THE QUIET AMERICAN
Nel Vietnam del 1952 il vecchio e disilluso reporter inglese Fowler vede sconvolta la sua pigra routine e il suo legame con la giovane Phuong dall’arrivo di Alden Pyle, un giovane e cordiale americano che apparentemente si occupa di aiuti umanitari. Imparerà che arriva per tutti il momento di prendere posizione.
Valori Educativi
0Pubblico
Giudizio Artistico
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Cast & Crew
Regia
Phillip Noyce
Our Review
Pubblicato nel 1955 da Graham Greene e, come spesso accade con lo scrittore inglese, basato in parte su esperienze vissute (Greene era stato corrispondente in Vietnam, dove aveva avuto una giovane amante), il romanzo Un americano tranquillo era già stato portato sullo schermo nel 1958 da Joseph Mankiewicz. La chiave di lettura dell’adattamento, però, aveva ribaltato il punto di vista originale allo scopo di sostenere il sempre maggior impegno statunitense nel sud est asiatico, che di lì a pochi anni sarebbe sfociato in una guerra sanguinosa e sfortunata.
Questa nuova versione è certamente più fedele all’originale, anche se qualcuno ha accusato il regista Philip Noyce (Ore dieci calma piatta, Giochi di potere, ma anche l’interessante La generazione rubata) e lo sceneggiatore Christopher Hampton (Le relazioni pericolose, Carrington, Mary Reilly) di aver privilegiato la sfera passionale su quella politica; i due avrebbero dato più importanza al triangolo amoroso rispetto allo sfondo storico su cui si muovono, quello di un difficile passaggio di poteri ed influenze, a cavallo tra il colonialismo vecchia maniera dei francesi (che però è incarnato anche dall’inerte britannico Fowler) e il sistema degli appoggi indiretti portato avanti dagli americani in chiave anticomunista.
In realtà – lo suggerisce il corrispondente inglese (splendidamente interpretato da Michael Caine) all’inizio di questo “giallo” – nel romanzo come nel film la donna oggetto del contendere e il Vietnam conteso tra Francesi, comunisti e militari di dubbia moralità, finiscono per costituire un binomio inscindibile.
Sono entrambi “oggetti” apparentemente incapaci di avere una volontà propria, come eternamente sotto l’effetto dell’oppio, un vizio mostrato in tutto il suo ambiguo fascino, distante solo un passo dalla prostituzione.
Passare da un padrone all’altro, in cerca di chi si prenda cura di loro, magari, come Pyle, con la convinzione inattaccabile di “fare il loro bene”.
In questo senso la pellicola si dimostra straordinariamente attuale e provocatoria nel sottolineare le contraddizioni e i rischi di una politica spregiudicata (e alla lunga fallimentare) come quella portata avanti nel sud est asiatico dagli USA per oltre vent’anni. Non a caso l’uscita, prevista per l’autunno 2001, è stata rimandata per oltre un anno dopo gli attentati di New York, per il timore, comprensibile, che sull’onda della tragedia fosse rifiutata a priori.
Al di là di valutazioni geopolitiche in parte senza dubbio pertinenti, però, il cuore della storia risiede non tanto nel dilemma tra azione (Pyle) e contemplazione (Fowler), quanto nella contrapposizione tra il perseguimento dei propri fini (più o meno buoni), che non disdegna alcun mezzo (ma si nasconde dietro alla cortesia e ai discorsi morali), e la dolorosa decisione di sporcarsi le mani, andando contro all’abituale inerzia, ma con la coscienza che ogni male, per quanto giustificabile e forse “necessario”, resta male.
Fowler, infatti, tipico antieroe greeniano pieno di difetti e di dubbi (ama la giovane Phuong, ma forse solo perché rappresenta il suo ultimo aggancio alla vita, le nasconde una moglie da cui non può, o forse non vuole, divorziare), conserva nel suo cuore un profondo senso del peccato; è questa una dimensione in cui la riflessione puramente politica cede il passo a quella morale (se non religiosa come in altri lavori di Greene), un campo in cui il non agire non è quasi mai un’opzione possibile.
Va notato, tuttavia, che la sceneggiatura risulta in questo senso molto più ambigua, perfettamente in linea con l’abituale poetica di Hampton, più interessato a mettere in rilevo la contraddizione tra l’apparente moralità dell’americano Pyle (disposto a sposare Phuong e che altrove sembra incarnare una visione della vita “sana”) che si traduce poi in crudeltà e la depravazione di Fowler che si diventa alla fine in “virtù”.
Ma resta la possibilità di una lettura che torni in un certo senso alle radici della vicenda e la valuti i personaggi e le loro azioni in un ordine antropologico ed etico più profondo.
Infatti è proprio nello spazio della scelta per l’azione che Fowler riesce finalmente ad aprire gli occhi sulla realtà che lo circonda, sui giochi che si consumano nel paese che lui stesso ha “sfruttato” (nella persona di Phuong), ma anche, per la prima volta, a riconoscere la sua personale e ingiustificabile presa di distanza dalla sofferenza: quella che lo affligge (nascosta con l’oppio e la compagnia di Phuong) e quella della gente comune, usata come merce di scambio in una partita globale che purtroppo resta la tentazione di chiunque abbia potere.
Così se il gesto che alla fine Fowler permette (l’uccisione di Pyle) resta oggettivamente un male, qualcosa di cui rendere conto alla propria coscienza (e non solo), la vicenda, al di là di semplicistiche sovrapposizioni con il presente, è un monito per chi si crede completamente padrone dei destini degli uomini, ma non riesce a riconoscere, e perdonare, il proprio errore e la propria fragilità.
Elementi problematici per la visione: alcune scene sensuali (che non diventano mai esplicite) e vari passaggi con azioni violente o di sangue (sparatorie, attentati,…).
(per gentile concessione di Studi Cattolici)
Autore: Luisa Cotta Ramosino
Details of Movie
Titolo Originale | THE QUIET AMERICAN |
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Paese | USA |
Etichetta | Non classificato |
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