UOMINI DI DIO

10+   Ispirazione CristianaUomini e Donne di Chiesa

L'ultimo anno di vita degli otto monaci uccisi in Algeria nel 1996. La fede ha trasformato questi semplici uomini in eroici martiri

Nel 1938 viene completata l’erezione del monastero cistercense di Notre-Dame de l’Atlas a Thbhirine nella regione Medea, in  Algeria. Da allora i monaci  del monastero hanno vissuto pacificamente con la popolazione del villaggio vicino, costituito interamente dai mussulmani, fino al 1996. In quell’anno gli otto monaci che sono presenti nel monastero continuano a vivere in povertà ed in preghiera, al servizio della popolazione ma Ia notizia dell’uccisione di alcuni lavoratori stranieri che operano nella zona da parte di un gruppo di fondamentalisti islamici dà  ai monaci la precisa sensazione che la loro vita è in pericolo.  Christian, il superiore del monastero propone agli altri monaci di non partire…


Valori Educativi



“Il pastore non abbandona il suo gregge nel momento in cui arriva il lupo” -commenta un frate. “Partire è morire” commenta il frate medico.
 Al più giovane di loro, il più timoroso di perder la vita, il priore ricorda che “la tua vita tu l’hai già donata, per seguire Cristo, quando hai deciso di abbandonare tutto” e ancora: “si è martiri per amore. La nostra missione qui è di essere fratelli di tutti. L’amore supera tutto, sopporta tutto”.

Pubblico

10+

Il tema trattato è molto nobile anche se può esser ben compreso a partire da adolescenti

Giudizio Artistico



Il film ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria del 63º Festival di Cannes

Our Review

E’ un vero piacere  vedere film come questo.  Non è tanto interessante il racconto dei fatti realmente accaduti nel 1996 a cui si ispira il film, noti ai più, ma ciò che affascina è il modo con cui il regista è riuscito a scavare nell’intimo di animi nobili come quelli degli otto frati di Thbhirine, uomini semplici abituati a vivere con semplicità, impegnati di colpo a trovare, o meglio a ritrovare il senso più profondo della loro esistenza e, con tutti i timori e le paure di qualsiasi essere umano in simili circostanze, costretti a fronteggiare l’ipotesi concreta del martirio.

Il film inizia con il racconto di come trascorre una giornata ordinaria di questi monaci:  all’interno della loro comunità, fatta di momenti di preghiera e di lavoro nei loro campi ma anche quella passata al servizio degli abitanti del paese limitrofo : visite mediche (padre Luc è un dottore), aiuto a chi non sa leggere e scrivere ma anche vendita al mercato del miele da loro stessi prodotto  allestendo una bancarella in mezzo a tante altre.
I monaci si incontrano periodicamente con i notabili del paese per discutere temi di interesse comune o per partecipare alle ricorrenze del paese; in queste e in altre occasioni il priore non manca di mostrare la sua profonda conoscenza del Corano ricordando la saggezza che traspare da  tante sue pagine.

La seconda parte del film inizia con una tragedia (l’uccisione di alcuni lavoratori croati da parte di terroristi islamici ostili al governo) e  appare chiaro che gli otto monaci corrono un pericolo reale.

Da questo momento il regista inizia ad approfondire la psicologia, i pensieri, i dubbi degli otto uomini. E’ la parte più bella del film, dove ci viene mostrato la profondità e al contempo l’ altezza a cui l’animo umano può arrivare. Essi ci appaiono fragili e pieni di timori (il più giovane di loro si sente addosso, la paura fisica che lo attanaglia) ma al contempo cercano continuamente di ritrovare il significato più profondo della loro presenza in quel paese.
Hanno una decisione da prendere e lo fanno da uomini di Dio:  pregano nella loro piccola cappella ma spesso meditano all’aperto, a contatto con la natura; si riuniscono per discutere o parlano privatamente con il priore, aprendo senza reticenze il loro cuore.

Quando  alla fine, pur con motivazioni diverse, tutti concordano con la decisione di restare, ormai hanno vinto, perché la vittoria è dentro di loro.

Molto giustamente il regista narra sbrigativamente la terza fase, quella della loro cattura e prigionia evitandoci  qualsiasi dettaglio violento. La vera storia, quella della tempesta nell’animo degli otto frati si era già  conclusa in precedenza, celebrata con una strana festa organizzata nel loro refettorio intorno a un bicchiere di vino buono e come sottofondo la musica del Il lago dei cigni di Tchaikovsky  proveniente da una vecchia radio.  

 Il film apre la strada a molte discussioni, come ogni film che sa scavare seriamente intorno a dei fatti realmente accaduti.
 Era giusto restare o  sarebbe stato più corretto preservare la propria vita e proseguire l’attività in un’altra zona meno rischiosa?
 Per dei monaci benedettini è corretto l’atteggiamento di stabilire una presenza pacifica in mezzo a un territorio mussulmano senza fare apostolato o deve sempre venir mantenuto l’obiettivo prioritario della  diffusione del Vangelo?
 Sono risposte difficili da dare e in questo si è condizionati dalla rappresentazione dei fatti che ci è stata presentata dall’autore.
 Il terrorista Ali Fayattia che uccide gli operai croati ma poi stranamente si dimostra rispettoso dei frati e della loro fede sembra essere stato introdotto dall’autore per indurre lo spettatore ad assumere una posizione baricentrica fra i rivoltosi e i governativi algerini. Xavier Beauvois che si definisce un ateo sembra guardare la fede cristiana e quella musulmana con equidistanza, proprio per sottolineare l’importanza di una convivenza pacifica.
 La risposta va ricercata probabilmente nelle prime immagini del film, nella perfetta simbiosi fra il monastero e il villaggio.
 “Il pastore non abbandona il suo gregge nel momento in cui arriva il lupo” -commenta un frate. “Partire è morire” commenta  Luc, il frate medico.
 Al più giovane di loro, il più timoroso di perder la vita, il priore ricorda che “la tua vita tu l’hai già donata, per seguire Cristo, quando hai deciso di abbandonare tutto” e ancora: “si è martiri per amore. La nostra missione qui è di essere fratelli di tutti. L’amore supera tutto, sopporta tutto”.
 Ecco allora il significato del restare: restare per testimoniare senza tentennamenti che ciò per cui hanno dedicato un’intera vita è ciò per cui sono disposti anche a morire.
 Nel suo testamento spirituale, letto in voce-off alla fine del film, Christian non dimentica di perdonare chi lo ha ucciso: “..anche per te amico dell’ultimo minuto che non sapevi quello che facevi, anche per te voglio che questo grazie e questo a-Dio comprendano anche te e che ci sia permesso di ritrovarci. “ladroni felici”, in paradiso. A Dio piacendo a nostro padre, padre di entrambi”.  

Autore: Franco Olearo

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