E’ STATO IL FIGLIO

201290 min14+  

La famiglia Ciaraulo vive poveramente in un miserabile quartiere di Palermo, con l’unico sostegno del lavoro precario del patriarca Nicola. Un giorno, però, la figlia più piccola, Serenella, muore accidentalmente colpita dal proiettile di un mafioso destinato a suo cugino. I Ciraulo fanno richiesta del risarcimento concesso dallo Stato ai parenti delle vittime di mafia. In attesa dei soldi fanno debiti e finiscono nelle mani di uno strozzino, ma anche quando il denaro arriva sarà all’origine di un’altra disgrazia…

Il film porta sullo schermo una storia di miseria nella Palermo di oggi, un desolante affresco senza alcun raggio di speranza


Valori Educativi



Il pubblico esce chiedendosi il senso di questo desolante affresco di Italia, dove non resta alcun raggio di speranza se non forse nell’inerzia e dove il sangue versato è destinato ad asciugarsi ed essere dimenticato, travolto dalla più quotidiana preoccupazione di pane e companatico.

Pubblico

14+

un paio di scene di violenza.

Giudizio Artistico



Con una fotografia nitidissima e precisa che trasforma una realtà miserabile in un paesaggio epico e quasi astratto, il film presenta una strana struttura che sembra essere la somma di tre film diversi

Cast & Crew

Our Review

Porta tutti i marchi di fabbrica della sua opera cinematografia (spesso in passato in tandem con Franco Maresco) da regista ma anche da direttore della fotografia (il film ha ricevuto uno dei due premi “di consolazione” del cinema italiano al Festival di Venezia 2011, quello per il contributo tecnico) l’ultima pellicola di Daniele Ciprì: una fotografia nitidissima e precisa che trasforma una realtà miserabile in un paesaggio epico e quasi astratto, personaggi grotteschi e sopra le righe e il piacere dell’indugiare sul dettaglio fisico e sul particolare “strano” che trasforma il quotidiano in mostro.

Quella dei Ciraulo è una vicenda drammatica che il carattere dei personaggi trasforma in un apologo quasi farsesco, in cui al dolore, pure se rumorosamente espresso, non viene concesso che un attimo prima di trasformarsi in un suo surrogato cinico e miserevole.

Quello di Ciprì è uno sguardo clinico e quasi crudele, di un’Italia di poveracci, miserabile, egoista e avida, dove la famiglia, apparentemente il valore centrale, si trasforma in una sorta di organismo parassitario che sfrutta i suoi componenti sia da vivi che da morti. Il patriarca Nicola, un Tony Servillo sempre professionale ma che qui cannibalizza un po’ il suo personaggio, non fa che lamentarsi perché deve sostenere tutta la famiglia, e la preoccupazione del soldo, quello per pagare pane e prosciutto, ma anche quello che fa la differenza in un mondo di miserabili, è la forza trainante di tutti, a parte forse l’inetto figlio maggiore Tancredi, che guarda il mondo con un perenne stupore e non sa dire nemmeno cosa vuole. Questo “idiota” (dostoevskijanamente inteso) è forse l’unico innocente (che non a caso finirà per diventare capro espiatorio) in un mondo dove fare significa sfruttare. I volti delle donne, all’occorrenza efficaci prefiche del lutto, solo illusoriamente sono prestati a una tragedia che diventa ben presto farsa.

Serenella, la figlia minore amata e vezzeggiata (ma non tanto da non abbandonarla in spiaggia se fa i capricci) cade vittima di un caso cinico e baro, ma il pianto per la sua morte diventa presto lo strumento di un possibile guadagno (il rimborso statale alle vittime di mafia, una perfida ironia dato che il proiettile che la colpisce era destinato al cugino, piccolo criminale) e quando finalmente i soldi arrivano, l’investimento in una splendida Mercedes sfocia in un’altra tragedia del possesso.

Il film di Ciprì soffre da un lato dell’impossibilità per il pubblico di empatizzare con quale che sia dei personaggi (sono tutti più o meno respingenti, fisicamente e non solo), dall’altro per la strana struttura che sembra essere la somma di tre film diversi: la prima parte, un lungo set up sulla famiglia Ciraulo, la seconda che ruota attorno alla morte di Serenella e alle disavventure legate al risarcimento (con kafkiane peregrinazioni per avvocati e tribunali prima, e visite ad un ambiguo strozzino poi), e l’ultima, una parabola sulla “robba”, la macchina adorata e maledetta (nonostante una costosa benedizione da una caricatura di sacerdote) simbolo di un riscatto impossibile.

Il pubblico esce chiedendosi il senso di questo desolante affresco di Italia, di viaggio nell’orrore del quotidiano, dove non resta alcun raggio di speranza se non forse nell’inerzia e dove il sangue versato è destinato ad asciugarsi ed essere dimenticato, travolto dalla più quotidiana preoccupazione di pane e companatico.

Autore: Laura Cotta Ramosino

Details of Movie

Titolo Originale E' stato il figlio
Paese Italia Francia
Etichetta
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