RAGIONE E SENTIMENTO
Da uno dei capolavori di Jane Austen, la giovane Elinor sa sempre come è giusto comportarsi secondo la virtù della prudenza, nella cattiva come nella buona sorte
Il signor Dashwood ha avuto tre figlie: Elinor, la maggiore, di 19 anni; Marianne di 17 e infine Margaret, la più piccola. Quando Dashwood muore, la tenuta di Norland dove vivono le tre sorelle con la madre, passa interamente al loro fratellastro John, in quanto primogenito, secondo le leggi del tempo che non prevedevano che le donne potessero ereditare. John, con sua moglie Fanny, si insedia presto a Norland e le Dashwood sono trattate come ospiti “non benvenute” nella loro stessa casa. Arriva nella tenuta Edward Ferras, il fratello di Fanny, un giovane sensibile e timido che stabilisce una forte intesa con Elinor. Le Dashwood trovano una provvidenziale sistemazione nel Barton Cottage, messo generosamente a loro disposizione da Sir John Middleton, un cugino della signora Dashwood. La casa di sir John è frequentata dal colonnello Brandon, non più giovane, che non tarda a sentire attrazione per Marianne, anche se le sue speranze vengono presto deluse: Marianne si innamora a prima vista del bel John Willoughby, che ha occasionalmente conosciuto quando lui l’ha soccorsa dopo esser scivolata sul prato bagnato. Le due sorelle resteranno presto deluse: Elinor viene a sapere che Edward è già segretamente fidanzato con una ragazza, Lucy, cugina di Lady Middleton, mentre John Willoughby si congeda frettolosamente da Marianne senza dare spiegazioni. Alle due sorelle non resta che consolarsi a vicenda, quando…
Valori Educativi
La protagonista Elinor esercita in modo eccelso la virtù della prudenza, non disgiunta da un disinteressato altruismo per il bene e la felicità degli altri
Pubblico
TuttiGiudizio Artistico
Una superba Emma Thompson dà vita a una ricostruzione impeccabile del racconto di Jane Austen sia come attrice che come sceneggiatrice
Cast & Crew
Produzione
LINDSAY DORAN - MIRAGE
Regia
Ang Lee
Sceneggiatura
Emma Thompson
Our Review
Potrebbe essere inutile domandarsi come mai i romanzi di Jane Austen, ambientati all’inizio dell’800, continuino a interessare tanto ancora oggi. In effetti, a parte il piacere di leggere un romanzo scritto benissimo (e Emma Thompson, nelle vesti di sceneggiatrice, è stata molto brava a metterlo in scena) le condizioni sociali descritte sono molto distanti da quelle attuali. “Le donne non possono ereditare e neanche realizzarsi con il lavoro; voi erideterete la vostra fortuna, noi non possiamo neanche guadagnarcela” commenta, rassegnata, Elinor mentre passeggia con Edward. Di fatto l’innamorarsi, lo sposarsi e il metter su famiglia diventa, per una donna, l’unico senso possibile da dare alla vita e la propria rispettabilità costituisce il valore primario da custodire. Alcune scene, dove si vedono le sorelle Dashwood che si ricompongono in fretta e si emozionano al solo vedere in lontananza un giovane che sta arrivando alla loro casa, potrebbe far inorridire tante femministe di oggi. Era quasi d’obbligo, nei racconti di quel tempo (anche in questo Ragione e Sentimento accade) la presenza di un uomini che approfittavano di una ragazza di rango inferiore, non riconoscevano il figlio nato da questa relazione e quest’ultima, per mantenersi, era costretta a prostituirsi. Un uomo, dal canto suo, non poteva liberamente sposare la ragazza che amava: se era di rango inferiore, veniva diseredato. Da qui il ricorso, anche in questo racconto, al fidanzamento segreto.
La risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio sta proprio nel fatto che, pur all’interno di una struttura sociale così diversa da quella odierna, uomini e donne si trovano ad affrontare e risolvere al meglio, ieri come oggi, i loro problemi e i protagonisti di questa trasposizione cinematografica del romanzo di Jane Austen decidono di comportarsi affrontando dubbi etici che sono assolutamente attuali e le due sorelle Dashwood finiscono per simboleggiare due modi contrapposti di rapportarsi con la realtà.
