LE BELVE

2012131 min18+  

Ben e Chon sono amici dall’epoca del liceo, diversissimi nel carattere (idealista, pacifico e spirituale il primo, ferito e incline alla violenza il secondo) ma con due cose in comune: il lucroso commercio della migliore marijuana della costa ovest e la bella Ofelia, detta O, che li ama, riamata, entrambi. In questo apparente paradiso in terra piombano i crudeli rappresentanti del cartello messicano della droga, capeggiato dalla spietata “madrina” Elena, che vuole “mettersi in affari” con i due e non accetta un no come risposta. Quando Ben e Chon cercano di svicolare, lei per rappresaglia rapisce Ofelia minacciando morte e torture… a questo punto, però, i due americani tirano fuori gli artigli decisi a combattere le belve con i loro stessi metodi…

Oliver Stone sviluppa un action movie carico di violenza e sesso ma ci aggiunge anche molte riflessioni collaterali che finiscono per disorientare lo spettatore 


Valori Educativi



Semplicemente non c’è nessuna morale in questo film ed anche il protagonista più idealista dei due non trova niente di male a spacciare marijuana. Una donna si divide fra due uomini senza problemi.
USA: Restricted – Italia: VM14

Pubblico

18+

Numerose scene a contenuto sessuale e di nudo, scene di violenze insistite.

Giudizio Artistico



Un film d’azione ben fatto che però vuole anche inseguire molte, troppe suggestioni perdendosi nella noia e alla fine lo spettatore arriva esausto al doppio finale

Cast & Crew

Our Review

L’ultima pellicola di Oliver Stone inizia imitando (o parodiando?) la tradizione del cinema americano, da Viale del tramonto ad American Beauty, con la voice over dell’affascinante bionda Blake Lively (un passato televisivo alle spalle e almeno una gran bella interpretazione al cinema in curriculum, in The Town), che alla fine della storia potrebbe essere morta oppure no…Un espediente che si può amare o no, ma che qui prende fin troppo la mano agli sceneggiatori (tra cui l’autore del romanzo da cui la pellicola è tratta, Don Winslow) e le ripetute intrusioni informative diventano fastidiose in una vicenda che sulla carta dovrebbe essere tutta azione, ma invece spesso si diluisce stancamente, forse troppo autocompiaciuta della sua  insistita trasgressione.

La bionda narratrice Ofelia è il felice vertice di un miracolosamente equilibrato menage à trois con Ben e Chon, e si gode senza rimorsi insieme a loro i benefici (villa con piscina e vista sull’Oceano a Laguna Beach) di un lucroso commercio di marijuana, con ramificazioni legali (cura del dolore, in California è permesso) e meno legali, sotto l’occhio complice di un agente della DEA sotto chemio e propenso alla corruzione.

Dei due, Ben è un idealista dalla vaga spiritualità buddista che investe parte dei suoi guadagni per far studiare i bambini del Terzo Mondo e passa settimane in Africa ad insegnare a usare i computer ai bambini dei villaggi; l’altro, Chon, è un reduce dell’Iraq con i fantasmi post-traumatici di rito: entrambi trovano il sospirato nirvana, talora in contemporanea, nelle braccia accoglienti della bionda e con abbondanti dosi della loro stessa merce. Nelle parole di Ofelia e nelle immagini sognanti sembra di trovarsi in una specie di Paradiso perduto e ritrovato, dove non esistono né senso del peccato né gelosia, anche se il fatto che Ofelia debba continuare a ribadirlo a intervalli regolari durante la storia ci fa piuttosto concordare con uno dei cattivi, quando suggerisce che se i due ragazzi sono così disposti a condividerla forse si amano l’un l’altro più di quanto amino lei…

In ogni modo la pacchia non è destinata a durare, perché il feroce Cartello messicano capitanato dalla “madrina” senza scrupoli Elena ha deciso di mettere le mani su questa brillante “start up” e lo fa con la stessa mancanza di scrupoli (e con qualche testa mozzata in più) con cui una multinazionale si mangia una piccola azienda (l’analogia è esplicita, Ben e Chon stanno all’erba come Steve Jobs sta ai computer). Anche le trattative, a parte la merce in gioco, non sono poi molto diverse da quelle delle grandi acquisizioni internazionali, avvocato compreso.

I due fusti, che fino a allora non sembrano essere mai stati sfiorati dalle implicazioni legali e morali del loro commercio, non capiscono subito l’antifona, e così la messicana fa rapire la bionda dal suo uomo di fiducia, Lado (Benicio del Toro, ultracompiaciuto nella parte del violento senza morale e fedeltà).

La scomparsa di Ofelia fa venire meno d’un colpo le pose filosofiche di Ben, così e lui e il compare mettono in campo tutta la loro astuzia e violenza (sì, anche il buddista, tanto c’è sempre una massima da invocare per giustificare le proprie azioni) per recuperare la bella Ofelia. Di qui un fiume di sangue, equamente distribuito di qua e di là del confine fino a uno scontro finale in stile western che arriva in doppia versione: tragica e poetica da un lato, prosaica e con happy end dall’altra. Nessuna delle due, per il vero, costituisce una soluzione del tutto soddisfacente di una storia dove si finisce per tifare per i nostri eroi solo perché tutti gli altri in scena sono almeno un pochino peggiori di loro (e molte volte anche parecchio stupidi) .

A primo acchito si potrebbe pensare di  trovarsi di fronte a un film di azione (e in effetti quando questa c’è, va dato atto a Stone, è ben girata e convincente). Il problema è che Le belve, in omaggio alla sua origine letteraria o per semplice snobismo, cerca di essere anche molte altre cose: una riflessione sulla perdita dell’innocenza (anche se tra il paradiso perduto e quello ritrovato la differenza ha più a che fare con il colore della sabbia e il conto in banca che con la consapevolezza dei nostri); una versione violenta di Jules e Jim o anche quella contemporanea di Butch Cassidy e Sundance Kid; ma anche una sofisticata critica al capitalismo che ha conquistato anche il mondo del narcotraffico.

Nel tentativo di stare dietro a tutte queste suggestioni, però, il film si perde talvolta nella noia e quando alla fine lo spettatore arriva esausto al doppio finale, che gioca sul senso del titolo originale (“savages” ha più a che fare con il buon selvaggio che con gli animali dello zoo) non ha più né la buona volontà né l’energia per fare ipotesi sul senso di quanto ha visto. Si perdonerebbe di più a una pellicola meno compiaciuta di se stessa e invece qui si arriva in fondo con la sensazione che le oltre due ore di film avrebbero potuto essere tagliate di almeno mezz’ora.

Autore: Laura Cotta Ramosino

Details of Movie

Titolo Originale Savages
Paese USA
Etichetta
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