Inghilterra, estate 1956. Marilyn Monroe arriva in Inghilterra perché è stata chiamata per recitare in "Il principe e la ballerina" al fianco di Sir Laurence Olivier. Il giovane Colin Clark - neolaureato ad Oxford e aspirante regista - mette piede per la prima volta in vita sua in un set cinematografico e diventa presto amico della diva. Una settimana che resterà per sempre impressa nella sua memoria...
Nell’estate del 1956 Marilyn si reca in Inghilterra per girare con Laurence Olivier “Il principe e la ballerina”. Un affettuoso resoconto di quel periodo per cercare di comprendere quel sofferente essere umano che si celava dietro la diva
Gabby è una studentessa di medicina che si è da poco traferita nella casa accanto a quella di Travis. I loro primi incontri sono alquanto tempestosi ma in realtà si sono piaciuti fin dall’inizio. Le difficoltà non sono poche: lui è uno scapolo impenitente, lei ha un fidanzato dottore che indirettamente gli potrà garantire una professione piena di soddisfazione. Ma l’amore che nasce fra loro è proprio quello giusto, quello che dà loro lo slancio per abbandonare la vecchia vita e costruirne una nuova.
Jamie è un giovane che di mestiere fa il rappresentante farmaceutico con spregiudicatezza e intraprendenza ma a tempo pieno si dedica a sedurre ragazze, a volte per suo piacere, a volte per ricavarne un profitto professionale. Maggie è una giovane artista, afflitta precocemente dal morbo di Parkinson. Forse è per questo motivo che accetta con disinvoltura nuove relazioni sessuali: vuole evitare qualsiasi forma di legame duraturo perché sa che il suo stato peggiorerà e non vuole essere di peso a nessuno..
Nel 1949 si concluse la guerra civile cinese con la vittoria del partito comunista e più di un milione di combattenti del Kuomintang furono costretti a rifugiarsi nell’isola di Taiwan spezzando l’unità di migliaia di famiglie. Solo quarant’anni dopo le autorità taiwanesi autorizzarono un solo viaggio all’anno ai suoi ex-combattenti per consentir loro di raggiungere la Cina Continentale per andare a trovare i propri parenti. Ne approfitta Liu Yansheng, ormai vecchio e vedovo, che decide di tornare a Shanghai per rivedere la sua prima moglie Yu-e che fu costretta ad abbandonare quando era incinta, senza aver mai potuto vedere il figlio. La situazione è complessa perché anche Yu-e nel frattempo si è unita con un matrimonio di fatto al soldato comunista Lu, dal quale ha avuto altri due figli…
Circa 3000 anni fa Agamennone , un re greco pieno di mire imperialiste, decide di conquistare Troia con il pretesto di vendicare l'onore di suo fratello fratto becco dal bel Paride. E' costretto a portarsi con se l'altero Achille, terribile guerriero che si preoccupa solo che qualcuno parli di lui per i prossimi mille anni. A Troia intanto Ettore, tutto casa e famiglia, é costretto a scendere in campo per colpa di quello sciupafemmine di suo fratello.
Alaska è la discoteca che nasce nel bel mezzo della storia del film, ma è soprattutto l’insegna al neon che emette la stessa luce fredda che illumina la maggior parte delle scene. Protagonisti di questa storia sono Nadine (Astrid Begès Frisbey), una giovane e bella francese di 20 anni, e Fausto (Elio Germano), un italiano che vive a Parigi e lavora come cameriere in un grande albergo. I due si incontrano per caso sulla terrazza dell’hotel e tra loro nasce subito un forte sentimento. Per fare colpo su Nadine, Fausto finisce in prigione per due anni durante i quali non smette di pensare e scrivere a lei. Intanto la giovane ragazza diventa una modella professionista. Uscito dal carcere Fausto ritrova Nadine e va a vivere con lei. I due cominciano una storia d’amore intensa ma ostacolata dal desiderio di lui di migliorare la propria condizione. Le loro vite sembrano dividersi, ma proprio quando Fausto sta per sposare la figlia di un ricco imprenditore, torna in aiuto di Nadine….
