LE CROCIATE

Francia 1184. Balian è il maniscalco di un piccolo villaggio che ha perso in modo tragico  la moglie e il figlio. Il nobile Goffredo di Ibelin, in cammino per andare a combattere in Terrasanta, gli confessa di essere suo padre e lo invita a unirsi a lui. Balian è incerto ma dopo che ha ucciso un sacerdote fellone, accetta di partire perché gli è stato detto che andare in Terrasanta si ottiene il perdono da tutti i peccati.  Goffredo, ferito mortalmente in un'imboscata, nomina  Balian cavaliere ed erede del suo titolo. Arrivato a Gerusalemme, il giovane scopre che il fronte dei crociati è diviso fra chi cerca di mantenere una convivenza pacifica con il Saladino come aveva fatto suo padre e chi invece fa di tutto, con attacchi proditori, per  arrivare allo scontro....

Valori Educativi



Il film individua nella fede religiosa la causa principale delle guerre in Medio Oriente. Utilizzo ingannevole di un film destinato al grande pubblico dove si deforma la storia per portare avanti le tesi del regista

Pubblico

18+

Cruente scene di battaglia con molto sangue ma senza dettagli. Occorre una buona preparazione storica per poter cogliere la malafede del regista che porta avanti le sue tesi distorcendo la storia

Giudizio Artistico



Spettacolari scene di battaglie e di assedi. Manca il protagonista dominante

Cast & Crew

Our Review

Per film storico  si intende in genere una narrazione (sicuramente romanzata per esigenze di spettacolo e di semplificazione) che ci consente, se la ricostruzione è stata sufficientemente accurata,  di comprendere comportamenti passati allo scopo di  riverberare alcune riflessioni valide per il  presente. Il tema delle Crociate si presta ottimamente a questo scopo: si è trattato di un fenomeno molto complesso che come tutte le realtà umane ha visto grandi ideali misti a profonde scelleratezze.  Esse si sono collocate in un periodo storico dove lo scontro fra due civiltà era evidente e drammatico: alla fine dell’anno mille i mussulmani erano ancora stabilmente insediati in tutta la Spagna meridionale, in Sicilia, Sardegna, Corsica, Creta e Cipro e solo all’inizio del nuovo millennio  l’Occidente cristiano era riuscito ad avviare una lento recupero del Mediterraneo. Il tema della Palestina e i non risolti conflitti di oggi avrebbero dato buon estro a una interessante riflessione.

Diciamo subito che Ridley Scott (Il gladiatore, Blade Runner, Thelma e Luise, Black Hawk Down)  ha realizzato un  film che non  rientra  nel  genere sopra descritto. Con una tendenza che si era già manifestata nel Gladiatore, il regista non ha nessuna intenzione di scavare nel passato;  il suo gusto per le immagini di grandiose battaglie a cui l’immaginifico medioevale ben si presta farebbero pensare all’appartenenza di questo film al genere Fantasy (le sequenze finali dell’assedio di Gerusalemme assomigliano come gocce d’acqua all’ultimo Il signore degli anelli – il ritorno del re)  ma anche questa conclusione è errata perché Scott non è interessato a trasmettere suggestioni di un mondo che non c’è;  egli ha una sua precisa idea di quali sono i mali del Medio Oriente  e cerca di trasmettercela fruttando con molta disinvoltura i riferimenti storici di cui può disporre.

Per Scott i mali che ora come allora affliggono la Palestina dipendono da quel maledetto vizio che hanno gli esseri umani nel credere a qualche fede che veda nel soprannaturale il suo riferimento. Il film non si limita a condannare il fanatismo che sicuramente è  esistito in quel periodo da entrambe le parti ma mette alla berlina in modo indistinto tutti quelli che guardano verso l’alto. Sarebbe stato molto più opportuno conservare anche per la versione italiana il titolo originale di  “Il regno dei cieli” per preservare tutto l’ironico disprezzo che il regista intendeva sottolineare verso l’argomento religioso.

L’elevata esemplicazione ideologica che attua il regista (i cattivi sono molto cattivi, fra cui tutti i sacerdoti, i vescovi e i religiosi) fanno collocare questo film, a mio avviso, nel genere della satira. Nella satira gli avversari della ideologia che si intende sostenere sono deformati, sono beffeggiati, nulla hanno di realistico.  Farenheit 7/11di Michael Moore è stato un documentario satirico su George Bush dove almeno l’autore ha avuto l’onestà di dichiarare quello che stava facendo; più subdola e in malafede è stata l’operazione di Ridley Scott: produrre un blockbuster di grande attrattiva verso il grande pubblico per trasmettere le sue personalissime idee. Per questo motivo si tratta di un prodotto ingannevole nei confronti dei più giovani, di quelli almeno che non sono ben informati  sul tema delle crociate ma sopratutto sulle malizie con cui oggi vengono manipolati i media. Per queste motivazioni il film è stato giudicato per “Maggiorenni” anche se in realtà andrebbe, più semplicemente, sconsigliato.

