IO RESTO
Nel 2020, quando non si prospettavano ancora vaccini, Il regista si muove in un ospedale di Brescia entra dentro il dramma del Covid con discrezione, osservando il cambiamento radicale dei rapporti umani che questo ha provocato, ci rende partecipi dell’impegno di medici e paramedici, segue la gioia della guarigione ma anche il dolore per chi non ce l’ha fatta
Ospedali Civili di Brescia, anno 2020. Un picco di contagio riempie le corsie del nosocomio. Un virus non ancora ben conosciuto, un decorso lungo delle degenze, rigida necessità di isolamento: le relazioni all’interno della struttura sono radicalmente ridisegnate, sia tra colleghi del personale medico e paramedico, sia con i pazienti, sia con in familiari. Un documentario che, con delicatezza e senza ostentazione, riprende alcuni momenti lieti e meno lieti nei reparti dell’ospedale bresciano nei momenti più acuti della pandemia
Michele Aiello
Valori Educativi
Di fronte a un male ancora non governabile (nel 2020) il personale ospedaliero non si risparmia nel prestare le cure necessarie mostrando grande umanità nello stare vicino ai malati, nel gioire per le guarigioni, nel rattristarsi per le morti
Pubblico
10+Situazioni di gravi malattie e di morti possono impressionare i più piccoli
Giudizio Artistico
Il regista usa grande delicatezza nel raccontare le storie delle persone coinvolte, non giudica ma registra
Cast & Crew
Regia
Michele Aiello
Our Review
In giorni particolarmente caldi per le discussioni su pass verde e diritti negati, vaccinazioni ed effetti avversi, altalene di contagi, l’uscita in sala di questo film è quanto mai opportuna. Innanzitutto, perché non entra in questa polemica (le riprese sono state fatte nel 2020), e in secondo luogo perché vengono presentate storie di vita concrete, scevre da posizioni ideologiche.
Tra tanti, due gli elementi particolarmente belli di questa pellicola.
La dimensione empatica creata. Pazienti, familiari, medici, infermieri e operatori socio-sanitari sono tutti coinvolti: diverse storie che si incrociano tra quelle corsie. I progressi o gli aggravamenti di alcuni pazienti, la difficoltà interiore vissuta dal personale medico e paramedico nel comunicare le cattive notizie alle famiglie, la difficoltà di vedersi impotenti davanti a questo virus ancora poco conosciuto, la gioia di poter dimettere le persone guarite, il dolore nel salutare le vittime che dopo lunghe cure non ce l’hanno fatta. Un’empatia, però, che non travolge colui che guarda: non forza la mano con musica e immagini per portare lo spettatore alle lacrime, non vuole generare un’ammirazione particolare o fomentare la retorica dell’eroismo, semplicemente vuole ricordare che quella del Covid-19 è una vicenda che coinvolge tutti: sicuramente in modo diverso, ma non lascia nessuno indifferente o esterno ai fatti. Le immagini mettono in evidenza come, al di là di ruoli o di idee, le persone sono state costrette a cambiare il loro modo di vivere le relazioni: familiari o professionali che fossero. Non si esprime un giudizio di valore sulla cosa, si constata la grande difficoltà vissuta da tutti nel fronteggiare questo radicale cambiamento.
In secondo luogo, la delicatezza nel raccontare le storie delle persone coinvolte. Ben lungi da desideri voyeuristici, il regista introduce lo spettatore con passo felpato all’interno di queste vite. Telefonate, racconti di vita, lutti e gioie per la guarigione anche se lenta e faticosa: tutto raccontato senza essere invadenti o inopportuni, senza cercare a tutti i costi un certo sensazionalismo irrispettoso.
Trattandosi di un documentario, alcune scelte registiche sono decisive rispetto a quanto fin qui detto.
La fotografia, innanzitutto. Non potendo gestire l’illuminazione degli ambienti, ma servendosi della luce presente nelle diverse situazioni, riuscire a catturare alcuni particolari non è compito facile: eppure il risultato finale è molto gradevole. Così come le inquadrature iniziali di alcuni luoghi della grande città di Brescia, drammaticamente deserti sono di grande efficacia e impatto.
Il commento musicale, nei brevi momenti in cui è presente, è registrato anch’esso dal vivo (in una chiesa, non in studio di registrazione): questa scelta, pur mantenendo elevata la qualità del risultato finale, riesce ad evitare al film di assumere una ieraticità distaccata, un’eleganza troppo ricercata che sarebbe stata in dissonanza le immagini e il messaggio trasmesso fotogramma dopo fotogramma.
In conclusione, un documentario che non desidera essere un monumento a eroi o un memoriale di vittime, ma il racconto di un cambiamento radicale dei rapporti umani reso necessario dagli sconvolgimenti sanitari degli ultimi anni. Cambiamento che, nonostante la sbandierata retorica del “niente sarà più come prima!”, richiederà un grande sforzo per ricostruire quanto è stato distrutto, soprattutto in termini di fratellanza umana.
Autore: Francesco Marini
Details of Movie
Autore | Francesco Marini |
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Etichetta | FamilyVerde |
Paese | ITALIA |
Pubblico | 10+ |
Tematiche (generale) | Malattia |
Tipologia | Documentario |
Valori Educativi | 8 |
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