In una tranquilla cittadina inglese vive Tony che dopo la morte improvvisa della moglie di cancro, cade in depressione. In certi momenti sente l’impulso al suicidio ma trova conforto nel prendersi cura del suo cane e nel vedere dei filmati confidenziali che gli ha lasciato la moglie. Per il resto continua a lavorare in un giornale locale che raccoglie banalissime cronache della vita di quel piccolo centro ma, partendo dal presupposto che per lui la vita non ha nessun valore, dice a tutti quello che pensa nel modo più brutale. Si comporta in questo modo nei confronti del cognato Matt che cerca invece di confortarlo, di un suo collega bonaccione, della melanconica segretaria Kath, del postino, della simpatica prostituta Roxy, del vagabondo triste che gli fornisce la droga. Solo quando va al cimitero ha piacere di intrattenersi con la vedova Anne, con la quale riflette sul senso da dare alla loro vita dopo che sono rimasti soli…
Marilyn Monroe è stata la ragazza del piano di sopra che ogni uomo vorrebbe avere. La ragazza a cui si alza la gonna in “Quando la moglie è in vacanza” (1955) di Billy Wilder. Quel refolo di vento filtrato dalle grate della metropolitana su una strada di New York, davanti ad un cinema, mentre si bolle dal caldo, contribuì in maniera determinante a istituzionalizzare l’icona della bellezza, della gioventù, degli anni migliori della vita. L’immagine di Marilyn si è fissata nel tempo, e resiste al tempo. Marilyn Monroe è un mito che si nutre di se stesso. Divora se stesso. E si alimenta incessantemente. Nell’ultimo ventennio non si contano biografie, filmati, rivelazioni e documenti secretati venuti alla luce. Piccoli tasselli di un mosaico che ruota sempre attorno a due elementi: il sesso e la morte. Con chi si accompagnava (e come, e dove) la diva hollywoodiana; e chi l’ha uccisa. Neppure il serio e sobrio Clint Eastwood, nella sua recente biografia per immagini di Hoover, è riuscito a tenersi alla larga da questa morbosa attrazione. Nel film non vediamo né lei né il Presidente J.F. Kennedy in una camera d’albergo: ma sappiamo sin troppo bene che sono loro. Joe Di Maggio, il mitico giocatore di baseball, marito follemente innamorato dell’attrice, lo ha spiegato sin troppo bene. Marilyn custodiva in sé la dannazione di non essere amata. Non credeva che un uomo potesse veramente amarla. Questa insanabile ferita Marilyn se l’era procurata durante l’infanzia. Padre sconosciuto, madre instabile mentalmente, una dozzina di famiglie dove è stata in adozione, un finto genitore che le ha usato violenza. E poi mariti a ripetizione. E depressione. Medicinali per il sonno, per tenerla sveglia, per la paura di non farcela, per la fiducia di farcela: insomma per tutto. Infine la morte. Le illazioni sui mafiosi amici della famiglia Kennedy, che avrebbero dato una mano nel farla addormentare per sempre.
Finalmente un film su Marilyn ci risparmia sconcezze, illazioni, supposizioni. E prova, con semplicità disarmante, a farci capire chi è stata questa donna bellissima e sfortunata. Il film è “Marilyn” (“My Week with Marilyn”) di Simon Curtis, tratto dalle memorie dello scrittore inglese Colin Clark. Marilyn nell’estate del 1956 si reca in Inghilterra per girare con Laurence Olivier “Il principe e la ballerina”. L’attrice americana è sposata con lo scrittore Arthur Miller, e al cospetto di un attore come Olivier, che scandisce le battute di Shakespeare divinamente, è intimorita. La
lavorazione è un disastro. Marilyn ha inspiegabili ritardi, si impappina, si tormenta, piange, crolla e fugge dal set. Il mondo sembra sprofondarsi sotto i suoi piedi e trascinarla in fondo. Ha bisogno di aggrapparsi a qualcuno, ad un amico: e lo trova nel giovane Colin Clark, assistente tuttofare di Olivier. Colin è un ragazzo modello. Viene da una famiglia di intellettuali (suo padre è un Lord, celebre storico dell’arte), ha studiato a Eton e Oxford, ma vuole fare il cinema. Insieme passeranno una settimana indimenticabile: l’attrice troverà la forza di concludere il film; il ragazzo custodirà per tutta la vita l’indelebile ricordo di quei giorni. “Marilyn” ha l’impianto della favola romantica. E questo a molti ha fatto storcere il naso. La storia di Marilyn deve essere coniugata sempre sul versante della dannazione. Ma l’aver contravvenuto a questa regola, in definitiva, è il bello del film. Pensare che una diva al massimo della celebrità, che quando appariva in strada bloccava il traffico, e se entrava in un locale magnetizzava tutti gli sguardi, tenesse sul comodino la foto della madre e quella del presidente Abraham Lincoln (lo aveva scelto come padre, perché di quello vero non aveva mai visto il volto), è un faro acceso sui demoni che hanno accompagnato l’esistenza di Marilyn. Nel film ci sono pochi attori ma buoni. Michelle Williams è un’appropriata Monroe, così come Kenneth Branagh è un perfetto Olivier. Meglio guardare Marilyn Monroe nel finale in stile “Nuovo Cinema Paradiso” che spiarla dal buco della serratura.
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