ST TRINIAN’S

Non è nuova l’idea di contrapporre modelli di insegnamento tradizionali e “repressivi” con l’originalità geniale di docenti capaci di tirare fuori il meglio dagli studenti, contrastando l’eccessiva rigidità dei metodi più consolidati (l’esempio forse più noto è L’attimo fuggente);così come ha una sua presa il modello che vede insegnanti/educatori tenaci affrontare e vincere la sfida di conquistare classi difficili e considerate “senza speranza” con metodi rivoluzionari (si veda il recente e riuscito Ti va di ballare?).

In tutti questi casi la contrapposizione con un sistema educativo visto come ottuso e ultimamente meno efficace richiede un’alternativa (la passione per la poesia, per la danza o altro) come chiave d’accesso al cuore degli studenti e base su cui costruire un diverso percorso educativo.

Niente di tutto ciò compare in St.Trinian’s, un baraccone musical-adolescenziale tratto da una serie di fumetti già più volte portata sullo schermo, dove l’inno idiota all’anarchia e la contrapposizione ai soliti rigidoni di turno è fatta in nome del vuoto pneumatico, popolato da studentesse di tutte le età in versione conigliette di Playboy/fanatiche del gotico/cervellone (i gruppi in cui si divide la popolazione scolastica) che a tutto pensano meno che alla propria educazione.

Ad avallare questo caos organizzato l’eccentrica direttrice Camilla Fritton (Rupert Everett en travesti ispirato alla seconda moglie del Principe Carlo), vestita di tweed ma accanita consumatrice di cannabis e alcol, che difende la sua scuola come un baluardo della libertà ma di fatto lascia le sue studentesse a se stesse e le incoraggia solo a “imbrogliare” per ottenere ciò che vogliono.

Non che ci si aspettasse da questo racconto eccessivo e volgarotto (che infila qua e là citazioni pseudocolte che faranno venire i brividi ai più per il contesto in cui sono inserite, basti pensare al cagnetto chiamato Mr.Darcy…) una qualche originale proposta educativa, ma l’attacco ai fautori della “linea dura” (impersonati dall’ottuso Ministro Thwaites, un Colin Firth colpevolmente impegnato – speriamo sinceramente per serie necessità economiche – a fare il verso a se stesso e, più grave ancora, alla sua memorabile interpretazione di Orgoglio e pregiudizio) dovrebbe essere almeno fatto proponendovi un’alternativa che vada oltre l’elogio dell’istintività fine a se stessa.

Lo scialo di camei di ottimi nomi della cinematografia britannica (Stephen Fry, Anna Chancellor, gli stesso Firth e Everett) sarebbe stato degno di miglior fine e il mestiere di Oliver Parker appare totalmente sprecato in una pellicola che non si cura minimamente di definire personaggi e obiettivi, ma accalca le situazioni senza ordine né progressione, senza strappare un sorriso né un’emozione.

L’idea che se ne stia producendo un seguito (sull’onda di una successo in terra britannica che appare inspiegabile) fa pensare che la ventilata riforma del sistema scolastico inglese, con prevedibile livellamento verso il basso, sia frutto delle menti degli stessi che hanno fatto staccare i biglietti di questo filmetto del tutto dimenticabile.