L’ISOLA DEI CANI
Giappone, 2037. Una terribile influenza canina si è diffusa nella distopica città di Megasaki, rischiando di mettere a repentaglio anche la vita degli umani. Ecco così che il sindaco firma un decreto per l’espulsione di tutti i cani della città, destinati all’esilio sull’isola della spazzatura, una discarica a cielo aperto. Il primo cane a essere mandato in quarantena è Spots, il bastardino di Atari Kobayashi, nipote del sindaco stesso e sotto la tutela di questo da quando i genitori hanno perso la vita in un brutto incidente. Intenzionato a ricongiungersi con il suo amico a quattro zampe, Atari vola verso l’isola della spazzatura e qui stringe amicizia con Chief, Rex, King, Boss, Duke, cinque cani “maschi alfa”. I cani, dimenticati da tutti, anche dai loro padroni, e costretti a una nuova vita di risse, stenti e cibo andato a male, aiuteranno il piccolo umano a ritrovare il suo Spots.
Nel Giappone del 2037, una terribile influenza canina convince il sindaco di una città a esiliare tutti i cane nell’isola “spazzatura” ma il piccolo Atari si mette alla ricerca del suo cagnolino. Un racconto che valorizza l’incontro con il diverso
American Empirical Pictures
Indian Paintbrush
Scott Rudin Productions
Valori Educativi
L’incontro con l’altro, specialmente se diverso, apre a interessanti percorsi di senso, generando l’inaspettato, che infine si rivela il miglior finale auspicabile.
Pubblico
10+Immagini violente all’interno del genere
Giudizio Artistico
0Il film di Anderson è poetico, non solo nella tecnica animata, che ha il gusto del lavoro artigianale e la bellezza di una fotografia che fa da sfondo agli stati d’animo e alle emozioni del film, ma anche nelle infinite metafore a cui la lettura del testo apre e che lo rende fruibile attraverso diversi livelli di lettura, che lo rendono interessante, per complessità, soprattutto a un pubblico più adulto.
Cast & Crew
Produzione
American Empirical Pictures
Indian Paintbrush
Scott Rudin Productions
IN COPRODUZIONE CON STUDIO BABELSBERG
Regia
Wes Anderson
Sceneggiatura
Wes Anderson
Our Review
L’isola dei cani, ultimo lungometraggio animato del regista Wes Anderson, interamente girato in stop motion, senza l’ausilio della computer grafica, ha aperto quest’anno il Festival di Berlino, aggiudicandosi anche l’Orso d’Argento.
Secondo esperimento dopo Fantastic Mister Fox, basato su un romanzo breve di Roald Dahl, di cui il regista si dichiara un estimatore, L’isola dei cani è un omaggio al cinema giapponese, Akira Kurosawa in primis e Hayao Miyazaki, ma anche alla lingua del Paese del Sol Levante dal momento che, come recitano i titoli iniziali, solo i latrati dei cani sono stati interamente tradotti (in inglese e, per le nostre sale, in italiano), mentre la lingua degli umani, il giapponese, è solo sporadicamente tradotta o dalla traduttrice simultanea del sindaco o da Tracy Walker, studentessa statunitense in scambio scolastico in Giappone. Non occorre del resto capire tutto, in quanto il film è girato proprio dalla parte dei cani, ritratti come animali fedeli oltremodo e ben più “umani” degli umani stessi, per lo meno di quelli adulti. La dicotomia tra il mondo degli adulti e quello dell’infanzia (di cui i cani si fanno protettori) è quasi di reminiscenza dahaliana: gli adulti sono ritratti come corrotti dal potere, mentre i bambini si rivelano coerenti e incorruttibili, come dimostra anche il personaggio di Tracy Walker, studentessa ribelle intenzionata ad opporsi alla dittatura e ad aiutare, da lontano, il piccolo Atari.
Il film di Anderson è poetico, non solo nella tecnica animata, che ha il gusto del lavoro artigianale e la bellezza di una fotografia che fa da sfondo agli stati d’animo e alle emozioni del film, ma anche nelle infinite metafore a cui la lettura del testo apre e che lo rende fruibile attraverso diversi livelli di lettura, che lo rendono interessante, per complessità, soprattutto a un pubblico più adulto.
Mentre la scienza, sostenuta dai pochi attivisti “pro cani”, si batte per trovare un antidoto al virus, i fedeli della dittatura al potere pensano che l’unica soluzione sia nell’esilio prima e nello sterminio poi degli animali. I problemi non si risolvono, per il bene comune, ma si eliminano nella maniera più semplice: l’imperfezione, la non funzionalità sono colpe inammissibile nel futuro distopico descritto da Anderson e che a tratti richiama, tristemente e per diversi aspetti, la nostra contemporaneità. Politica, ambientalismo, emarginazione, difficoltà dell’affetto familiare, amicizia e amore: sono tanti i temi più o meno “caldi” toccati dal film di Anderson. A differenza di altri film di genere distopico però, il lieto fine trova qui sviluppo proprio all’interno della relazione, che ha il potere di cambiare e trasformare positivamente uomini e cani. È quello che accade a Chief, unico cane randagio del gruppo dei maschi “alpha” e per questo restio ad aiutare il piccolo Atari: è solo nel rapporto e nella conoscenza con il piccolo che il cane si lascia “addomesticare” nel senso saint-exuperiano del termine, fino a diventarne la sua fedele guardia del corpo. Lo stesso accade al terribile zio sindaco (che ha le sembianze fisiche di un noto dittatore del passato), ma anche allo stesso Spots, che fino ad allora ha conosciuto e pertanto concepito un unico tipo di vita. L’incontro con l’altro, specialmente se diverso, apre invece a ulteriori percorsi di senso, generando l’inaspettato, che infine si rivela il miglior finale auspicabile.
Autore: Eleonora Fornasari
Details of Movie
Titolo Originale | Isle of Dogs |
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Paese | GRAN BRETAGNA |
Etichetta | FamilyOro |
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