Fortunatamente il  film è alleggerito da grandiose scene di battaglia e dall’intreccio amoroso fra Balian e  Sibylla, principessa di Gerusalemme, perché se così non fosse, se si fa attenzione ai dialoghi, ci troveremmo di fronte a una lunga ininterrotta arringa (Remo Nepoti su Repubblica parla di continui “spot ideologici)” su quella, che in un editoriale  apparso su questo stesso settimanale, è stato definita come la “religione dell’umano”: professare cioè che i giudizi della propria coscienza, i principi etici a cui ci atteniamo debbono avere una radice esclusivamente personale e immanente.

Sin dalle prime sequenze  il cattivo è un sacerdote che deruba il cadavere della moglie di Balian, il quale finisce per ucciderlo. Con molta ironia si racconta poi come il giovane maniscalco decida di  andare  a combattere in Terrasanta perché gli verranno perdonati tutti i peccati, anche se lui non è affatto pentito. Lungo la strada alcuni monaci incitano i soldati: “Dare morte a un infedele non è un assassinio ma è la via al Paradiso!”. Un cavaliere dell’ordine degli ospedalieri, che Balian ha avuto modo di apprezzare per la sua saggezza, gli confessa candidamente  “Non credo in nessuna religione: la santità consiste nell’agire correttamente, secondo coscienza”.
Sia nel campo dei crociati che in quello mussulmano si fronteggiano in modo quasi schematico da una parte i fanatici, che vorrebbero combattere a tutti i costi “Perché Dio lo vuole” e dall’altra coloro che usano il buon senso: “Certamente è  Dio che determina l’esito delle battaglie, ma anche l’acqua, l’addestramento delle truppe,…”.
Una strano atteggiamento assume proprio l’eroe della vicenda: Balian. Il re di Gerusalemme, che fa parte  della categoria dei “buoni”, pensa di condannare a morte Guido di Lusignan, marito di sua sorella Sibylla perché ha rotto la tregua con il Saladino; offre pertanto a Balian, se quanto detto accadrà,  l’opportunità di sposare Sibylla. Il neo cavaliere rifiuta dichiarando che “Bisogna costruire un regno di rettitudine o niente”. Si tratta certamente di una nobile risposta da parte sua, ma il giovane  ha evidentemente un concetto un po’ personale di rettitudine, visto che poche sequenze prima aveva avuto un incontro amoroso con Sibylla, anche se sposata. Si tratta quindi, più che di un nobile cavaliere,  solamente di un giovane un po’ testardo ed ipocrita. Se ci sta venendo il sospetto che Scott, con l’enfatizzare il concetto che ognuno è giudice di se stesso, voglia caldeggiare una sorta di relativismo etico, ci pensa lui stesso a sciogliere ogni dubbio, dimostrandosi a favore della così detta “opzione fondamentale” : Sibylla ,dopo la decisione di Balian che abbiamo visto prima gli rimprovera che “Arriverà un giorno che preferirai aver fatto un po’ di male per un bene superiore.”.

Le fasi finali del film ci mostrano l’armata del Saladino assediare Gerusalemme, difesa ormai solo da Balian. E’ uno dei momenti più antistorici del film: Balian dichiara di combattere non per i cristiani né per i mussulmani ma per il popolo di Gerusalemme: concetto un po’ astratto e generico, a metà fra la polis ateniese e la costituzione americana.  Anche in questo caso non manca il vescovo di turno che viene tratteggiato in modo ridicolo e ipocrita: suggerisce a Balian di scappare attraverso una porta segreta e quando quest’ultimo  gli obietta che in questo modo la popolazione di Gerusalemme sarebbe rimasta in mano ai saraceni, il vescovo ha subito pronta la risposta: “E’ una vera sfortuna per il popolo ma è la volontà di Dio”. Quando ormai la sconfitta è certa, ecco che ritorna lo stesso vescovo che  ha nuovamente trovato una soluzione: “Convertitevi all’Islam, vi pentirete dopo”. “Vescovo, ho imparato molto dalla sua religione”, gli ribatte giustamente Balian.

Il manicheismo del regista è tanto stridente in quanto la figura del Saladino ci appare  magnanima e generosa: si commuove nel vedere i corpi dei suoi soldati caduti e quando,  entrando nella Gerusalemme ormai conquistata, trova un crocifisso per terra, lo raccoglie  rispettosamente e lo rimette al suo posto.

Il film, grazie a  massicce iniezioni di computer grafica, riesce a regalarci scene grandiose dell’assalto a  Gerusalemme vista dall’alto e di campi di battaglia dove migliaia e migliaia di soldati, generati elettronicamente, si danno battaglia. Il film ha tuttavia, sopratutto se confrontato con il Gladiatore,  un grave difetto: la mancanza di un valido protagonista:  Orlando Bloom non è Russel Crowe; inoltre  il personaggio di Balian sembra essere poco più che il collante della storia e non mostra nessuna evoluzione interiore, congelato com’é nella sua purezza (teorica) di cavaliere senza macchia e senza paura. Bravi invece l’attore siriano Ghassan Masoud nella parte del Saldino e Jeremy Irons nella parte di Tiberias.v

Autore: Franco Olearo

Details of Movie

Titolo Originale Kingdom of Heaven
Paese USA/GB/Spagna
Etichetta
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