IL PRINCIPE DEL DESERTO
Arabia, anni '30. Nella penisola araba due emiri, Nesib e Amar si sono dati battaglia per motivi territoriali. Amar è uscito sconfitto e come pegno di pace deve consegnare al vincitore i suoi due figli maschi, Saleeh e Auda in ostaggio. Passano gli anni e Nesib, con l'aiuto di esperti americani, scopre il petrolio proprio nella zona contesa. L'inizio della guerra è inevitabile. Il giovane Auda cerca ancora di far pervenire i due contendenti ad un accordo anche perché è innamorato della principessa Lallah, figlia di Nesib....
Nelle recensioni di Franco Olearo e Luisa Cotta Ramosino un film sulla nascita dell'Arabia Saudita. Un film interessante perchè appare onesto nel presentare i valori dell'Islam ma anche i rischi del fanatismo religioso e i problemi che scaturiscono dal continuo confronto con l'Occidente
Valori Educativi
Onesta rappresentazione del mondo islamico, nei suoi valori, nel suo fanatismo, nella ricerca, sempre difficile, di un modo di conciliare la modernità con la fede
Pubblico
10+Qualche scena nella quale i cammelli vengono uccisi per sfamare gli uomini in marcia nel deserto potrebbe impressionare i più piccoli
Giudizio Artistico
Film ad alta spettacolarità, ma la sceneggiatura perde colpi, soprattutto nel finale, per cercare di arrivare al previsto lieto fine. Deludente il protagonista, Tahar Rahim, divertente Antonio Banderas nelle sue vesti di furbo opportunista e praticamente perfetto Mark Strong, il sultano spirituale
Cast & Crew
Produzione
CARTHAGO FILMS S.A.R.L.
THE DOHA FILM INSTITUTE
France 2 Cinéma
PRIMA TV
QUINTA COMMUNICATIONS
Regia
Jean-Jacques Annaud
Sceneggiatura
Menno Meyjes
Jean-Jacques Annaud
Alain Godard
Our Review
Abbiamo una buona conoscenza del cinema cinese che è di casa anche in Italia con una certa frequenza. Anche il cinema indiano non ci è estraneo grazie alla fama che Bollywood si è conquistata. E del cinema di origine araba cosa sappiamo? A parte alcuni film di qualche dissidente iraniano che passa rapidamente per le nostre sale, poco o nulla. Eppure molti di questi paesi si affacciano al nostro stesso Mediterraneo, sono nostri vicini, ma per noi spesso è difficile uscire dallo sbrigativo giudizio di terre di uomini terroristi e di donne con il velo.
Ben vengano quindi film come Il principe del deserto che, pur con i suoi difetti, ha avuto la buona intenzione di voler aprire un dialogo fra le due culture cercando di presentare alcune peculiarità dell'Islamismo.
Che ciò sia stata un'operazione difficile lo dimostrano i risultati: mettendo da parte i giudizi tecnici, in Occidente (eccezion fatta per qualche recensione lusinghiera in Francia) il film è apparso come una forma di promozione pro-islamica mentre gli spettatori arabi (il film è stato presentato al Doha Tribeca Film Festival) sono rimasti sconcertati nel vedere tanti attori occidentali recitare in una storia così medio-orientale.
Personalmente non condivido l'ipotesi fatta da molti dei nostri critici che lo hanno ritenuto un prodotto realizzato a scopi promozionali ad uso e consumo dell'Occidente: propendo più per l'ipotesi di un film arabo destinato agli arabi (l'Occidentale è visto come lo "straniero ", il "diverso" e i due americani presenti nel film, sono poco più che delle comparse) per trasmettere una visione moderata di apertura alla modernità. La non completa realizzabilità con registi e attori arabi può esser stata determinata propria dalla necessità di esprimere con libertà certe idee. Fra i paesi produttori non figura certo l'Arabia Saudita ma l'Emirato del Qatar, wahhabita anch'esso, che nel passato più recente ha avuto con il primo non pochi motivi di conflitto.
Nel mondo complesso e variegato dell'Islam, la situazione non è diversa dal protestantesimo cristiano: essendo riconosciuta la libera interpretazione del libro sacro, si sono formate e si formano continuamente diverse correnti interpretative del Corano, dalle più ortodosse alle più moderate.
Il film, sotto la forma di una saga, quasi di una favola di re e principesse, presenta situazioni e stati d'animo reali vissuti in passato in Arabia Saudita: la conflittualità fra le varie tribù poi risolta con l'unificazione sotto il re Ibn Saud nel 1927; il passaggio tumultuoso da una vita seminomade alla prosperità ottenuta grazie alla scoperta del petrolio avvenuta negli anni '30 con l'aiuto delle compagnie petrolifere americane.
