OLDBOY

2013104 minDiseducativo  

Joe Douchette, marito divorziato, padre assente, lavoratore alcolizzato e poco efficiente, viene rapito senza apparentemente motivo il giorno del terzo compleanno di sua figlia, e tenuto prigioniero per venti anni senza contatti con il mondo. Il giorno in cui viene altrettanto inspiegabilmente liberato, Joe ha in mente solo la vendetta ma il suo carceriere misterioso gli impone una sfida ancora più crudele…

L’ultimo film di Spike Lee non è altro che il remake fedele del film del coreano Park Chan-Wook. Difficile comprendere la necessità di tale operazione, dove scene di violenza, tortura, incesto  imperversano 


Valori Educativi



Difficile comprendere perché il film faccia riferimento all’immaginario cristiano (croce e Bibbia nella prigione, nomi evocativi) per una storia di violenza e depravazioni di vario genere

Pubblico

Diseducativo

Violenza ripetuta e molto impressionante, scene di tortura, incesto, scene di nudo maschile e femminile e a contenuto sessuale molto esplicite.

Giudizio Artistico



Remake del film omonimo del coreano Park Chan-Wook, classico prodotto per il pubblico da Festival ormai assuefatto a provocazioni a base di punizioni, incesti e violenze, non dice –a di nuovo e ci si chiede quale ne sia stata la necessità

Cast & Crew

Our Review

L’ultimo film di Spike Lee non è altro che il remake assai fedele del film del coreano Park Chan-Wook vincitore a Cannes nel 2004 (il secondo della sua trilogia della Vendetta), a sua volta tratto da una serie di manga (fumetti), una storia di vendetta, punizioni, incesti e violenze che all’epoca conquistò una giuria capitanata da Quentin Tarantino (e forse proprio in omaggio a lui ritroviamo qui nel ruolo di gestore della prigione Samuel L. Jackson).

Riconosciuti i meriti di una regia molto professionale e di attori altrettanto validi nel cercare di dare corpo a personaggi che oscillano, volutamente, tra il realismo e l’astrazione di caricature paraboliche, l’operazione, per altro di poco successo anche in America, lascia assai perplessi.

Già l’originale coreano, abbondantemente spruzzato di violenza assortita e shoccante, era il classico prodotto per il pubblico da Festival, ormai assuefatto a questo genere di provocazioni, e anzi subito pronto a gridare al capolavoro se appena gliele si offre in una salsa un po’ più insolita. La trasposizione americana non dice nulla di nuovo (e forse anche i dieci anni passati nel mezzo, con operazioni altrettanto incomprensibili e altrettanto osannate tipo Only God forgives non hanno aiutato) e, ancor prima di giudicarne i (pochi) meriti artistici, ci si chiede quale ne fosse la necessità.

Joe Douchette è un uomo finito già prima che il misterioso rapimento venga a sospenderne la vita in un limbo che ha l’aspetto di una camera di motel di seconda categoria in una serie di giorni scanditi dal cambio di sfondo su una finta finestra, da lezioni di aerobica e programmi scadenti in tv, e dall’arrivo di cibo cinese sempre uguale. Lo scopo, forse, potrebbe essere una penitenza (su una parete campeggia una croce e sul comodino c’è una Bibbia) e lì dentro Joe, cattivo padre, marito ancora peggiore, dipendente dall’alcool, dopo aver saputo di essere stato incolpato ingiustamente dell’assassino della moglie, trova uno scopo oltre la sopravvivenza nella speranza di rivedere la figlia e di vendicarsi di chi lo sta punendo.

Una volta uscito, però scopre che lo aspetta un’altra sfida: deve capire chi è il suo misterioso aguzzino e perché lo ha punito, altrimenti l’amata figlia morirà. Ad aiutarlo solo una dolce e problematica volontaria che incontra (non tanto per caso) sulla sua strada e che sembra straordinariamente desiderosa di aiutarlo.

Da qui in poi la vicenda si dipana tra scoppi di violenza (benissimo coreografata e ripresa, ma non per questo meno disturbante, come nella sequenza di quasi quattro minuti in cui Joe, solo e armato di un martello, abbatte un’armata di avversari), indagini su internet (con cui Joe, imprigionato nel 1993, non si trova molto a suo agio, come del resto con gli smartphone usati ormai per fare qualunque cosa, e qui il product placement Apple si spreca), riscoperta dei sentimenti e caduta progressiva nell’incubo.

Che il mistero del passato, anche per chi non avesse visto l’originale, non risulti poi molto misterioso e che il pubblico indovini il trucco una buona mezzora prima del protagonista fa sì che l’ultima mezzora del film si snodi tra pseudo rivelazioni e flashback perversi e disturbanti, fatti di incesti, omicidi e suicidi senza possibilità di redenzione.

Sì, perché se il film fa riferimento in molti punti all’immaginario cristiano (croce e Bibbia nella prigione, due protagonisti che si chiamano Joe(seph) e Marie) e alla letteratura ottocentesca (l’alias di Joe nella prigione è ovviamente Edmond Dantes in omaggio al Conte di Montecristo), alla fine ci si ritrova in un territorio più vicino alla tragedia greca e alla sua ineluttabile e crudele necessità. Di modo che, in questo sfondo morale sempre più confuso e perturbante, l’espiazione più che una strada per la salvezza diventa una forma di felicità in se stessa, e qualunque sentimento, amore, affetto familiare, amicizia, si trasforma in una parodia insopportabile del suo originale. Detto così sembra che il film suggerisca un qualche profondo significato esistenziale che in realtà manca completamente alla pellicola, che così si ritrova nella posizione assurda di un moral play senza una vera morale da offrire.

Il film si muove tra l’astrazione della parabola, l’icasticità del fumetto, la violenza più o meno granguignolesca alla Tarantino (in cui non manca una scena di tortura piuttosto impressionante), il melodramma estetizzante, in un mix poco convincente che dovrebbe scoraggiare i pochi spettatori, magari incuriositi dall’affrontare questo tour de force un po’ fine a se stesso.

Autore: Laura Cotta Ramosino

Details of Movie

Titolo Originale Oldboy
Paese USA
Etichetta
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