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Our Review

Non è oro tutto ciò che luccica. Nemmeno un telefilm che rispolvera il rapporto tra genitori e figli è necessariamente buona televisione. Per questo, non bastano la tematica familiare né il recupero dei buoni sentimenti a fare di Everwood  quello che la critica, compatta, vi ha visto: una serie americana scritta come si deve, per grandi e per piccini, da trasmettere prima del telegiornale.

Uno dei neurochirurghi più quotati del globo vive a New York con moglie, figlio quindicenne e figlia in età elementare. Un incidente, nel primo episodio, priva tragicamente il dottor Brown della moglie e lo induce a mettere in discussione il modo assenteista con cui egli ha fino ad allora interpretato il suo ruolo di padre, esclusivamente dedito alla professione. Lacerato dal dolore, rimpiangendo, ora che non è più possibile, il tempo che avrebbe potuto dedicare alla donna che amava, il luminare abbandona per sempre la carriera e si trasferisce con i figli in una scenografica cittadina sulle montagne del Colorado, Everwood, dalla quale lo show prende il titolo.

Paesaggi montani incontaminati e contesto sociale che ignora l’anonimato della metropoli, foreste e usanze da piccolo mondo antico, preparano allo spettatore atmosfere accoglienti.  La serie spaccia la villeggiatura per vita di tutti i giorni e ciò mette di buon umore il pubblico: chi segue la fiction, infatti, sa in cuor suo che per il Mandrake del bisturi, tornato nel frattempo a credere nel rapporto umano con il paziente, il nuovo impiego da medico condotto di Everwood è una passeggiata. Messo a fianco di Brown, cioè, lo spettatore è invitato a godersi il bello del contatto con la gente in una località che non conosce traffico né stress. Aggiunge brio alla vicenda la concorrenza tra Brown e il collega che da anni esercita in loco.

Sono le premesse ideali per una serie cosiddetta “familiare” ed Everwood per metà lo è: ci sono le scene in cucina, il medico alle prese con i fornelli mentre i figli attendono scettici la cena; ci sono le scene di buon vicinato, con la dirimpettaia che prende in custodia la piccola Brown quando il padre è chiamato a curare una pertosse; ci sono le  riunioni domenicali in chiesa, la comunità raccolta in ascolto del sermone del reverendo.

Venti anni fa Everwood sarebbe stato solo questo, ma oggi non è più sufficiente. L’arte della sceneggiatura ha fatto il suo corso, affinandosi su altri generi (la comicità alla Woody Allen di Friends, l’eroismo a fil di depressione in E.R.) e il racconto della famiglia paga oggi un grave ritardo in fatto di soluzioni di scrittura. Per questo, i networks americani cominciano oggi a sperimentare nuove strade per rinvigorire il genere. Everwood rientra in questa logica, dato che, per vivacizzare il versante familiare della trama, il telefilm la completa con una parte di dramma adolescenziale il cui perno è Ephram Brown, il figlio del dottore. Detto in altre parole, il telefilm per teenagers alla Dawson’s Creek, che descrive mondi giovanilistici da cui il punto di vista adulto è esiliato, inEverwood si mescola con il telefilm per famiglie alla Settimo cielo, costruito, invece, sulla prospettiva dei genitori. Ecco allora, accanto alle atmosfere domestiche, l’irruzione di soap operas tra liceali, di struggimenti amorosi ginnasiali, di gergalità e sarcasmi generazionali.

In Everwood il mondo adulto e quello adolescente sono tenuti insieme per contrasto. Tutto ruota attorno al rapporto conflittuale tra il dottor Brown e il suo primogenito Ephram, che fatica a perdonargli la latitanza da casa negli anni newyorchesi. Poco conta che il neurochirurgo abbia cambiato vita; poco conta che si lasci sorprendere, affranto, a parlare con la moglie quando, ancora perdutamente innamorato di lei, il medico la sogna ad occhi aperti. Inarginabile, il biasimo di Ephram ciclicamente torna ad esplodere, generando discussioni con il padre di violenza verbale inusitata per il piccolo schermo. Lo spettatore vede che il dottor Brown ce la mette tutta per diventare un buon genitore, e tifa per lui. Tuttavia, il pubblico è contemporaneamente esposto al fascino tragico del giovane Gregory Smith, l’interprete di Ephram. Gli autori dichiarano di aver costruito il personaggio come un principe nero, un giovane Amleto cui Smith presta una maschera tragica indimenticabile. Il ragazzo ha un fascino magnetico; è il rovello fatto a persona; diafano, è come se ogni primo piano lo fotografasse con gli occhi ancora umidi di un pianto disperato. L’effetto è acuito dal fatto che il suo genitore, per oculata scelta di casting, è l’esatto opposto, dato che Treat Williams (l’interprete del dottor Brown), barbuto e in abiti da boscaiolo, sguardo da orso buono e fisico aitante, è il ritratto della vita sana di montagna: sembra uscito da una pubblicità della Timberland. 

Il significato della serie si gioca tutta nel progressivo recupero del rapporto tra i due protagonisti. A poco a poco il principe nero perdonerà il padre e capirà che ciò che li unisce è assai più di quanto li divide. E fino a qui, tutto bene. Il telefilm potrebbe essere anche oro: forse non oro zecchino, viste le troppo numerose litigate sopra il rigo, comunque una produzione ascrivibile al tentativo di rinsaldare con un’iniezione di dramma il genere familiare. Everwood, però, non è solo questo. E’ anche una serie di inconsueta forza pedagogica, considerato il fatto che essa poggia  sulla figura di un padre il quale via via si impegna, si interroga e alla fine si dà risposte sul tipo di educazione da dare ai figli ritrovati. La serie, cioè, ha un personaggio costruito per agganciare il pubblico in un ragionamento morale e per portarlo, lungo il racconto, a determinate conclusioni. Ora, queste conclusioni, e tutta la pedagogia di Everwood, sono di stampo iper liberal.

