HOTEL RWANDA

2004110'14+  

La vera storia di Paul Rusesabagina, gestore di un albergo in Rwanda, che durante il genocidio del 1994 salvò più di 1200 persone.

Valori Educativi



Il film racconta una storia di speranza autentica, che passa attraverso il baratro del male assoluto

Pubblico

14+

Qualche dettaglio macabro, più evocato che mostrato, legato alla rappresentazione del genocidio e della guerra

Giudizio Artistico



Terry George non raggiunge i vertici estetici ed emozionali di Shindler'sList ma il suo Hotel Rwanda resta un film che sa coinvolgere, senza usare ricatti emotivi o scorciatoie, lasciando parlare semplicemente la Storia e la normalità eroica dei suoi personaggi.

Cast & Crew

Our Review

Rwanda, 1994. A Kigali non ci sono capanne di paglia, ma civilissime villette e un elegante albergo a cinque stelle, frequentato da prestigiosa clientela internazionale. Il direttore Paul Rusesabagina, nonostante il nome esotico e i tratti somatici africani, si veste e si muove con lo stile di un perfetto manager occidentale. Quel lavoro gli ha procurato una bella casa, una tranquilla vita borghese, un’identità. A una prima occhiata, la famiglia Rusesabagina potrebbe abitare i sobborghi “bene” di una qualsiasi cittadina americana.

Invece vive in Rwanda, un Paese che sta per esplodere. La suddivisione in due etnie, Hutu e Tustsi, operata dagli antichi dominatori belgi in modo del tutto arbitrario, ha lasciato in eredità un odio etnico che gli estremisti Hutu sono pronti a trasformare in genocidio. I messaggi di guerra agli “scarafaggi” Tutsi infestano i programmi radiofonici. Commesse di machete e inequivocabili segni di guerra passano sotto agli occhi di Paul, che, come ognuno, si rifiuta di pensare all’imminenza della catastrofe.

L’uccisione del Presidente del Rwanda è il primo atto di guerra dei miliziani Hutu, il segnale di “via” lungamente atteso: da un giorno all’altro si scatena la carneficina in tutto il paese. Obiettivo dichiarato: cancellare l’etnia Tutsi.

Paul, che in virtù del suo stile di vita occidentalizzato si è sempre considerato super partes, è improvvisamente costretto a ricordarsi che lui è un Hutu, ma che sua moglie è Tutsi. Paul, che ha sempre messo al primo posto il benessere e la protezione della sua famiglia, si ritrova assediato da amici, vicini, parenti per i quali il suo albergo e la sua abilità organizzativa rappresentano l’unica possibilità di scampare al massacro. Nel giro di una notte la sua vita è sconvolta. Non rivedremo più le villette dei sobborghi, perché da questo momento la location quasi onnipresente del film diventa l’hotel Mille Collines, dove Paul porta d’impulso i “suoi” per metterli al sicuro. Il gruppetto di rifugiati, all’inizio una trentina di persone, si allarga continuamente. Alla fine del film i salvati saranno più di 1200.

Paul non ha una strategia, si limita a rispondere alla necessità pressante, così come può, mettendo a frutto l’esperienza, l’autorevolezza, i “trucchi” imparati in anni di mestiere. Per un po’ sembra in grado di reggere, fino a quando si avventura al di fuori dell’albergo in cerca di provviste. Bastano pochissime immagini per restituire l’orrore del mattatoio che è diventata Kigali. La regia di Terry George non indulge nel macabro, ma l’effetto di quelle poche inquadrature (corpi straziati disseminati nei giardini, cataste di cadaveri che rendono impraticabili le strade) è qualcosa di più di un pugno nello stomaco.

Paul, al rientro, è così scioccato che non riesce più a farsi il nodo della cravatta. Non riesce più a mantenere il suo aplomb. In una scena che diventa paradigmatica, si strappa di dosso la divisa da businessman sfogando finalmente la rabbia, l’impotenza, il dolore. Gli hanno sempre fatto credere di essere “uno di loro”, ma non è così. All’Occidente non importa nulla dell’Africa. Le forze razionate dell’Onu hanno l’ordine di far sfollare i turisti occidentali, ma non c’è posto per i bambini rwandesi. Gli antagonisti di Paul non sono né i caschi blu (Nick Nolte è un ufficiale dell’Onu che tenta di fare il possibile, per quanto gli è consentito), né la stampa (il giornalista Joaquin Phoenix abbandona l’albergo non senza pesanti sensi di colpa), ma un nemico enormemente più forte, e che tutti li riassume, l’indifferenza, quell’accidia pietistica che lascia fare il suo corso alla follia dell’odio, per poi commuoversi di fronte alla tv.

Più forte dell’indifferenza c’è solo un uomo che ha qualcosa da salvare. Partito con l’idea di preservare la sua famiglia, Paul finisce per fare molto di più, sostenuto dall’amore e dal coraggio della moglie.

Una pellicola importante, che ha il merito di raccontare un genocidio tra i più cruenti del XX secolo (un milione di morti in cento giorni), passato sotto silenzio dall’Occidente. Ci sarebbero stati tutti gli estremi, e le ragioni, per un distruttivo film di denuncia, ma Hotel Rwanda cerca di andare oltre, raccontando una storia di speranza autentica, che passa attraverso il baratro del male assoluto. Valorizzato dalle ottime prove del calibratissimo Don Cheadle (meritata la candidatura all’Oscar) e di Sophie Okonedo, il film è stato definito lo “Schindler’s List africano” per le evidenti analogie di concept con il capolavoro di Spielberg. Se Terry George non raggiunge i vertici estetici ed emozionali del precedente americano, più profondo nella costruzione dei personaggi, più complesso nella sceneggiatura, più suggestivo nella regia, il suo Hotel Rwanda resta un film che sa coinvolgere, senza usare ricatti emotivi o scorciatoie, lasciando parlare semplicemente la Storia e la normalità eroica dei suoi personaggi. 

 

La recensione sarà inserita  nel libro di prossima pubblicazione:
Scegliere un film 2005

Autore: Chiara Toffoletto

Details of Movie

Titolo Originale HOTEL RWANDA
Paese Canada/Regno Unito Italia Sud Africa
Etichetta
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