Il comportamento di Marianne, che spontaneamente, fin dal primo incontro, non nasconde i suoi sentimenti nei confronti di John Willoughby nonostante gli inviti alla cautela di Elinor che le suggerisce di conoscerlo prima meglio, potrebbe sbrigativamente venir classificato come l’esternazione di una ragazza che non riesce a controllare le sue passioni. In realtà Marianne si comporta in quel modo perché è convinta che i sentimenti abbiamo la capacità di “vedere”, sia pur in modo istintivo, la realtà delle situazioni, maggiore che non utilizzando la fredda ragione. Il suo modo di comportarsi in modo sempre estroverso, generoso, appassionato, non è solo espressione di un temperamento solare ma di una precisa filosofia di vita.
Per converso Elinor, la “contabile di casa”, che controlla che non vengano fatte spese superiori alla loro rendita mensile, che è paziente nell’attendere che Edward le manifesti i suoi sentimenti, controllata nel non esternare la sofferenza che gli ha comportato la notizia che il suo amato è segretamente fidanzato con un’altra, per l’impegno d’onore che ha preso di non rivelare questo segreto, viene rimproverata da Marianne per non avere il coraggio di combattere per la sua felicità, di comportarsi solo secondo criteri di “prudenza, onore, dovere” e potrebbe apparire una seguace dell’ etica del dovere kantiano.
In realtà lei si muove secondo una visione indubbiamente superiore, nella quale riconosce che esistono valori che trascendono la ricerca dei propri interessi e che è giusto perseguire. Non riesce ad esser adirata con Edward, perché il suo fidanzamento segreto era stato definito prima che conoscesse lei e il fatto che ora non se la senta di rompere il patto, agli occhi di Elinor, gli fa solo onore. “E’ ammaliante l’idea che la felicità di qualcuno sia interamente nella mani di una persona”: afferma Elinor, che antepone alla sua felicità l’apprezzamento delle virtù di Edward. Quando verso la fine, scoppierà in un pianto liberatorio, allo scoprire che i suoi desideri si stanno avverando, qualche critico ha osservato che le due sorelle hanno finito per avvicinarsi: Marianne ha imparato dai suoi errori a essere più controllata mentre Elinor, alla fine, riesce a esprimere con più libertà i suoi sentimenti. In realtà, a mio avviso, l’atteggiamento di Elinor resta superiore: ha applicato la virtù della prudenza, dominando i suoi sentimenti fino alla fine, concentrandosi piuttosto sul bene degli altri. Solo quando ha avuto la certezza di una speranza concreta per la sua felicità, non ha posto più freni nel mostrare pienamente i suoi sentimenti.
Anche altri personaggi sono espressione di una fine sensibilità: il colonnello Brandon, pur essendo a conoscenza di alcuni comportamenti sbagliati di John Willoughby, non cerca di screditarlo agli occhi di Marianne per avvantaggiare la sua posizione; dirà tutto quello che sa solo quando ormai Marianne è stata abbandonata e il venire a conoscenza di una certa la verità può costituire per lei una forma di consolazione.
La signora Dashwood, si rifiuta, nonostante le sollecitazioni della figlia Elinor, di chiedere a Marianne se ha ricevuto una promessa di matrimonio: lei non vuole e non può costringere la figlia a confidarsi: si confiderà solo quando lei vorrà.
Alla fine, sarà ancora una volta l’esempio delle due sorelle a offrirci il messaggio più edificante: la loro visione della vita, così diversa, non diminuisce di un millimetro l’affetto reciproco che essi provano; l’una soffre per le difficoltà dell’altra ma è pronta a partecipare anche alle sue gioie.
L’adattamento per il cinema del romanzo di Jane Aire realizzato che Emma Thompson si può definire ideale, come afferma Armando Fumagalli nel suo saggio “I vestiti nuovi del narratore” (editrice Il Castoro). Si tratta di un eccellente lavoro di cambiamenti, spostamenti piccoli e grandi per “far sì che lo schermo potesse rendere i valori e i personaggi del romanzo con la massima fedeltà sostanziale, ma anche con la massima comunicatività ed efficacia per uno spettatore del XX secolo”. I premi ricevuti alla sceneggiatura lo confermano: Oscar 1995 (sceneggiatura non originale) e Globo d’Oro 1966.
Autore: Franco Olearo
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