SOTTO LA CROCE DEL SUD

193878 min10+  

Alcuni italiani, coinvolti nella breve avventura dell’Africa Orientale Italiana, si ritrovano in un mondo che considerano “loro”: alcuni lo valorizzano altri lo sfruttano, mentre gli amori vengono trattenuti a fatica all'interno delle sue forme canoniche . Su YouTube

Nel 1938, due anni dopo la costituzione dell’Africa Orientale Italiana (Somalia, Etiopia, Eritrea),  Marco raggiunge i terreni di cui è diventato proprietario con l‘obiettivo di trasformarli in una piantagione di caffè. Lo fa reclutando manodopera locale e con l’aiuto di tecnici provenienti dall’Italia, fra cui l’ingegnere Paolo. Scopre anche che un uomo e una donna abitano in modo illecito nella sua proprietà: Simone e  Mailù (scopriremo dopo che non sono sposati). Marco si accorge che non hanno i documenti in regola per poter vivere nella sua piantagione e li invita ad andarsene. Ma l’ingegnere Paolo, invaghito della bellezza di Mailù, lo convince a farli restare dandogli la concessione dello spaccio della piantagione. Come verremo presto a sapere, in realtà Simone vende di contrabbando alcolici agli indigeni per avere in cambio diamanti dalla vicina miniera dove lavorano…

 


Valori Educativi



Italiani lontani dalla patria, privi di condizionamenti sociali esterni, si trovano da soli a decidere fra il bene e il male. Un protagonista riconosce le proprie debolezze e aspira a una vita diversa. Conduzione di vite parallele e non comunicanti fra i nativi e gli italiani.

Pubblico

10+

Una fugace visione di ragazze indigene a seno nudo

Giudizio Artistico



Tutti i personaggi del film sono ottimamente caratterizzati così come il contesto africano. Il film ha vinto una medaglia per i valori tecnici della pellicola al Festival di Venezia del 1938

Cast & Crew

Our Review

Parlare di cinema italiano degli anni ’30 saltando a pie’ pari la realtà del ventennio fascista (come in effetti potrebbe capitare vedendo solo certi film di Mario Camerini come Gli uomini che mascalzoni o Grandi Magazzini) sarebbe stato antistorico e un poco falso.

Questo film del ’38 ambientato in Etiopia (ma girato per lo più a Roma) apre una finestra sulla breve (5 anni) stagione coloniale italiana nell’Africa Orientale.

Il personaggio di Marco esprime l’inesauribile tensione verso la ricerca di nuove terre da coltivare di un’Italia sovrappopolata e ancora in gran parte contadina (problema già affrontato in altre forme come la bonifica dell’Agro Pontino agli inizi degli anni ’30). Esprime anche l’ideologia coloniale tipica di quel tempo e condivisa da molti altri paesi Europei secondo la quale era giusto e lecito che civiltà “superiori” prendessero il controllo di paesi sottosviluppati per portare progresso e ricchezza per sé stessi ma anche per i nativi. Tutto ciò non viene espresso in parole ma presentato: Marco organizza con personale specializzato e con macchinari italiani la messa a cultura di un vasto territorio con l’impiego di manodopera locale.

L’elogio del colonialismo italiano non tarda a mostrarsi: Marco informa gli abitanti del vicino villaggio che tutti verranno regolarmente retribuiti (in effetti era stata abolita la schiavitù presente nell’impero, ora decaduto, di Hailé Selassié) e quando il cattivo di turno, Simone, mostra di usare la frusta per castigare gli etiopi, viene aspramente redarguito da Marco. Durante una festa nel vicino villaggio, i “bianchi” assistono con rispetto ai balli, ai canti e alle musiche dei nativi, attirati dal fascino dell’esotico.

E i rapporti fra gli uomini e donne? E’ stato un tema indubbiamente difficile da risolvere per chi aveva scelto l’avventura coloniale anche perché situazioni promiscue avrebbero messo a rischio la superiorità della razza.  Ecco che il film mostra la soluzione più caldeggiata a quel tempo: il ricongiungimento familiare, promosso dallo stato fascista. Un giorno vediamo arrivare una camionetta affollata di signore che vengono festosamente accolte dai loro mariti e condotte verso alloggi già adeguatamente preparati. Il problema può quindi definirsi risolto? No.

Una sorta di febbre sensuale percorre tutto il film, pur nel pallore del bianco e nero, che agita, rende indolenti, i maschi bianchi che sono scapoli. La prima causa è la misteriosa Mailù. Si mostra nella penombra alla veranda della sua casa sempre elegantissima e colma di gioielli mentre ascolta dal grammofono, la canzone del momento: Sotto la croce del Sud oppure serve allo spaccio quegli uomini che fanno a gara per esser serviti. Parla poco, si appoggia mollemente a un letto o a un divano, è il perfetto archetipo della donna fatale, interpretata da Doris Duranti, la diva più famosa del ventennio, assieme a Clara Calamai. L’altra componente è proprio l’Africa. Le usanze tribali del villaggio vicino, dove ragazzi e ragazze ballano a un ritmo frenetico uno vicino all’altra sfregandosi i nasi e toccandosi la bocca richiamando istinti primordiali che finiscono per turbare gli italiani presenti.

Ma l’ingegner Paolo è un uomo gentile. Mailù accetta di frequentarlo perché vede in lui l’uomo onesto di cui   potrebbe innamorarsi e riscattarsi da un passato oscuro, da troppi compromessi che ha dovuto accettare, fra i quali allearsi con il disonesto Simone. E’ questa la componente melodrammatica del racconto che in un certo modo sconvolge lo sviluppo ordinato di un film che sarebbe diversamente risultato solo un film di propaganda sulla prode avventura italiana in Africa Orientale. Saprà l’ingegner Paolo ritrovare il suo equilibrio in un’Africa così sensualmente seducente e incline al disordine sentimentale? Su Youtube.

Autore: Franco Olearo

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