TRAVAUX LAVORI IN CASA

Chantal, impeccabile nel suo tailleur che denota la sua appartenenza all'alta borghesia, ha una giornata molto intensa, da quando si è divorziata e si è dedicata a difendere le ragioni degli immigrati:  la mattina si trova in tribunale a risolvere brillantemente le cause dei suoi protetti e lo fa in modo insolito, piroettando in movenze da ballo davanti al giudice; il pomeriggio è in prima fila a manifestare assieme ai sans papiers e la sera si rende bella ed elegante per partecipare ad un ballo alla conciergerie, dove il ministro vuol parlare con lei di una nuova legge sull'immigrazione. L'unico momento intimo, che sente veramente come suo,  è quando finalmente spinge con il piede la porta dietro di se (ha le mani impegnate di cartelle di lavoro e di buste della spesa) e grida "sono a casa!", per avvisare i suoi due perennemente distratti  figli adolescenti.

In queste prime sequenze è stato già impostato quel tono lieve e veloce che caratterizza tutto il film; come in un crescendo la  casa di Chantal, ora diventata esperimento di architetture futuriste, si affolla progressivamente di operai tuttofare originari  di paesi lontani e vicini: sud americani, asiatici ma anche un italiano che canta arie d'opera. Tutti intenzionati a fare qual cosa di buono ma troppo naif per non combinare una serie continua di guai. Ogni volta tutto si risolve in grandi colazioni dove questa strana famiglia allargata trova solidarietà e affiatamento intorno alla ormai esaurita ma sempre dolce padrona di casa.

"Questo film è dedicato a tutti coloro che hanno attraversato i mari per arricchirci", declama la sigla di chiusura. In effetti alcune sequenze, i pochi momenti seri del film, manifestano una sentita pietas quando ci vengono mostrate le periferie "africane" di Parigi: seminterrati e  cantine dove vivono intere famiglie di immigrati clandestini.  "Un immigrato è sacro!" ripete continuamente Chantal ai suoi figli, ricordando anche a noi quale è il cuore caldo di questa storia in gioioso bilico fra il reale e il surreale.
Resta da domandarsi quale sia il vero messaggio che ci arriva alla fine da questo film: certamente la grande casa simboleggia una sorta di arca di Noè-Europa in cui tanti  terzomondisti  trovano accoglienza e una speranza per il futuro e le allegre conversazioni attorno a un'unica grande tavolata dimostrano come tutti siamo uguali di fronte ai desideri personali di sempre: trovare la ragazza del cuore, ricongiungersi con la propria famiglia.

Resta il dubbio se l'aver tratteggiato in modo macchiettistico tutti questi sans papiers sia stata la soluzione giusta per promuovere la nobile causa dell'integrazione o non si rischi di scivolare ancora una volta in un atteggiamento di superiore  anche se generosa accondiscendenza:  simpatici sì ma diversi, come quando nei film americani le domestiche negre avevano tutte uno strano accento cavernoso e erano premurose, semplici ma sciocche.

Carol Bouchet è impagabile con la sua innata eleganza, il suo sorriso conciliante, il suo spirito di accoglienza tutto femminile.