riuscito a mostrarne uno. E la prova più lampante ed incontrovertibile della loro esistenza l’ha storicamente fornita il cinema di fantascienza americano. L’ultima puntata di questa saga commercialmente fortunata e praticamente inesauribile è World Invasion di Jonathan Liebesman.
Storia davvero da manuale. Arrivano gli alieni cattivi, davvero cattivi. Qualcuno dovrà pure fronteggiarli. Ad incaricarsi dell’ultima disperata difesa è il moderno «settimo cavalleggeri», cioè il corpo dei «marines» degli Stati Uniti. Non ci sono più giacche blu e strisce gialle, cavalli e fucili a ripetizione. Adesso il plotone di eroi indossa la mimetica ultra-tecnologica e imbraccia armi prodigiose. La tutela delle colline di Hollywood non è meno importante di quella epocale della fortezza di Alamo. Da lì passava la sopravvivenza nazionale.
Adesso il compito è un tantino più difficile: la posta in gioco è il pianeta terra. I nemici sono piovuti dal cielo come meteoriti e la battaglia sulla carta appare segnata. Con i «marines» in campo, però, mai dire mai.  Finalmente gli alieni sono approdati sulla città degli angeli. Un’avvisaglia del loro imminente arrivo gli abitanti di Los Angeles la ebbero pochi mesi dopo l’attacco giapponese alla flotta statunitense di stanza a Pearl Harbor. Non si trattava di una burla di Orson Welles, tipo la finta radiocronaca dello sbarco dei marziani. Un’incursione dell’aviazione giapponese era data per certa, e si prevedeva avvenisse di notte. L’allarme partì. L’incubo dei cittadini fu pari alla prontezza dell’artiglieria antiaerea nello sparare cannonate all’indirizzo del cielo. Nessun nemico però volteggiava nell’alto. Cosa era successo? Errore umano, precipitazione dettata dalla paura, o mistero? I giornali si scatenarono. Quando si fissa la data del primo contatto extraterrestre, avvenuto come da manuale a Roswell, New Mexico, nel luglio del 1947, per la caduta di un disco volante con dentro corpi alieni, bisogna sempre ricordare la notte di Los Angeles del 1941. La mobilitazione venne decretata per fronteggiare un’invasione extraterrestre. L’allarme fasullo, sostennero a guerra finita le autorità militari e governative, fu determinato da alcuni palloni meteorologici. Spiegazione alla quale gli ufologi non hanno mai prestato la minima fiducia. Gli unici danni dell’invisibile (e inesistente) invasione giapponese (o aliena) furono causati dal «fuoco amico». Le vittime (tre) caddero non per attacco aereo (o da disco volante), ma per attacco cardiaco. La causa: choc emotivo da cannonate.

Nel 1979 Steven Spielberg immortalò la grottesca «invasione» in un piccolo e divertente capolavoro, 1941: Allarme a Hollywood, con l’indimenticabile John Belush inei panni di un capitano d’aviazione. Quindi gli alieni che dovevano arrivare a Los Angeles in una notte stellata, si son fatti vedere (sullo schermo) settant’anni dopo. L’apparizione degli alieni continua a tenere banco senza sosta. È di pochi giorni fa la rivelazione (l’ennesima) di documenti dell’FBI che accerterebbero l’esistenza di corpi extraterrestri e navicelle spaziali custoditi in gran segreto dalle autorità statunitensi.
L’esistenza, come si ricorderà, veniva comunicata all’ignaro presidente americano (un giovane e atletico pilota da guerra) in Independence Day (1996) di Roland Emmerich, fra i successi più clamorosi al botteghino degli ultimi venti anni. E immediatamente, dovendo fronteggiare un attacco extraterrestre,  chiedeva di recarsi nel deserto per prendere diretta visione dei mostruosi nemici. Insomma, il mito degli alieni non smette di affascinare e convincere. Anche Stephen Hawking, dall’alto della cattedra a Cambridge ereditata addirittura da Isacco Newton, prima giurò, secondo scienza, che non esistevano. Poi ci ha ripensato: sempre secondo scienza ne ha sentenziato l’esistenza. Infine ha detto parole molto sensate: lasciamoli stare, non li stuzzichiamo. Se ci scoprono e sono come noi, potrebbe finire come in Avatar.

La questione attirò anche le riflessioni di Enrico Fermi. Il «papa» seduto a tavola affermò sicuro: non ci sono dubbi che, calcolo matematico alla mano, esistono. Poi si rabbuiò, proseguendo perplesso: ma perché non si fanno vedere? In attesa che si presentino al nostro cospetto, accontentiamoci di vederli seduti comodamente sulla poltrona. Sullo schermo riusciamo sempre a rimandarli indietro. Non è detto che nella realtà ne saremmo capaci. 

 

Autore: Claudio Siniscalchi

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