TUTTI CONTRO TUTTI
Periferia di Roma. Di ritorno dalla messa per la prima comunione del figlio piccolo, Agostino e la sua famiglia scoprono che, durante le poche ore di assenza, la loro casa è stata abusivamente occupata da un’altra famiglia. La polizia ha le mani legate perché si scopre che l’uomo a cui Agostino paga l’affitto non è il proprietario ma solo un faccendiere che gestisce traffici poco puliti. Due possibilità per il nostro eroe: o cercare una nuova casa o fare di tutto per riprendersi la propria. Idea: e se si occupasse abusivamente il pianerottolo?
Alla periferia di Roma, il protagonista e la sua famiglia scoprono che la loro casa è stata abusivamente occupata da un’altra famiglia. Una storia in bilico fra commedia e dramma alla ricerca della giusta direzione
Domenico Procacci per Fandango
Valori Educativi
Il film ha uno sguardo totalmente positivo nei confronti della famiglia ma è presente un stilettata gratuita e di cattivo gusto contro la chiesa cattolica
Pubblico
18+turpiloquio, fumo di spinelli, scene di sesso e con allusioni sessuali
Giudizio Artistico
La paradossalità della situazione e la resa grottesca di alcuni personaggi non si amalgamano per niente con gli slanci di crudo realismo e i toni da incubo kafkiano che regista e sceneggiatore tentano di tenere insieme con effetti a dir poco stranianti.
Cast & Crew
Unknown
Domenico Procacci per Fandango
Regia
Rolando Ravello
Our Review
Rolando Rovello è l’ennesimo attore che ha deciso di debuttare dietro la macchina da presa per essere preso sul serio come “autore”. Lo spunto per questo film proviene dal monologo teatrale Agostino che Massimiliano Bruno giura di aver scritto partendo da fatti reali. L’idea dell’uomo schiacciato dall’ingiustizia che si ribella in modo imprevedibile poteva essere sfruttata decisamente meglio. L’occupazione del pianerottolo – con il nonno che si cucina gli spaghetti salutando i bengalesi che scendono le scale – è uno spunto narrativo che avrebbe potuto far sorgere una commedia davvero divertente: chissà Totò e Peppino De Filippo cosa avrebbero combinato al posto di Rolando Rovello e Marco Giallini.
Ne esce, invece, uno strano film, sospeso in equilibrio più che precario tra commedia e dramma (a un certo punto ci scappa anche il morto), alla ricerca dell’andazzo giusto – comune a molte commedie italiane di questa generazione –, attento cioè ai problemi e alle urgenze sociali di quest’Italia d’inizio secolo. La paradossalità della situazione e la resa grottesca di alcuni personaggi non si amalgamano per niente con gli slanci di crudo realismo e i toni da incubo kafkiano che regista e sceneggiatore tentano di tenere insieme con effetti a dir poco stranianti.
Bruno – noto al pubblico televisivo per aver interpretato Martellone nella serie Boris – è attivissimo come sceneggiatore (spesso in coppia con Fausto Brizzi, con cui ha concepito la saga Notte prima degli esami) e anche come regista (suoi sono Nessuno mi può giudicare e Viva l’Italia). Qui è co-sceneggiatore e si ritaglia il ruolo minore del poliziotto prima indifferente e poi comprensivo. Nei suoi film sembra esserci l’urgenza di mettere il dito nelle piaghe di una Nazione ridotta allo sfascio, qui rappresentata da una squallida periferia romana in cui coabitano piccole comunità appartenenti a diverse etnie, autarchiche e chiuse, dominate dal prepotente di turno. La microcriminalità dilaga (droga, prostituzione, incendi nei campi rom) e la legge è totalmente assente.
Non è chiaro che tipo di critica al razzismo vogliano fare gli autori: gruppuscoli umani di rumeni, egiziani e bengalesi sono tendenzialmente ostili tra di loro, e indifferenti ai problemi altrui. Quando il troppo è troppo, però, sanno mettere da parte gli egoismi e fare la scelta giusta. I cattivi, invece, sono tutti italiani e provenienti dal meridione (quasi tutti dalla Puglia): sia il boss locale che fa il bello e il cattivo tempo, sia gli “infami” che occupano la casa del protagonista, sia la cafona arricchita che tratta gli operai che le ristrutturano la villa come se fossero suoi schiavi. Anche nel razzismo, evidentemente, ci sono persone “più uguali delle altre”…
Non manca, ovviamente, la stilettata gratuita contro la Chiesa Cattolica: disperato, il protagonista va dal parroco a chiedergli cosa fare e il sacerdote, un bonario africano, gli dice che la cosa migliore che può fare è mettersi a pregare. Il protagonista, deluso, gli risponde che da piccolo pregava ma ha perso un familiare per malattia; ha continuato a pregare e ne ha perso un altro, così ha smesso di pregare perché gli sembrava che come risultato ottenesse solo quello di decimare la sua famiglia. Poi attacca una rancorosa filippica: “So che voi in Vaticano avete un sacco di case che affittate per pochi spiccioli a gente altolocata. Non ce ne sarebbe una anche per me? Anche piccola, mi accontento di un monolocale, di un box…”. Infine, senza neanche dare il tempo al sacerdote di rispondere, si toglie la collanina con il crocifisso che ha al collo e gliela consegna in mano, dicendo: “e questa può anche tenersela”. Dopodiché va via
Peccato trovare tanti brutti difetti in un film che ha uno sguardo totalmente positivo nei confronti della famiglia e descrive dei rapporti realistici e sinceri tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra fratello e sorella. Uniti nelle difficoltà, i componenti di questo nucleo familiare – allargato ai solidali zii – dimostrano che l’amore e l’attenzione reciproci possono permettere di sopravvivere alle situazioni più brutte. C’è perfino una scena commovente in cui i genitori leggono un tema scritto a scuola dal figlio piccolo, in cui il bambino dice che ha nostalgia non della casa dove abitava ma proprio dello stare assieme e dei piccoli gesti quotidiani di normalità che facevano di loro una vera famiglia.
Anche il finale (che ovviamente non riveliamo) vorrebbe essere un colpo a sorpresa e insistere sulla satira sociale. Stride profondamente, invece, proprio se accostato a scene di grande tenerezza come quella appena descritta. Sembra, quindi, di assistere a due film in uno e a una modalità di scrivere una sceneggiatura per accumulo, che testimonia la persistenza di un equivoco: che cioè l’efficacia della fusione dei registri comico e tragico (come sapevano fare i giganti del nostro cinema in film come I soliti ignoti, La grande guerra, Tutti a casa) possa essere sostituita dall’alternanza dei registri grottesco e realistico. Se la rinascita della commedia italiana si basa su equivoci di questo tipo, c’è davvero poco da ridere.
Autore: Raffaele Chiarulli
Details of Movie
Titolo Originale | Tutti contro tutti |
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Paese | ITALIA |
Etichetta | Non classificato |
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