OSAMA

A Kabul, capitale dell’Afganistan, si è da poco instaurato il regime talebano. Sono soprattutto le donne a farne le spese. Devono sempre indossare il burqua, non possono lavorare, imprigionate in harem vivono alla mercé del loro signore. Una timida adolescente si traveste da maschio – facendosi chiamare Osama – per ottenere un lavoro e mantenere così la madre e la nonna. Sarà scoperta e non potrà sfuggire al suo terribile destino di donna afgana.

Valori Educativi



La forza di difendersi da un regime cupo ed opprimente. Manca una analisi delle ragioni del movimento dei talebani, visti acriticamente come male assoluto

Pubblico

14+

Per la tensione di alcune situazioni e le cupe emozioni che il film trasmette

Giudizio Artistico



Il regista ha il talento di saper cogliere la valenza simbolica di gesti minimi e di oggetti quotidiani, raccontandoli con una poesia misurata e toccante

Cast & Crew

Our Review

Osama è il primo film prodotto in Afganistan dopo il crollo del regime talebano in seguito all’invasione americana dopo l’attentato alla Torri Gemelle. Prodotto con mezzi limitatissimi, è stato molto apprezzato dalla critica internazionale arrivando a vincere negli Stati Uniti il Golden Globe come miglior film in lingua straniera. Siddiq Barmak, che ha scritto, diretto e prodotto il film, dimostra il talento – analogo a quello dell’iraniano Abbas Kiarostami (Sotto gli ulivi, Il sapore della ciliegia) o del cinese Zhang Zimou (Lanterne rosse, Vivere, La strada verso casa) – di saper cogliere la valenza simbolica di gesti minimi e di oggetti quotidiani, raccontandoli con una poesia misurata e toccante. Gli attori, in modo particolare la giovane protagonista, sebbene non professionisti o addirittura all’esordio davanti alla macchina da presa, riescono a comunicare con intensità e senza retorica le angosce e le flebili speranze che animano i propri personaggi.

Il film, in modo pacato e sobrio, trasmette tuttavia un’angoscia soffocante. L’unico sollievo – quando iniziano a scorrere i titoli di coda – è il pensiero che il regime talebano sia ormai crollato. Le donne non sono più costrette a nascondersi dietro il burqua, possono studiare e lavorare e chiuderle a chiave in un harem è diventato un crimine. Ma poi, nello spettatore, sorge una domanda: chi erano questi famigerati talebani, da dove venivano e perché facevano tutto questo? Nel film di Barmak sembrano animati da una violenza cieca e sorda, emissari senza volto di un male assoluto e incomprensibile. Ne viene illustrata tutta la banale ipocrisia attraverso il contrasto fra la meticolosità dei loro rituali di purificazione e la noncurante spregiudicatezza con cui costringono una giovane adolescente ad un umiliante concubinato.

Il male che i talebani incarnano è così incondizionato da apparire una specie di forza astorica. La trama del film potrebbe essere ambientata in una qualsiasi epoca buia, lontana nel passato o nel futuro dell’umanità: al posto dei talebani potrebbe esserci un’imprecisata tribù barbara o un esercito di invasori venuti da un pianeta lontano. Questo il limite del film: favola nera o terribile incubo che afferra lo stomaco, ma che non aiuta minimamente a capire come e perché il popolo afgano, e soprattutto le donne afgane, l’abbiano vissuta. Non si vuole dire che il regista abbia costruito una cupa metafora estrema ed astratta (di fatto esso è ispirato ad una storia vera) e che non sia giusto, doveroso e meritevole denunciare ciò che è successo in Afganistan. Ma va rilevato che la storia della piccola Osama non può che suscitare negli spettatori un unico desiderio: imbracciare un arma per estirpare i talebani dalla storia. Detto in modo brutale, il film di Barmak – pur con tutto il valore della sua delicata poesia e la finezza della sua simbologia – sarebbe stato un’efficace documento di propaganda per l’intervento armato in Afganistan. I talebani sono presentati come quanto di più “altro” si possa immaginare. È esclusa a priori ogni possibilità di dialogo, di comprensione, di incontro. Non c’è alternativa allo scontro armato. Non a caso un critico ha assimilato il personaggio della piccola Osama alla Bess di Onde del destino e alla Selma di Dancer in the dark: il pessimismo dell’afgano Barmak richiama da vicino quello del danese Von Trier. A prescindere dal giudizio politico sulla storia recente dell’Afganistan, il film di Barmak si presenta dunque più come un amaro epitaffio su un passato – speriamo – ormai morto, piuttosto che la prima pietra del futuro Afganistan.

Il film non presenta scene di esplicita violenza, tuttavia la tensione di alcune situazioni e le cupe emozioni che nel suo complesso trasmette lo rendono adatto ad un pubblico maturo.

Per gentile concessione di: Studi Cattolici

Autore: Francesco Arlanch

Details of Movie

Titolo Originale OSAMA
Paese Afghanistan/Giappone/Irlanda
Etichetta
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