Il racconto romanzato di una storia del passato è anche il pretesto per esprimere giudizi su temi attualissimi: i rapporti con l'Occidente e il rapporto dell'uomo con la propria fede.
L'Occidente è visto in una continua alternanza fra l'ammirazione per le tecnologie che apporta e il timore per la loro eccessiva invadenza e la loro sete di ricchezza..
"Essere un arabo è essere un cameriere al banchetto del mondo” dice amareggiato l’emiro Nesib prima che venga scoperto il petrolio nella sua terra.
Amar è più tagliente: "La costruzione di ospedali, di scuole, sono piccole concessioni che gli stranieri ci concedono; arriveranno sempre di più e costruiranno migliaia di quei pozzi: loro soffrono di una sete talmente grande che non si potrà mai estinguere. E anche se se ne andassero via, alla fine non saremmo più in grado di riconoscere noi stessi".
Anche in altri passaggi del film non traspare mai una visione universalista, ma piuttosto il concetto che fuori dall'Islam non c'è salvezza.
Lo conferma indirettamente il principe Auda, che nel film impersona un atteggiamento conciliante fra i due mondi: nel pieno del conflitto tribale esclama: "Allah odia quello che ci facciamo uno contro l'altro". Si tratta di una nobile frase rivolta ai fratelli musulmani ma implica che per chi non è un fedele dell'Islam ci si può comportare diversamente.
Alla fine la frase finale di Auda potrebbe essere una forma di buon auspicio: " Loro (gli occidentali) hanno qualcosa da insegnarci, ma anche noi a loro". "
I rituali della fede islamica segnano i passaggi principai del film (abluzioni mattutine, le preghiere in ginocchio rivolti alla Mecca) e la tematica religiosa è presente in tutti i dialoghi dei protagonisti.
Ogni decisione importante viene presa alla luce del Corano.
Quando Auda si ritrova accanto al fratellastro morente, si affretta a fargli pronunciare le tre frasi di rito, sulla fede in Allah e su Maometto suo unico profeta. Non manca la tensione dell'attesa del messia: Auda, mostratosi un guerriero abile e vittorioso, viene acclamato a furor di popolo come il Mahdi.
Il culmine della disputa religiosa si svolge nella reggia di Amar, dove si fronteggiano da una parte gli imam del sultanato che ritengono che tutte le modernità importate dall'Occidente siano opera del diavolo, dall'altra il principe Auda che è contro le guerre fra musulmani ed a favore dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Si tratta della sequenza più coraggiosa del film: vengono ben messi in evidenza i pericoli di una interpretazione letterale e fanatica del Corano, non temperata dalla ragione e dal buon senso.
La scena sintetizza efficacemente il conflitto dottrinale che avvenne realmente fra Ibn Saud e gli Ikwan, la sua milizia religiosa, che ritenevano che il telefono, la radio, le automobili importati dall'Occidente fossero strumenti del diavolo. Disputa che si tramutò in una ribellione che Ibn Saud riuscì a sedare solo nel 1930.
L'emiro Amar, il padre di Auda, impersona i valori della fede islamica: non viene mai meno alla parola data, pone al massimo grado l'amore per la famiglia, disprezza le ricchezze e ritiene che "tutto quello che può essere comperato non ha alcun valore".
Nessuna apertura traspare invece nella posizione della donna che è vista nel modo che purtroppo già conosciamo: la principessa Lallah, appena raggiunta la pubertà, non può più giocare con i ragazzi e viene chiusa nell'Harem, in attesa che venga scelto il suo sposo. Solo la schiava Aicha (Liya Kebede) liberata dal principe Auda, mostra fierezza e spirito di indipendenza.
Il film è sicuramente spettacolare (di grande effetto le battaglie nel deserto) ma la sceneggiatura perde colpi soprattutto nel finale, dove finisce per "risuscitare" chi è opportuno che non muoia e far morire per una pallottola non destinata a lui chi è opportuno che esca di scena. Divertente Antonio Banderas nelle vesti di furbo manipolatore delle situazioni e praticamente perfetto Mark Strong nelle vesti dell'incorruttibile, onesto emiro Amar, devoto di Allah. Deludente invece Tahar Rahim (il protagonista di Il profeta) (il protagonista di Il profeta) , che non è convincente nella sua trasformazione da tranquillo bibliotecario a geniale condottiero. L'indiana Freida Pinto, dopo il successo di The Millionaire, qui , dopo il successo di Milliona si limita a fare la bella bambolina.i tratta Si tratta di una no
Autore: Franco Olearo
Details of Movie
Titolo Originale | Black Gold |
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Paese | FRANCIA ITALIA QATAR |
Etichetta | Non classificato |
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