La terza puntata della serie, per esempio, è già tutta un programma. Nina, la summenzionata vicina di casa dei Brown, sta per partorire e chiede al protagonista neurochirurgo di seguirla negli ultimi giorni, fino al parto. Lo informa anche che trattasi di una maternità su commissione: di un caso, cioè, di utero in affitto. Il marito di Nina gira gli States per vendere software ed è lontano otto mesi all’anno. La donna ha perciò pensato bene di fare una buona azione che le fruttasse anche un po’di quattrini in vista di un più stabile futuro per il suo matrimonio: grazie alla tecnica, si è fatta ingravidare per conto terzi. Le immagini rivelano che la destinataria di quello che il dottor Brown definisce “un grande regalo”, vale a dire la single che ha affittato il ventre di Nina, sarà, con tutta evidenza, una mamma-nonna incanutita. Ebbene, durante l’episodio, il medico di Manhattan si fa paladino della scelta di Nina e, levandosi in mezzo alla affollata tavola calda di Everwood, a spada tratta, perora la bontà della causa della sua paziente. Le riserve morali dei numerosi astanti, figli di una cultura tradizionale di montagna, subiscono l’urto retorico dello scienziato che inneggia alla procreazione secondo progresso e al relativismo etico. Il finale di puntata torna sulla delicata questione con un intenso confronto tra padre e figlio: il giovane Ephram, da par suo, obietta al padre che tutta la vicenda è inaccettabile, ma il genitore lo sbaraglia ricordandogli che, nonostante gli anni, quella donna potrebbe godere più a lungo del figlio di quanto non sia accaduto alla sua defunta madre.

Un altro buon esempio è la quarta puntata, in cui il nostro dottore si trova a fronteggiare un epidemia al liceo di Everwood: gonorrea alla gola. Anche in questa vertenza il protagonista si lancia in una battaglia di “modernizzazione”: sesso sicuro per i quindicenni.

Di esempi come questi nel telefilm se ne trovano tanti: dal reverendo che, durante la predica, dopo aver annunciato il suo divorzio dalla moglie, asserisce che tanto ciò che conta è l’affetto della comunità, ai vecchietti della casa di riposo di Everwood che mendicano Viagra al dottor Brown.

Dietro la maggior parte delle serie statunitensi c’è una consapevole ideologia relativistica. Ne sono animati soprattutto gli autori di titoli pensati per il target giovanile. Uno di questi è proprio il creatore di Everwood,  Greg Berlanti. Stimato dalla comunità omosessuale americana per il suo film Il club dei cuori infranti, fu notato per questo da Kevin Williamson che lo chiamò al suo fianco nello staff di Dawson’s Creek, serie di culto, ispirata ad un sessocentrismo piuttosto morboso. Approdato con Everwood al genere familiare sul canale della Warner, Berlanti ne ha fatto un cavallo di Troia per le sue tesi radicali. In un’intervista rilasciata nell’ottobre del 2002 al newsmagazine omosessuale The Advocate, Berlanti, quasi sentendo di doversi giustificare per essersi buttato in uno show per famiglie, spiega che “è importante piazzare una voce nella comunità televisiva” e che in Everwoodil rapporto tra la famiglia Brown e la cittadina di montagna è pensato come quello tra un nucleo domestico gay e il resto del villaggio, in modo che quest’ultimo, a poco a poco, si trasformi in una famiglia estesa.

Può accadere che un telefilm, affinché le reti televisive acquistino il titolo senza remore, presenti un episodio di apertura (in gergo, il “pilot”) ideologicamente prudente, salvo poi, appena più in là nella stagione, dare fuoco alle micce della contro cultura. Everwood è una serie engagée di questo tipo. 

  

Autore: Paolo Braga

Details of Movie

Titolo Originale EVERWOOD
Paese USA
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Users Reviews

  1. Gaetano Migliatico

    Tutto vero quando so dice che non è tutto oro quello che luccica, in fondo la società è composta da adulti, giovani emergenti, adolescenti, con l’età che si abbassa sempre più, e bambini, condita da tutte le problematiche sociali ed economiche.
    Di certo una piccola comunità e pergiunta montana, semplifica la possibilità che nel setaccio possano passare poche problematiche sociali.
    Ritengo comunque che, in questi telefilm, gli argomenti trattati vengono esposti in modo realistico e risolti in maniera impeccabili.
    Di sicuro non sono la manna dal cielo, ma fanno molto riflettere.
    La visione la consiglierei a tantissime persone e soprattutto ai genitori.

    10,0 rating

    Tutto vero quando so dice che non è tutto oro quello che luccica, in fondo la società è composta da adulti, giovani emergenti, adolescenti, con l’età che si abbassa sempre più, e bambini, condita da tutte le problematiche sociali ed economiche.
    Di certo una piccola comunità e pergiunta montana, semplifica la possibilità che nel setaccio possano passare poche problematiche sociali.
    Ritengo comunque che, in questi telefilm, gli argomenti trattati vengono esposti in modo realistico e risolti in maniera impeccabili.
    Di sicuro non sono la manna dal cielo, ma fanno molto riflettere.
    La visione la consiglierei a tantissime persone e soprattutto ai genitori.

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