A MILLION MILES AWAY

È curioso vedere, all’inizio del film, Josè e la sua famiglia, lavorare nei campi di Salinas, l’enorme centro agricolo della California dell’Ovest dove è nato John Steinbeck e dove ha ambientato il suo famoso romanzo: La valle dell’Eden. A quell’epoca non c’erano reticolati al confine con il Messico ed era consentita la migrazione per i tempi del raccolto. Quanto raccontato nel film è una storia vera: quella del primo americano di origini messicane di modeste origini ad aver partecipato (nel 2009 sullo space-shuttle STS-128) a una missione spaziale.
Il protagonista sembra essere indubbiamente Josè: lo vediamo da piccolo combattere contro il sonno quando va a scuola dopo una mattinata di lavoro, lo rivediamo, ormai ingegnere, scambiato per un addetto delle pulizie in ambienti di lavoro dove la discriminazione razziale ha ancora forti radici; compilare il modulo di iscrizione per poi ricevere un cortese rifiuto dalla NASA per ben 11 volte. La sua tenacia, la sua voglia di riscatto per riuscire a realizzare il proprio sogno come tutti gli altri americani, anche se da piccolo ha fatto il bracciante immigrato, sono indubbiamente un asse portante del film ma non è lui il protagonista.
Il vero protagonista è la famiglia e il valore del sacrificio per gli altri. Senza il calore umano che il film emana, senza l’affetto e l’aiuto morale che Josè ha avuto,  lui non ce l’avrebbe fatta e il film sarebbe risultato il racconto, un po’ noioso, di una quasi ottusa ostinazione per un sogno alla fine non così vitale né indispensabile per la sua esistenza di ingegnere, marito e padre di 5 figli.  

Sono i suoi genitori che capiscono che lui ha un potenziale che sarebbe rimasto mortificato se non gli avessero dato l’opportunità di studiare rinunciando al progetto di avere una casa. È sua moglie, che prima irritata per non essere stata mai informata delle lettere che inviava alla NASA, alla fine acconsente a sostenere la sua ambizione, rinunciando al desiderio di avere un ristorante tutto suo. Il colloquio che i due hanno di notte dove si parlano a cuore aperto, è un bellissimo esempio di intesa coniugale e sarà proprio Adela a dare a Josè giusti consigli per vincere la selezione. Non è di minore importanza il sostegno della professoressa Young e del cugino Beto, persona semplice, che non comprende nulla del mestiere di ingegnere di Josè ma è proprio lui a dirgli che: “chi è meglio dell’emigrante a fare l’astronauta? Qualcuno che sa cosa vuol dire tuffarsi nell’ignoto? Chi può rischiare tanto?”. Allafine sarà solo il sacrificio degli altri fatto per amor suo che risulterà decisivo. Non mancano realistici momenti di tensione (il padre che rinfaccia il sacrificio che ha dovuto fare, la moglie che sgrida Josè perché sembra pensare solo a se stesso) ma arricchiscono il film numerose scene che sottolineano il valore della famiglia nel senso più ampio (nonni, zii, nipoti,..) nella comunità messicana (lo stesso Josè e sua moglie avranno cinque figli). Non manca un certo orgoglio americano per l’efficiente realizzazione del progetto spaziale (ricorda in un certo modo anche l’esibizione di efficienza per il progetto Manhattan che abbiamo visto da poco nel film Oppenheimer) e l’esternazione del classico american dream: ognuno, in questo paese, può realizzare i propri sogni: basta volerlo con determinazione. Alla fine, anche i genitori di Josè hanno potuto comperare la casa tanto desiderata e Adela ha aperto  il suo ristorante.

Il film tradisce un certo eccesso di costruzione (il racconto è stato diviso in fasi di avanzamento,  quante sono state indicate dal padre a Josè per realizzare i sogni più ambiziosi) così come un eccesso di simbolismo (il racconto delle farfalle monarca che pesano solo un grammo ma percorrono migliaia di chilometri, l’albero che non dà frutti se piantato più volte,..) ma sono difetti che vengono controbilanciati dalla bravura dei protagonisti e dalla costruzione di un calore familiare che è raro trovare nella produzione recente.