WORLD TRADE CENTER

Sino ad oggi abbiamo assistito alla rappresentazione della immane tragedia dell’11 settembre 2001, con l’attentato alle torri gemelle di New York, attraverso il flusso delle immagini filmate in diretta. La televisioni hanno immediatamente coperto l’evento.

Valori Educativi



Pubblico

10+

Per la tensione presente nel film ed il linguaggio

Giudizio Artistico



L’apertura del film è davvero straordinaria. Le sue immagini ancora una volta sono in grado di travalicare gli “avvenimenti”, anche i più drammatici, per braccare passo dopo passo i “sentimenti” umani

Our Review

E in pochissimo tempo si sono aggiunti gli occasionali frammenti di terrore catturati dal “vivo” da inconsapevoli spettatori. Sin troppo celebre è la ripresa fatta da due operai che in una buca stavano effettuando in strada un lavoro di riparazione. Mentre stanno filmando l’intervento con la macchina digitale  i due sentono un forte rumore proveniente dall’alto. Alzano la macchina e riprendono dal basso  il secondo aereo che si schianta sulle torri.  L’immagine ormai “testimonia” la storia. Ne diventa “documento”.
Come si dimostrerà, fra cento anni, che l’11 settembre 2001 due aerei sequestrati da alcuni terroristi abbatterono due torri a New York? Con le immagini. E’ una semplice constatazione. Questi “documenti” così preziosi immortalano, rendendo “monumentale” la drammaticità degli eventi. Non sono però in grado di  restituire la drammaticità dei sentimenti. Per far questo c’è bisogno della “ricostruzione”, della “finzione”. Puntualmente, com’è logico, il cinema si appropria degli avvenimenti storici: catastrofi, guerre, sommosse, rivoluzioni.  Attentati, come nel caso di “World Trade Center” di Oliver Stone.
Da sempre impegnato a mettere a nudo alcuni punti poco chiari della storia degli Stati Uniti (dall’omicidio di John F. Kennedy alla controversa figura di Richard Nixon, dalla guerra del Vietnam alla esasperazione mediatica della violenza, dal mercimonio dello sport al mondo corrotto dell’alta finanza),  Oliver Stone ha deciso di puntare la macchina da presa all’interno della catastrofe, inserendola sin nelle viscere  del crollo delle “torri gemelle”.
Narra la storia di due dei venti sopravvissuti, estratti vivi dalle macerie. Protagonisti del film sono dunque due poliziotti del porto di New York. Il dovere li spinge ad entrare dentro l’inferno di cristallo: là ci sono migliaia di uomini da far evacuare rapidamente. E’ una lotta contro il tempo e contro un mostro di cemento, lamiere e vetri,  ormai con  i piedi di argilla, che può venir giù da un momento all’altro. Oliver Stone, come sempre, scatena la potenza del suo obiettivo. L’apertura del film è davvero straordinaria. Le sue immagini ancora una volta sono in grado di travalicare gli “avvenimenti”, anche i più drammatici, a braccare passo dopo passo i “sentimenti” umani. Nel film la tragedia da universale si assottiglia. Diventa nazionale, e poi familiare, e infine individuale, mano a mano che i due “salvatori” si rannicchiano schiacciati dalle macerie, pur di salvare la propria vita, dopo aver cercato sino alla estreme forze di salvare quella altrui.
Nei giorni successivi alla catastrofe un piccolo newyokese pose una domanda alla mamma: se perdo la strada di casa come farò a ritrovarla se le torri, punto di sicura indicazione,  non ci sono più? Alla fine il piccolo e la madre arrivarono a  questa conclusione: a New York vivono tanti buoni uomini; uno di loro, in caso di necessità, indicherà il cammino. Nel film di Oliver Stone  scorgiamo il volto di tanti buoni individui. Vediamo la parte più smagliante dell’umanità, pronta a far di tutto per salvare una vita umana. Pompieri, poliziotti, personale medico e ospedaliero, semplici volontari.
In “World Trade Center” Oliver Stone ha messo da parte l’abituale stile di rappresentare  il volto truce e le mani insanguinate di una società ormai irrimediabilmente alla deriva. Vedendo alcuni suoi film se ne trae  l’impressione che l’America odierna sia diventata una specie di Roma imperiale: violenta, lussuriosa, immorale. Un mondo ricco e spietato, ormai sull’orlo dell’abisso. Un mondo però abitato ancora da uomini come il sergente McLoughiln e l’agente Jimeno: il meglio che l’umanità possa desiderare di avere in caso di necessità.

Al Festival di Venezia il film è stato sonoramente contestato, in special modo per il finale, quando la salvezza dei due poliziotti si avviene nel quadro di una luce mistica, manifestandosi attraverso un vero e proprio salvataggio divino. I due uomini ormai sprofondati nel vortice infernale sono ripresi da una mano misteriosa, che li resuscita dalla morte certa alla vita. Paolo Mereghetti ha addirittura fatto ricorso alla cristologia per spiegare il senso autentico del film.
Un dato è certo: in un cinema sempre più perso nella iper-spettacolarizzazione della violenza e nel proporre modelli etici imbarazzanti, il film di Oliver Stone gira vigorosamente dalla parte opposta.

Autore: Claudio Siniscalchi

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