VIZIO DI FORMA

2014148 min18+  

South-California, 1970. Doc Sportello, uno strano hippie che porta basettoni enormi, impegnato a tempo pieno a fumare erba e  detective privato a tempo perso, riceve la visita di una sua ex ragazza, Shasta Fey che non vedeva da tempo. Diventata l’amante di Wolfmann, un ricco imprenditore edile, Shasta teme che la moglie e il suo amante vogliano internarlo per accaparrarsi  il suo matrimonio. Doc inizia ad indagare ma le cose si mettono subito male: le sue indagini iniziano da un ambiguo centro massaggi dove cade svenuto per un colpo in testa. Al suo risveglio si ritrova accanto al cadavere di uno dei guardiaspalle di Wolfmann e l’ispettore Bigfoot del Dipartimento di Los Angeles, lo ritiene fortemente indiziato…

Paul Thomas Anderson, già autore di “Magnolia” ha trovato una sua formula originale per ritornare con ironia ma anche con simpatica nostalgia alla California del 1970, ai tempi “allucinati” dei figli dei fiori ormai al loro tramonto. 


Valori Educativi



Ben pochi valori sono presenti in questo film: fumare l’erba è un’occupazione abituale, si fa grande consumo di sesso, gli affari più loschi sono consumati nelle alte sfere. Solo il protagonista Doc sembra avere un unico interesse: ritrovare l’amore che lui e Shasta ebbero in gioventù

Pubblico

18+

Turpiloquio, uso di stupefacenti, una sequenza di nudità integrale femminile, un rapporto intimo prolungato, molte allusioni sessuali

Giudizio Artistico



L’autore costruisce un’opera-caledoiscopio dai molti ambienti e dai molti personaggi con pennellate cariche d’ironia, non certo per ricostruire un rigoroso thriller ma per realizzare un affresco un po’ malinconico sul “come eravamo”

Cast & Crew

Our Review

Le canzoni di sottofondo di Neil Young, Doc Sportello disteso sul divano di casa con lo sguardo sperduto nel vuoto per l’effetto di non si sa quale e quanta erba, l’apparizione di Shasta Fey con i capelli lunghi e lisci come quelli di Ali  MacGraw in Love Story, uscito appunto nel 1970, suggeriscono da subito allo spettatore il ritorno a un’epoca ormai cristallizzata in un mito, quello delle conquiste dei figli dei fiori (libertà sessuale, uso sistematico di  allucinogeni e musiche psichedeliche). Un’epoca che proprio nel 1970 stava morendo: Los Angeles era ancora sotto shock per gli omicidi rituali della setta di Charles Manson e si assisteva  a un generale riflusso alla normalità, sotto il mandato  del presidente di Richard Nixon. Il film richiama spesso le tensioni di quell’epoca, fra chi era ancora ancorato all’ideologia hippy e chi aderiva a movimenti reazionari come i Vigilant California, ma Paul Thomas  Anderson lo fa con il filtro dell’ironia e con una nostalgia di fondo (sono gli anni della sua stessa giovinezza vissuta nel  Golden State).

Lo spettatore cerca all’inizio di seguire la pista investigativa ma l’impresa si rivela presto inutile: il film non avanza per merito delle indagini del detective Doc ma  bisogna lasciarsi andare e seguirlo in questo viaggio un po’ pazzo fra centri di massaggio che fungono da luoghi di appuntamento, ville di ricchi imprenditori con ampia piscina centrale e ragazze sempre disponibili nei confronti degli ospiti di passaggio, sontuose cliniche odontoiatriche per chi si deve far ricostruire i denti, problema tipico di chi fa abuso di droghe. Una sorta di viaggio nell’Inferno di Dante ma forse è meglio ricordare le stravaganti tappe del viaggio lungo il fiume del film Apocalypse now.

In parallelo all’esplorazione dei luoghi si sviluppa un’esplorazione dell’umano: incontri e dialoghi con uomini e donne alquanto stralunati ma sempre ben disegnati, come l’ispettore Bigfoot (Josh  Brolin ) perennemente frustrato per non esser stato apprezzato come attore in serial polizieschi o Coy Harlingen (Owen  Wilson ) che sente il dovere di fare qualcosa per la sua patria e lavora come infiltrato salvo cercare ogni momento di sapere come sta la sua donna e sua figlia. Il film cresce progressivamente come un racconto collettivo alla Robert Altman, il maestro riconosciuto di Paul Thomas  Anderson. Joaquin  Phoenix (Doc) è la bussola di questo viaggio, indimenticabile nella sua pigrizia sorniona, desideroso solo di una serata tranquilla per farsi magari la sua fumatina d’erba ma costretto invece a ritrovarsi schiacciato in un ingranaggio che lo porta ai piani alti del potere.

Il caleidoscopio di ambientazioni, personaggi, suggestioni di un’epoca passata che Paul Thomas  Anderson è riuscito a creare mostra anche un’anima segreta, una corda in più che il registra è riuscito a far vibrare.  Doc e Shasta hanno un’intesa (sarebbe difficile chiamarlo amore: sono due persone che vivono la loro vita e che ogni tanto si ritrovano insieme) fatta quasi di niente ma molto profonda.  Si incontrano solo due volte nel film: all’inizio e poi quasi verso la fine e non ci sono molte parole fra loro né ce ne sarebbe bisogno: è un intendersi che deriva dal passato trascorso insieme, nell’aver condiviso quel mondo che li ha visti protagonisti e che ora sta finendo.

Se non ci fosse stata questa “parentesi rosa” il film sarebbe stato solo un insolito triller, un po’ complicato in verità anche se divertente. L’incontro fra i due amanti, anche se fra loro continuamente negano di essersi rimessi assieme, mostra due persone che si pongono uno a fianco dell'altra  per il solo piacere di stare vicini; la sequenza di loro due che passeggiano in silenzio lungo la spiaggia della California potrebbe riferirsi al loro oggi o essere un ricordo della loro relazione giovanile;  un romantico  spleen dove, chissà, c’è qualcosa di autobiografico da parte dell’autore.

Autore: Franco Olearo

Details of Movie

Titolo Originale Inherent Vice
Paese USA
Etichetta
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