IL GIOIELLINO (Paolo Braga)

2011110 min14+  

Il caso Parmalat, raccontato per capire le personalità dei responsabili. L’azienda di Parma diventa la Leda, industria lattiera di un’imprecisata città di provincia, mentre Calisto Tanzi prende il nome di Amanzio Restelli e il volto di Remo Girone. Toni Servillo si cala nella parte del ragionier Botta, cioè di Fausto Tonna: la mente finanziaria della Parmalat. Alla figlia di Tanzi, quella che sotterrò nel giardino di casa i preziosi di famiglia, corrisponde infine la nipote manager di Restelli, interpretata da Sarah Felberbaum.

Valori Educativi



Il film denuncia la mediocrità umana alla base della bancarotta della multinazionale di Collecchio. Tutti i caratteri (tranne uno) sono negativi, nessuno prende mai in considerazione la dimensione etica del proprio fare.

Pubblico

14+

Una breve sequenza amorosa

Giudizio Artistico



Nonostante il gusto di accedere al dietro le quinte della cronaca recente, nonostante le ironie sulla nostra classe dirigente, si sente presto la necessità di un cambio di marcia che la trama non trova mai. il cinema può fare di più della denuncia documentata

Cast & Crew

Our Review

 È la storia delle sconsiderate gesta che hanno causato a migliaia di ignari risparmiatori la perdita dei loro soldi. Si parte con la Ledache è un “gioiellino” e che più di così non può dare perché il lattiero-caseario “dà basse marginalità”, si passa per il rifiuto di vendere da parte del titolare, quindi per la quotazione in borsa, poi per un’infausta campagna di espansione in Russia e per la falsificazione dei bilanci, fino alle turlupinerie della finanza internazionale e al patatrac, sul cui primo deflagrare cala il sipario.  

Non bisogna per forza essere Gordon Gekko per scatenare una catastrofe finanziaria. Dietro un crac non c’è necessariamente un genio del male e della speculazione come il celebre personaggio del film Wall Street. Bastano un imprenditore un po’ ottuso, un ragioniere senza remore, e una ragazza che parla inglese. Questo il messaggio di un film che si esaurisce nel denunciare la mediocrità umana alla base della bancarotta della multinazionale di Collecchio.

Vedendo ci si arrabbia, ci si deprime, senza trovare appigli per sperare in un futuro diverso. Il che è un limite nella misura in cui a mancare è anche un personaggio cui ci si possa affezionare. Con mano di scrittura tipicamente italiana, la storia propone una rosa di caratteri tutti negativi: “senza coscienza”, come dice il regista Molaioli. L’unico che ne ha una è il giovane responsabile marketing della ditta, lentamente consapevole dello sfacelo cui sta partecipando. È però in posizione defilata, non fa nulla per rimediare, e alla fine si suicida.

Gli altri personaggi fanno cadere le braccia. Restelli/Tanzi dice che la sua ditta produce valori, va in chiesa con la moglie, intanto corrompe cardinali e senatori cattolici (per gli autori, andatici giù pesante su questo aspetto, “l’elemento simil-mistico è molto funzionale alla facciata di chi si professa portatore di valori, compiendo poi qualsiasi tipo di atto che contraddica i valori su cui si richiama. Questo accomuna una buona parte del mondo dell’imprenditoria, della politica, di tutti”).

Stesso discorso per gli altri due protagonisti. La nipote manager pensa solo a far vedere di cosa è capace in azienda e, complice di Tonna/Botta, ci va a letto. Passaggio fuori tema e non motivato: lei è bella, rampante e nipote del padrone, lui brutto, meschino, distaccato da tutto. E fa già sesso in ufficio con la segretaria.

Come in stato di trance, nessuno prende mai in considerazione la dimensione etica del proprio fare. Così, l’andamento della trama segue la logica del piano inclinato verso il peggio. Un peggio già noto al pubblico. Nonostante il gusto di accedere al dietro le quinte della cronaca recente, nonostante le ironie sulla nostra classe dirigente, si sente presto la necessità di un cambio di marcia che la trama non trova mai. Unici guizzi: dialoghi interessanti con battute a effetto (“per fare il capitalista bisogna giocare a tre punte: avere una banca, un giornale e una squadra di calcio”).

Uno sceneggiatore americano avrebbe raccontato le stesse cose dal punto di vista di un giovane personaggio, iniziato al malaffare, quindi pentito e, con sforzo, dissociato. Oppure dal punto di vista di un dipendente che indaga e che finisce, rischiando di suo, per scoprire il marcio. Il film, invece, punta esclusivamente a dare il senso di “una provincia che pone il provincialismo come un merito e non come un limite: un grosso problema quando è un’intera nazione a diventare provincia”.

Ma il cinema può fare di più della denuncia documentata. Per questa c’è già Report la domenica sera.

Autore: Paolo Braga

Details of Movie

Titolo Originale IL GIOIELLINO
Paese ITALIA
Etichetta
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