IL GIOIELLINO (Franco Olearo)
Amanzio Rastelli gestisce la Leda, la sua azienda agro-alimentare ormai ramificata in tutti i continenti, con fare paternalistico. Nelle sue interviste ribadisce sempre che la sua azienda noin vende solo prodotti ma trasmette valori. Le crisi di liquidità sono però ricorrenti e il rag. Botta, il suo fidato Direttore Finanziario, deve continuamente rivolgersi al sistema bancario, prima nazionale, poi internazionale, per coprire il deficit fino al momento in cui neanche questo può più bastare...
Era importante ricostruire al cinema la storia del più grosso crack finanziario mai avvenuto in Europa. I film ripercorre in modo romanzato quasi 15 anni della storia della società Leda (cioà Parmalat) con una buona aderenza alla realtà ma manca di darci le motivazioni intime che hanno spinto i due protagonisti a comportarsi in modo così irresponsabile, nè riesce a ricostruire la fragilità del sistema finanziario che è stato corresponsabile del fallimento. Sono disponibili le recensioni di Paolo Braga e Franco Olearo
Valori Educativi
Il film non dà adeguate ragioni del comportamento irresponsabile dei due protagonisti, se non teorizzare una loro sostanziale indifferenza fra il bene e il male
Pubblico
10+Una rapida sequenza di incontro amoroso senza nudità.
Giudizio Artistico
Il film è rigoroso e sufficientemente completo nella ricostruzione dei fatti ma non riesce ad appassionare per la sua incapacità di darci ragione delle intime motivazioni e trasformazioni dei due protagonisti
Cast & Crew
Produzione
INDIGO FILMS
BABE FILMS
Rai Cinema
Bim Distribuzione
Regia
Andrea Molaioli
Sceneggiatura
Ludovica Rampoldi
Gabriele Romagnoli
Andrea Molaioli
Our Review
“I soldi non li abbiamo? Ce l’inventiamo”. Così, semplicemente, con una battutta, il rag. Botta suggerisce a Rastelli, patron del gruppo alimentare Leda, di passare da quella che era stata fino a quel momento una gestione aziendale difficile, rischiosa, ma pur sempre nei limiti della legalità, a una pura e semplice falsificazione dei dati contabili. E’ la banalità del male quello che più lascia perplessi nel lavoro di Andrea Molaioli. La ricostruzione dei fatti essenziali della vicenda, il più grosso crack europeo di tutti i tempi è accurata, pur nella necessaria sintesi imposta da un film ma è nella ricostruzione dei personaggi, delle loro motivazioni che si resta maggiormente perplessi.
Un film sul crack della Parmalat andava sicuramente fatto. Era importante riflettere non solo sul caso italiano ma in generale sulla fragilità delle strutture finanziarie nel contesto dell’economia mondiale così come è stato evidenziato in tanti casi clamorosi avvenuti in U.S.A. come nel resto del mondo.
Il regista e sceneggiatore Andrea Molaioli inizia giustamente il racconto partendo dagli inizi degli anni novanta, per raccontarci le radici remote della crisi, quando Amanzio Rastelli (leggi Calisto Tanzi della Parmalat) e il suo fido contabile Ernesto Botta (Fausto Tonna) decidono di quotare l’azienda in borsa e rastrellare così soldi dal mercato.
L’azienda subisce crisi ricorrenti (“nel latte non c’è marginalità” continua a insistere la sorella di Rastelli) e per sostenere una ambiziosa crescita oltre i confini nazionali la società si ritrova periodicamente in stato di carenza di liquidità.
”Per stare nei piani alti del capitalismo bisogna giocare con tre punte: un giornale, una squadra di calcio e una banca” osserva argutamente un non nominato senatore della Democrazia Cristiana che ha il suo tornaconto e in effetti ai tempi della Prima Repubblica un istituto di credito disposto a elargire un prestito si riesce ancora a trovare.
Fallimentari iniziative in Italia e all’estero (il film si concentra sull’iniziativa nella Russia post-URSS ma non cita il fallimento della rete televisiva Odeon-TV) costringono il rag. Botta a innescare un circuito vizioso in base al quale ulteriori prestiti vengono elargiti in cambio di acquisizioni di aziende decotte, soprattutto nel settore del turismo. La fase successiva lo porta ad effettuare spericolate operazioni finanziarie con aziende di comodo nei Caraibi e nelle isole Cayman, fino alla fase finale, la falsificazione dei documenti contabili con la costituzione di crediti inesistenti.
Il film narra questa complessa vicenda utilizzando una forma di docu-fiction che se ha il vantaggio di mantenersi aderente all’accaduto, resta debole proprio nella sua resa cinematografica.
Se Michael Moore in Fahrenheit 9/11 aveva adottato un approccio satirico-ironico e se Paolo Sorrentino ne Il divo aveva costruito una maschera comico-grottesca di Andreotti, entrambi erano riusciti a sviluppare le loro tesi critiche con un certo distacco dai fatti; Molaioli tenta invece l’approccio più difficile: un racconto con tutta la parvenza della realtà che però finisce per giocarsi tutto sulla credibilità dei due protagonisti.
Il patron Rastelli appare come un bonario anziano signore che si vanta delle sue semplici origini, gestisce l’azienda con toni paternalistici e in casa lava personalmente i piatti perché non ama certe macchine moderne ma poi non si comprende la disinvoltura (se non per una cocciuta voglia di restare a galla) con cui trascina la sua azienda verso la bancarotta.
Il rag. Botta è uomo sgradevole e solitario che si ritrova a suo agio solo fra i numeri, interamente dedito a quello che lui considera il bene della sua azienda, sempre cosciente della gravità della situazione ma poi effettua il passaggio all’illegalità con una leggerezza che lasciano lo spettatore insoddisfatto nella sua voglia di capire le dinamiche interne di quest’uomo. Ancor meno credibile il rapporto amoroso fra la giovane e bella nipote di Rastelli e il ruvido Botta.
Molaioli ha finito per privilegiare l’accuratezza della ricostruzione dei fatti saltando alcune basilari logiche narrative; un autore non è certo tenuto ad essere aderente ai personaggi reali ma ha comunque l’obbligo di dar ragione allo spettatore del dramma intimo di questi due uomini che progressivamente hanno modificato il loro sentire ed hanno percepito tutto pathos di un “gioellino” che si stava sgretolando.
Anche se il film chiude con la didascalia: ”ancora oggi le aziende sono valorizzate in borsa dieci volte di più del valore reale” l’opera resta incompleta nel delineare le reponsabilità dell’intero sistema finanziario, che in questa vicenda ha agito con una leggerezza pari a quella dei dirigenti della multinazionale.
Solo in una rapida sequenza finale si vede una folla di dimostranti contro la Leda. Troppo poco che dare la dimensione del danno che 150.000 risparmiatori hanno subito.
Autore: Franco Olearo
Details of Movie
Titolo Originale | IL GIOIELLINO |
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Paese | Italia |
Etichetta | Non classificato |
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