APOCALYPTO(Siniscalchi)

Zampa di Giaguaro è un giovane cacciatore Maya, figlio del capo del suo villaggio. La sua vita viene sconvolta dall’arrivo di guerrieri della città vicina, che uccidono molte persone e rapiscono le rimanenti per venderle o offrirle in sacrifici ai loro dei. Zampa di Giaguaro riesce inaspettatamente a fuggire: si scatena una caccia all’uomo senza esclusione di colpi. Ma Zampa di Giaguaro ha una spinta in più: la moglie –incinta in stato avanzato- si è nascosta con il primo loro bambino in una specie di profondo pozzo naturale, da cui ella non potrà uscire se lui non la aiuta.

Valori Educativi



Il cinema di Mel Gibson si regge su una scelta coraggiosa: rileggere la storia sfondando le troppe cinture di contenzione erette dal “politicamente corretto”. Caso unico nel cinema contemporaneo

Pubblico

18+ Sacrifici umani, torture, cuori strappati da insensibili carnefici. E oppressione, tirannia, paura.

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Mel Gibson ormai ha spodestato Quentin Tarantino. I suoi film sono diventati lo specchio dell’orrore contemporaneo. E a differenza di Tarantino, il regista australiano (ormai Mel Gibson sembra intenzionato a tenere in naftalina la carriera di attore) della spettacolarizzazione della violenza ne fa una questione etica. Il suo nuovo film, “Apocalypto”, per orrore e crudezze non è da meno di “La Passione di Cristo”. Anzi, per certi versi si potrebbe dire che il regista ha accentuato la carica di violenza nel visualizzare una storia di coraggio e follia, di amore che si scontra con la pura animalità; il tutto a fare da sfondo agli ultimi giorni di una grandissima e decadente civiltà primitiva: i Maya.    

Sacrifici umani, torture, cuori strappati da insensibili carnefici. E oppressione, tirannia, paura. A tutto ciò si contrappone l’opulenza di un mondo raffinato e spietato, colto e terrorizzato dalla superstizione, spiritualissimo e sprezzante nel non dar peso al valore della vita.  Questo per Mel Gibson è il ritratto, irto di contraddizioni,  della vita  nel crepuscolo dei Maya, civiltà pre-cristiana sopravvissuta sino al XV secolo, sterminata dai conquistatori europei. Un mondo bello quanto spietato, affascinante quanto crudele. Il protagonista, “zampa di giaguaro”, interpretato da un giovane nativo d’America, perfetta incarnazione  della forza di un toro unita  all’agilità di un puma, è una specie di “Braveheart” che parla l’antica lingua dei Maya dello Yucatan. Dopo l’aramaico del precedente film, Gibson ormai sfida le convenzioni del linguaggio. Ma lo può fare perché il suo linguaggio cinematografico è portentoso. E’ una sferzata di pura visualità. Cattura lo spettatore perché la violenza che scorre sullo schermo non è quella dei film “horror” o “splatter”, né quella dei videogiochi, né quella dello schermo televisivo dove si passa da un morto straziato ad una televendita. La violenza messa in scena da Gibson è vera. Il suo film ti prepara, ti accompagna per mano verso l’inarrestabile esplosione di odio cieco, senza un briciolo di umanità.

In molti si sono interrogati, ai tempi dell’uscita de “La Passione di Cristo”, e molti si stanno interrogando adesso, dopo aver visto “Apocalypto”, sulle motivazioni di una attrazione così irrefrenabile per il sangue da parte del regista  australiano.  Difficile rispondere a tale quesito. Molti sostennero che dietro la violenza della flagellazione e crocifissione di Cristo ci fosse un marcato anti-semitismo. Certo questa interpretazione non può essere rispolverata per “Apocalypto”. Allora bisogna cambiare registro, e provare a mettere alcuni punti fermi. Innanzitutto dobbiamo ormai concludere che Mel Gibson è un grande regista. Si potevano avere dubbi sul primo, ma su questo secondo film bisogna accettare il fatto che ci troviamo in presenza di un autore di primissimo piano. Il suo è un notevole cinema epico, che sovrasta, tanto per fare un esempio recente, le velleità di un celebrato maestro della Hollywood indipendente e radicale, Terence Malick di “The New World”.  In secondo luogo occorre notare come il nodo centrale della ricerca di Gibson riguardi la pura visualizzazione della violenza legata al sacro. E in terzo luogo bisogna riconoscergli la capacità, forse unica nel suo genere, di toccare una materia così incandescente, la violenza sullo schermo, senza compiacimenti.

Negli Stati Uniti “Apocalypto” è uscito negli schermi lo stesso giorno in cui gli indiani Seminole, una delle ultime etnie dei nativi americani, acquistavano a suon di milioni di dollari la catena Hard Rock Cafè. Sono due storie che si rovesciano. I perseguitati di ieri, oggi si muovono con disinvoltura nel mondo dell’alta finanza, trovando nel denaro la redenzione.  Il cinema invece  ci riporta indietro, brutalmente,  all’origine della persecuzione. Il film di Mel Gibson, parlandoci di una storia molto remota, ci mostra, nella metafora, come essa invece in realtà sia  a noi vicina. Quando vediamo il Gran Sacerdote del Tempio, nell’Olimpo della maestosità della Piramide, seviziare con furia selvaggia e sadismo una vittima, al fine di placare le ire del Dio Sole, davanti ad una folla inebriata e plaudente per il sangue che scorre, come non ritornare con il pensiero agli spettatori estasiati davanti alla ghigliottina, o ai torturatori e agli assassini di oggi che si fanno fotografare per disporre di  un macabro ricordo.

La linea di separazione tra la civiltà di ieri e quella odierna, nelle immagini di Mel Gibson, è davvero impercettibile. Siamo seduti su una polveriera. I Maya impersonavano il terrore puro tipico di una brutale potenza. Erano però al tramonto, poiché vittime di una spiritualità e di una politica che non sapevano fare i conti con la razionalità. E quella caravella all’orizzonte  (sulla quale molti hanno insistito,  rilevando l’ennesima incongruenza storica presente nel film, poiché gli spagnoli arrivarono molto tempo dopo), nella metafora, non rappresentava la schiavitù portata dall’Europa, ma l’arrivo di una civiltà “razionale”. Questo ai sostenitori americani della “cultura del piagnisteo” (in largo tratto anti-cristiani e anti-semiti) e ai radicali dei “cultural studies”, non piace. Ma in definitiva il cinema di Mel Gibson si regge su una scelta coraggiosa: rileggere la storia sfondando le troppe cinture di contenzione erette dal “politicamente corretto”. Caso unico nel cinema contemporaneo. E da qui nascono le discussioni e le contestazioni.   

Autore: Franco Olearo

Details of Movie

Titolo Originale Apocalypto
Paese USA
Etichetta
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