WE WANT SEX

2010113\'10+  

1968, Dagenham, Essex. La fabbrica della Ford dà lavoro a 55mila operai e a 187 donne, addette alla cucitura dei sedili per auto in un’ala fatiscente, dove si muore di caldo e piove dentro. In seguito ad una ridefinizione professionale ingiusta e umiliante, che le vorrebbe “non qualificate”, le operaie danno vita con uno sciopero ad oltranza alla paralisi dell’industria e alla prima grande rivendicazione che porterà alla legge sulla parità di retribuzione.

Nel 1968, nella fabbrica Ford di Dagenham in U.K. ,187 donne scioperano bloccando il lavoro di 55 mila operai perché rivendicano la parità salariale. Dovrà intervenire lo stesso governo nelle vesti di mediatore e nel 1970 la Gran Bretagna fu tra i primi paesi a proclamare la parità salariale per legge. Il film ripercorre con simpatia questa bella storia, un bell’esempio per tutta l’Europa di democrazia matura


Valori Educativi



Donne operaie cercano di conciliare i loro impegni familiari con una doverosa tutela dei loro diritti.

Pubblico

10+

Un frettoloso incontro d’amore in macchina

Giudizio Artistico



Film di semplice fattura, in grado di trasmetterci l’entusiasmo per questo momento storico che ha sancito la parità salariale fra uomini e donne

Cast & Crew

Our Review

“We want sex”: è quanto appare scritto sul cartello che le donne in sciopero della fabbrica  Ford a Dagenham hanno esposto  quando si si sono recate a Londra per protestare davanti al Parlamento. In realtà il cartello non è stato dispiegato bene e  la frase completa è “We want sex parity”.

E’ questa  l’unica nota pruriginosa di un film che per il resto si concentra sulla storia di tranquille signore tutte casa e fabbrica che offese nella loro dignità prendono progressivamente coscienza della necessità di lottare perché venga riconosciuta alle donne lavoratrici la parità salariale.

All’epoca delle canzoni dei Beatles e delle minigonne di Mary Quant forse una certa aria di contestazione era arrivata anche fra le frugali operaie della Ford: il film  inizia con la loro votazione all’unanimità a favore di uno sciopero per protestare contro la decisione della Direzione di averle declassificate a livello di operaie non specializzate. C’è un po’ di emozione fra loro: hanno sempre sostenuto i loro uomini nelle vertenze sindacali ma è la prima volta che scioperano per motivi che le riguardano direttamente.
C’è anche molto sconcerto nell’organizzazione sindacale (sono tutti maschi) e nella direzione aziendale di fronte a un fenomeno fino a quel momento sconosciuto: dopo una  indagine preliminare è risultato che le scioperanti non sono neanche militanti comuniste.

ll film tratteggia con partecipata simpatia il doppio binario (allora come ora) su cui si debbono muovere queste donne: sono lavoratrici ma anche mogli e madri e i problemi familiari non sono pochi. Rita O’Grady deve partecipare agli incontri con i sindacalisti diffidenti e con il responsabile delle Risorse Umane della fabbrica ma al contempo deve andare a scuola a protestare con il professore che picchia suo figlio e mentre esce di casa il marito le ricorda che non ha più camice pulite da indossare.
Ma le donne sono tenaci e fra loro solidali e la vertenza costringe a chiudere tutta la fabbrica (non ci sono più le coperture dei sedili) fino a diventare un caso nazionale che si impone all’attenzione dell’allora governo laburista di Harold Wilson.

E’ in particolare  Barbara Castle (quindi un’altra donna), Segretario di Stato per il Lavoro che si appassiona alla vertenza. Anche ad alto livello i contrasti non mancano: il Primo Ministro riceve pressioni per non disturbare la principale fabbrica manifatturiera del paese.

Alla fine le donne torneranno al lavoro dopo aver ottenuto il 92% dell’equivalente salario dei maschi e la promessa del governo di varare una legge sulla parità salariale. In effetti  l’Equal Pay Act del 1970 vieterà  per legge la discriminazione sessuale in termini di salario, non senza aver risentito dell’impatto  di una grande manifestazione nazionale dei lavoratori organizzata a Trafalgar Square nel maggio del 1969.

Quando si affrontano temi relativi alla classe operaia in Gran Bretagna, il riferimento di rigore è Ken Loach e questo film non fa che confermare un primato ben meritato. I suoi film  esprimono una forte partecipazione umana ai problemi di chi ha poche risorse materiali: sono le persone il primo interesse dell’autore ed i problemi sociali non sono visti dall’esterno ma si  riverberano nelle loro vite.

Nigel Cole, il regista di We want sex (ma anche di L’erba di Grace e Calendar Girls) doveva affrontare non poche sfide; ricostruire la vita e il modo di pensare degli anni ’60, lo stato d’animo di queste cento donne lavoratrici  impegnate ad affrontare un problema per loro assolutamente nuovo, la situazione politica del tempo con i laburisti al governo. Lo fa con discreto mestiere, mantenendosi in equilibrio fra commedia e dramma ma non riesce a evitare la schematizzazione dei problemi e l’impiego di stereotipi senza molta originalità  sopratutto quando cerca di sintetizzare i problemi della donna di allora:  il modo con cui le mogli sono viste dai loro mariti esclusivamente come sottomesse donne di casa è espresso in modo generico, non contribuisce ad approfondire i personaggi e quando il marito di Rita la rimprovera di averlo trascurato vantandosi di non averla mai picchiata nè di essere andato con altre donne il regista coglie l’occasione per mettere in bocca a Rita  una solenne dichiarazione di principio:  i miei  “sono diritti, non privilegi”.

Il film resta  gradevole per l’ottima interpretazione di Sally Hawkins nella parte di Rita ma sopratutto per un sincero tono di affettuosa commemorazione  (enfatizzato nel finale con i filmati delle vere donne che parteciparono allo sciopero)  di una giusta battaglia che  ha finito per trovare l’appoggio del governo laburista e degli stessi sindacati, nè manca un certo orgoglio per la maturità del  sistema democratico anglosassone.

Il filtro della  memoria  smussa i contrasti e  trasforma in aneddotica una storia ormai conclusa: perfino la moglie del Direttore del Personale della fabbrica solidarizza con Rita (imprestandole un vestito in occasione dell’incontro con il Ministro) e quando Rita e Barbara Castle si ritrovano assieme a rispondere alle domande dei giornalisti, non perdono occasione per scambiarsi apprezzamenti sui vestiti indossati. E’ uno sguardo affettuoso del regista ai bei tempi andati.

Che siano tempi andati è innegabile: la fabbrica della Ford a Dagenham è passata dai 55 mila operai di allora agli attuali 4 mila; al governo laburista fecero seguito ben tre mandati consecutivi  di  Margaret Thatcher  il cui principale obiettivio fu il risanamento di una economia ormai dissestata.

Autore: Franco Olearo

Details of Movie

Titolo Originale Made in Dagenham
Paese Gran Bretagna
Etichetta
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