Inghilterra, estate 1956. Marilyn Monroe arriva in Inghilterra perché è stata chiamata per recitare in "Il principe e la ballerina" al fianco di Sir Laurence Olivier. Il giovane Colin Clark - neolaureato ad Oxford e aspirante regista - mette piede per la prima volta in vita sua in un set cinematografico e diventa presto amico della diva. Una settimana che resterà per sempre impressa nella sua memoria...
Nell’estate del 1956 Marilyn si reca in Inghilterra per girare con Laurence Olivier “Il principe e la ballerina”. Un affettuoso resoconto di quel periodo per cercare di comprendere quel sofferente essere umano che si celava dietro la diva
Nel 1949 si concluse la guerra civile cinese con la vittoria del partito comunista e più di un milione di combattenti del Kuomintang furono costretti a rifugiarsi nell’isola di Taiwan spezzando l’unità di migliaia di famiglie. Solo quarant’anni dopo le autorità taiwanesi autorizzarono un solo viaggio all’anno ai suoi ex-combattenti per consentir loro di raggiungere la Cina Continentale per andare a trovare i propri parenti. Ne approfitta Liu Yansheng, ormai vecchio e vedovo, che decide di tornare a Shanghai per rivedere la sua prima moglie Yu-e che fu costretta ad abbandonare quando era incinta, senza aver mai potuto vedere il figlio. La situazione è complessa perché anche Yu-e nel frattempo si è unita con un matrimonio di fatto al soldato comunista Lu, dal quale ha avuto altri due figli…
Il piccolo Josh ha dieci anni e frequenta la Waldron Mercy Academy, una rinomata scuola cattolica di Philadephia. A settembre inizia l’anno scolastico ma la gioia di ritrovare i propri compagni e amici di classe è offuscata dalla tristezza per un recente lutto familiare: da poco tempo è morto il nonno che viveva in casa sua e a cui voleva molto bene. Del nonno ricorda in particolare la sua fede profonda e per questo, anche se non si considera molto credente, decide di chiedere a Dio un segno che gli dia la sicurezza che il nonno sta bene…
Circa 3000 anni fa Agamennone , un re greco pieno di mire imperialiste, decide di conquistare Troia con il pretesto di vendicare l'onore di suo fratello fratto becco dal bel Paride. E' costretto a portarsi con se l'altero Achille, terribile guerriero che si preoccupa solo che qualcuno parli di lui per i prossimi mille anni. A Troia intanto Ettore, tutto casa e famiglia, é costretto a scendere in campo per colpa di quello sciupafemmine di suo fratello.
Roma 1974. Guido è un artista d’avanguardia che vive come imperativo l’idea di essere provocatorio e anticonvenzionale, nella vita e nell’arte. Ama sua moglie Serena e i due figli, Dario e Paolo, di 10 e 5 anni, ma non evita di tradire la prima con le belle modelle con cui lavora, e di tenere i secondi al riparo solo il minimo indispensabile dai disordini di una vita sregolata. All’indomani di una mostra d’arte contemporanea milanese, dove Guido ottiene cattive recensioni per una sua performance che vorrebbe essere provocatoria ma che risulta solo ridicola, la coppia va in crisi. Guido incolpa Serena di averla voluta seguire a tutti i costi, deconcentrandolo. Serena, intanto, si lascia affascinare dagli umori femministi che circolano nel mondo dell’arte e accetta di seguire la gallerista Elke, con i bambini, in una vacanza in Provenza per sole donne. Quando Serena torna in Italia, è cambiata. La famiglia esplode, poi si ricompone, tra gioie e dolori, tutto sotto gli occhi dei due bambini, incolpevoli testimoni di uno stravolgimento dei costumi in un Paese che sta cambiando.
In un villaggio non lontano da Timbuktù durante il breve periodo, alla fine del 2012, in cui il Mali del Nord fu controllato da jihadisti affiliati ad al-Qai’da, truppe armate si aggirano per le strade per far applicare le più rigide norme islamiche e i loro tribunali funzionano a pieno regime. Le donne debbono indossare sempre il velo e i guanti, è vietato cantare o giocare a pallone. Dei giovani vengono frustrati purché sorpresi a suonare la chitarra; una ragazza è costretta con la forza a sposare uno dei guerriglieri . Kidane, che vive pacificamente tra le dune con la moglie Satima, la figlia Toya e il pastore 12enne Issan, un giorno uccide incidentalmente un pescatore ed ora anche lui deve presentarsi davanti al tribunale jihadista..
