MY NAME IS JOE

1998105'Diseducativo  

Siamo nella periferia di Glasgow. Joe, il protagonista della storia, si mantiene tramite un sussidio di disoccupazione e solo da poco, come apprendiamo dalle prime sequenze, è uscito dal tunnel dell’alcool. Adesso si impegna a fare l’allenatore in una piccola ed simpatica squadra locale, composta di altri ex-alcolisti ed ex-tossici come lui. E’ un bel modo di stare insieme, di dare un po’ di sapore ad una esistenza che continua a restare senza orizzonti. Joe sta comunque passando un periodo felice: mentre svolge un lavoretto da imbianchino conosce Sarah, una assistente sociale che cerca di aiutare le persone in difficoltà del suo stesso quartiere. Fra i due si nasce una forte intesa e questo gli dà la forza di sperare, di poter perfino immaginare per se una vita uguale a tante altre "persone normali" che si sposano e vivono una vita serena.

Valori Educativi



La solidarietà fra chi è povero e debole

Pubblico

Diseducativo

Per i riferimenti alla droga e per il linguaggio

Giudizio Artistico



Ken Loach, ancora una volta, ci trasmette il calore umano con cui fa partecipare a storie di persone ai margini della società.
Ottimi dialoghi
.

Cast & Crew

Our Review

Anche noi stiamo per assuefarci ad un lieto fine ma ben presto, come in un crescendo, egli viene trascinato all’indietro nella gabbia della sua condizione di origine. Questo accade perché egli si sente impegnato a rispettare quel legame di solidarietà con i suoi compagni di sventura che percepisce come una sorta di limite invalicabile, al di sotto del quale si perde ogni residuo di dignità umana. Liam, il suo giovane amico, è costretto a subire il ricatto del boss locale perché sua moglie, per drogarsi, ha contratto debiti insostenibili e se non pagherà le verranno spezzate entrambe le gambe. Joe si frappone accettando di fare un "lavoretto sporco" per coprire il debito dell’amico. Sarah, nonostante ricambi il suo amore, non se la sente di condividere con lui una decisione così grave. Il finale sarà tragico, né Loach ha intenzione, per rendere più intenso il suo messaggio di denuncia, di consolarci lasciandoci intravedere una possibile via di uscita .

Ken Loach ci presenta ancora una volta una storia ambientata nel proletariato urbano inglese. Il regista non fa della fredda sociologia, non gli interessano visioni naturalistiche alla Zola; i suoi personaggi sono veri, sono ricchi di umanità, anzi proprio perché proletari, sembra dirci il regista, più interessanti per la loro voglia di amare, di lottare, di vivere nonostante tutto. Il dialogo intimo fra Joe e Sarah, il loro conoscersi, l’entrare in confidenza fino alla reciproca confessione del loro passato, è un momento di particolare intensità. Il mondo di Joe è però diverso, senza comunicazione con quello dei borghesi, delle "persone normali". Il regista ci presenta in modo lucido, quasi didascalico, le barriere che imprigionano lui ed i suoi amici: non possono chiedere prestiti perché nessuno farebbe loro credito; se ricattati non possono andare dalla Polizia come chiunque altro perché hanno sempre qualcosa da perdere (come succede al suo amico Liam: se si venisse a scoprire che sua moglie è drogata perderebbero l’affidamento della figlia); non possono accettare lavori saltuari perché altrimenti perderebbero il sussidio. Su di loro grava la mano forte della malavita; sono in un certo senso loro sudditi. In questo contesto la droga e l’alcool attecchiscono facilmente nella fragilità di persone che sono tali non per debolezza innata ma perché sono isolate e senza aiuti. Non ci sonno mezze misure in questi ambienti, non c’è l’uomo qualunque tanto diffuso nel mondo borghese: o si ha un atteggiamento di eroica ribellione come Joe o si soccombe, come il fragile Lam. Esemplare è il dialogo fra Sarah e Joe quando lei scopre che lui, sia pur per salvare l’amico, si è messo a fare il corriere della droga. Lei rigetta il compromesso che lui ha dovuto accettare, conscia di quanto danno ad altre famiglie potrà arrecare tutta quella droga; lui ha un dovere di solidarietà con chi è come lui : "ci sono cose che non ti posso dire " dichiara lui, cosciente della distanza fra chi è dentro e chi è fuori del suo mondo. Loach ci trasferisce la sua visione morale, che è un invito a comprendere le circostanze e le intenzioni delle persone, al di là del male oggettivo che commettono (si tratta di un tema a lui caro: in "piovono le pietre" la colpa era addirittura un omicidio, sia pur involontario, che e trova proprio in un sacerdote un inaspettata comprensione).

Temi di discussione: il film è consigliabile in quanto molto umano nell’accostarsi a questi personaggi dolenti ed ha una visione morale nella misura in cui ci mostra persone che lottano per riscattare la loro condizione. Se però Loach ci ha dato un occhio lucido per vedere questa realtà non ci dà però l’intelligenza per trovare una via di riscatto.

Violenza: mentre Joe ricostruisce il suo passato, vediamo come egli, in preda all’alcool era stato capace di picchiare la sua precedente compagna; similmente in un bar decide di assalire i guardiaspalla del boss della droga colpendoli con una mazza da baseball.

Comportamenti diseducativi: la moglie di Lam chiede a Joe di aiutarla ad iniettarsi la droga nel braccio; i compagni di squadra di Joe, carenti di magliette per giocare, fanno irruzione in un negozio e si "portano via" quanto loro necessario.

Autore: Franco Olearo

Details of Movie

Titolo Originale MY NAME IS JOE
Paese UK
Etichetta
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