MARY

Abel Ferrara intercetta su note a lui familiari – la crisi di disperazione e la deriva morale come premesse d’elezione alla riscoperta del sacro – la sete di trascendenza dell’uomo di inizio millennio, sconcertato dalle guerre, turbato dagli scontri di religione. Pescando a reminiscenze di una lontana e assai personalizzata educazione cattolica, con Mary il regista pone tre diversi casi esistenziali a confronto con la forza interrogante del Cristo. I temi del perdono e del travaglio della conversione, infatti, mettono la pellicola in risonanza con la sensibilità cristiana. Chi volesse concentrarsi solo su questi aspetti troverebbe pertanto nel film spunti di riflessione: su questo ha puntato anche la campagna di lancio del film, che –almeno in Italia- ha molto puntato sul pubblico cattolico, con l’acquisto di intere pagine di spazio pubblicitario su periodici come Avvenire e Famiglia cristiana. E a una prima lettura, il film appare un appello –forse un po’ generico- a farsi domande trascendenti, a riscoprire la fede, ecc. Se, però, si guarda un po’ più da vicino che cosa Ferrara voleva dire, i contenuti del film diventano ben più problematici. Si tratta di  un messaggio che, a nostro parere, a causa di una certa confusione tematica e narrativa del film, non arriva (per fortuna) a tutti, o almeno non arriva a tutti chiaramente. Lo prova, per esempio, il fatto che il film abbia ottenuto al festival di Venezia il premio dell’associazione cattolica Signis, come pure il giudizio nettamente positivo della Commissione Nazionale Valutazione Film della Cei.

Valori Educativi



Il film, si ispira ai Vangeli apocrifi di Nag Hammadi che non hanno alcuna attendibilità storica, per proporre una fede fai-da-te

Pubblico

14+

Una scena di nudo parziale. E’ necessaria una buona preparazione culturale per analizzare criticamente le tesi del film

Giudizio Artistico



L’animus polemico dell’autore rende artefatto l’insieme e di circostanza la performance di Whitaker

Cast & Crew

Our Review

F errara riassume così il nucleo, a nostro avviso, molto problematico del film, cioè la tesi che sta a cuore al cineasta: “Mary è un’opera politica che prende spunto da Gesù come figura rivoluzionaria e dal considerare Maria Maddalena il dodicesimo apostolo, vera erede di Cristo: fatto ormai accertato, dopo la scoperta dei vangeli gnostici”. Con tutte le licenze poetiche che si possono concedere a Ferrara, è dunque opportuno tenere presente che il suo cristianesimo ha solide basi eretiche, che per giunta appaiono irritate dal successo mondiale di The Passion. Nella sostanza, il messaggio di Mary è questo: abbasso Mel Gibson, evviva Dan Brown. 

Ted Younger (Whitaker), anchorman newyorchese dai buoni indici di ascolto, dedica un ciclo della sua trasmissione alla figura di Gesù. Ogni puntata un ospite che dice la sua. Intanto, Younger tradisce la moglie e questa rischia di morire di parto insieme col bimbo. Sintomatica, per il giornalista in cerca del senso delle cose, la crisi religiosa. Del resto, sembra la Provvidenza a volerlo: l’amante di Younger è amica dell’attrice interprete di Maria Maddalena in un film che sta scuotendo l’America. La donna (Binoche) si è fatta prendere dal personaggio ed è andata a fare la santona a Gerusalemme. Già in parola con il regista (Modine) della controversa pellicola per averlo ospite in studio, Younger riuscirà a contattare in Terra Santa anche la novella Maddalena e questa, nel pieno degli scontri tra ebrei e palestinesi, gli darà consigli spirituali, al telefono.

Maryelabora una ricetta anticattolica; ne promuove i benefici esemplificandoli nel personaggio pacificato della Binoche; movimenta la predica con le traversie esistenziali del conduttore e del regista ospite del programma tv.