Chris Kyle, texano di nascita, cresciuto dal padre per essere un buon cristiano e un buon patriota, all’indomani degli attentati nelle ambasciate Usa di Kenya e Tanzania si arruola nei Navy Seals e grazie alla sua mira straordinaria entra nel corpo scelto dei cecchini che proteggono i movimenti delle truppe americane di stanza in Iraq. Nell’arco di quattro missioni e oltre mille giorni al fronte diventa il tiratore più micidiale dell’esercito americano, un eroe e una leggenda per i suoi, un obiettivo privilegiato per i nemici. Tanta violenza, compiuta e subita, lascia il segno e il matrimonio di Chris con Taya viene messo a dura prova finché Chris troverà un altro modo di servire il suo paese e i suoi compagni d’arme, ma la sua generosità finirà per costargli la vita.
Marilyn Monroe è stata la ragazza del piano di sopra che ogni uomo vorrebbe avere. La ragazza a cui si alza la gonna in “Quando la moglie è in vacanza” (1955) di Billy Wilder. Quel refolo di vento filtrato dalle grate della metropolitana su una strada di New York, davanti ad un cinema, mentre si bolle dal caldo, contribuì in maniera determinante a istituzionalizzare l’icona della bellezza, della gioventù, degli anni migliori della vita. L’immagine di Marilyn si è fissata nel tempo, e resiste al tempo. Marilyn Monroe è un mito che si nutre di se stesso. Divora se stesso. E si alimenta incessantemente. Nell’ultimo ventennio non si contano biografie, filmati, rivelazioni e documenti secretati venuti alla luce. Piccoli tasselli di un mosaico che ruota sempre attorno a due elementi: il sesso e la morte. Con chi si accompagnava (e come, e dove) la diva hollywoodiana; e chi l’ha uccisa. Neppure il serio e sobrio Clint Eastwood, nella sua recente biografia per immagini di Hoover, è riuscito a tenersi alla larga da questa morbosa attrazione. Nel film non vediamo né lei né il Presidente J.F. Kennedy in una camera d’albergo: ma sappiamo sin troppo bene che sono loro. Joe Di Maggio, il mitico giocatore di baseball, marito follemente innamorato dell’attrice, lo ha spiegato sin troppo bene. Marilyn custodiva in sé la dannazione di non essere amata. Non credeva che un uomo potesse veramente amarla. Questa insanabile ferita Marilyn se l’era procurata durante l’infanzia. Padre sconosciuto, madre instabile mentalmente, una dozzina di famiglie dove è stata in adozione, un finto genitore che le ha usato violenza. E poi mariti a ripetizione. E depressione. Medicinali per il sonno, per tenerla sveglia, per la paura di non farcela, per la fiducia di farcela: insomma per tutto. Infine la morte. Le illazioni sui mafiosi amici della famiglia Kennedy, che avrebbero dato una mano nel farla addormentare per sempre.
Finalmente un film su Marilyn ci risparmia sconcezze, illazioni, supposizioni. E prova, con semplicità disarmante, a farci capire chi è stata questa donna bellissima e sfortunata. Il film è “Marilyn” (“My Week with Marilyn”) di Simon Curtis, tratto dalle memorie dello scrittore inglese Colin Clark. Marilyn nell’estate del 1956 si reca in Inghilterra per girare con Laurence Olivier “Il principe e la ballerina”. L’attrice americana è sposata con lo scrittore Arthur Miller, e al cospetto di un attore come Olivier, che scandisce le battute di Shakespeare divinamente, è intimorita. La
lavorazione è un disastro. Marilyn ha inspiegabili ritardi, si impappina, si tormenta, piange, crolla e fugge dal set. Il mondo sembra sprofondarsi sotto i suoi piedi e trascinarla in fondo. Ha bisogno di aggrapparsi a qualcuno, ad un amico: e lo trova nel giovane Colin Clark, assistente tuttofare di Olivier. Colin è un ragazzo modello. Viene da una famiglia di intellettuali (suo padre è un Lord, celebre storico dell’arte), ha studiato a Eton e Oxford, ma vuole fare il cinema. Insieme passeranno una settimana indimenticabile: l’attrice troverà la forza di concludere il film; il ragazzo custodirà per tutta la vita l’indelebile ricordo di quei giorni. “Marilyn” ha l’impianto della favola romantica. E questo a molti ha fatto storcere il naso. La storia di Marilyn deve essere coniugata sempre sul versante della dannazione. Ma l’aver contravvenuto a questa regola, in definitiva, è il bello del film. Pensare che una diva al massimo della celebrità, che quando appariva in strada bloccava il traffico, e se entrava in un locale magnetizzava tutti gli sguardi, tenesse sul comodino la foto della madre e quella del presidente Abraham Lincoln (lo aveva scelto come padre, perché di quello vero non aveva mai visto il volto), è un faro acceso sui demoni che hanno accompagnato l’esistenza di Marilyn. Nel film ci sono pochi attori ma buoni. Michelle Williams è un’appropriata Monroe, così come Kenneth Branagh è un perfetto Olivier. Meglio guardare Marilyn Monroe nel finale in stile “Nuovo Cinema Paradiso” che spiarla dal buco della serratura.
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