La ricetta consiste in una sequenza di interviste di Younger ad “esperti” di cristologia. Persone reali interpretano se stesse ed esprimono sul Salvatore opinioni azzeccate per argomentare l’inutilità, anzi, la negatività di Santa Romana Chiesa. Amos Luzzatto, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dichiara che gli Ebrei non avrebbero avuto interesse ad uccidere uno come Gesù, uno che voleva solo insegnare loro qualcosa di nuovo. Un ingenuo monaco di Camaldoli presta quindi a Ferrara parole atte a lanciare il suo manifesto: con l’Incarnazione Gesù si è contaminato, assumendo la natura umana per mostrare la strada ai peccatori. E qual è questa strada? La spiegano subito Elaine Pagel, autrice di best seller esoterico femministi, e Jean Yves Leloup, sacerdote ortodosso appassionato di psicologia, buddismo e meditazione zen. 

a Pagel dice che la Maddalena era la discepola prediletta del Maestro. Secondo la studiosa, Pietro, maschilista invidioso, sarebbe riuscito a spuntarla, fondando sulla menzogna patriarcale – si lascia intendere, anche se probabilmente non tutto il pubblico intende – quella cricca oppressiva che oggi fa capo al Papa. Leloup, dal canto suo, spiega che l’insegnamento della Maddalena invita gli uomini ad integrare nella loro personalità la parte femminile di sé. Viceversa per le donne.

Ecco, dunque, la liberazione: l’annuncio di Gesù, passando per la Maddalena, ci informa che possiamo essere tutti figli di Dio, “veri uomini”, per mettere da parte Gesù stesso, senza sottostare ad autorità altre, e trovando in noi stessi quello che ci manca. Pelagio, l’eretico che secoli fa negava il Peccato Originale e l’utilità della Grazia, asserendo che l’uomo può salvarsi da solo, non avrebbe saputo dire di meglio.

Il personaggio della Binoche a Gerusalemme è quello che ha capito tutto: se all’inizio del film sognava sconvolta di trovare vuoto il sepolcro, di vedere gli angeli e il Risorto, alla fine, radiosa, rema su una barca non di pescatori come gli Apostoli, ma di pescatrici. Visivamente, la trasformazione è resa da Ferrara contrapponendo le inquadrature buie e sotterranee dei primi minuti a quelle solari, aperte sul mare, dell’epilogo.

Il movimento narrativo sull’anchorman e sul regista contestato punta a dare una parvenza di neutralità al film, ad addolcirne la gradazione ideologica, facendo da contrappeso drammatico alle ospitate televisive di cui sopra. I due personaggi sono l’umanità combattuta e tormentata, conscia di un vuoto da colmare, ma oltraggiata dalla tracotanza delle destre cristiane. Infatti, come un rullo compressore di ignoranza – non hanno studiato la Maddalena –, i conservatori americani schiacciano tutto quanto non sia ortodossia. Del resto, nel film, le ricorrenti immagini del conflitto israelo palestinese, suggeriscono che ortodossia è uguale a guerra di religione. Nello specifico, il regista interpretato da Modine serve a Ferrara ora per mimare e criticare Mel Gibson, ora per lodare, citandolo, Scorsese e L’ultima tentazione di Cristo, ora per mettere in scena il proprio scombussolamento interiore.

La confezione visiva dignitosa non copre quanto Mary sia una pellicola assai meno originale di quanto molti hanno invece ritenuto: proprio il suo attingere alla gnosi, cioè alla versione colta della New Age, dice di un messaggio ormai inflazionato, trito. L’animus polemico dell’autore, inoltre, rende artefatto l’insieme e di circostanza la performance di Whitaker.

Il film, così come Il Codice Da Vinci, si ispira ai Vangeli apocrifi di Nag Hammadi (la località egiziana del loro ritrovamento, nel 1945), redatti tra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo. È provato che questi testi non hanno attendibilità storica sulla vita di Gesù né coerenza scritturistica, a differenza dei quattro Vangeli canonici.

In nome del femminino, dell’arcaica divinizzazione della fecondità muliebre, Abel Ferrara auspica una religione fai da te e butta a mare senza pensarci (o senza sapere?) Paolo di Tarso, Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino e tanti altri secoli di esegesi e teologia. Se lo dice lui…  

Autore: Paolo Braga

Details of Movie

Titolo Originale MARY
Paese USA
Etichetta
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