LA FIERA DELLA VANITA”(Cotta Ramosino)

2004110'10+  

Nell’Inghilterra di inizio Ottocento, sullo sfondo delle guerre napoleoniche, si muove l’ambiziosa Becky Sharp, di umili origini ma decisa a farsi strada nella buona società. Le vicende di Becky si incrociano con quelle del bel giocatore d’azzardo Rawdon Crawley, dell’ingenua Amelia Sedley, innamorata dell’orgoglioso George Osborne, e del misterioso Lord Steyne. Anche con l’aiuto di quest’ultimo, Becky riuscirà nel suo scopo, ma la sua caduta sarà rovinosa quando impetuosa è stata la sua ascesa.

Valori Educativi



Ci sono cose importanti nella vita, cose che amiamo, ma cui dobbiamo comunque rinunciare per necessità, che sia quella dettata dalle esigenze di classe o dalla povertà . Bisogna dunque solo stabilire a quale prezzo saremo costretti a vedere la nostra virtù, perché è chiaro che prima o poi questo dovrò comunque accadere.

Pubblico

10+

Alcune scene moderatamente sensuali

Giudizio Artistico



Pur nella lussureggiante eleganza delle ambientazioni e nell’indubbia efficacia degli interpreti, la storia si impantana ben presto nella noia e riesce difficile appassionarsi fino in fondo al destino dei vari personaggi

Cast & Crew

Our Review

Tratto da uno dei più noti romanzi dell’Ottocento inglese e adattato per lo schermo dallo sceneggiatore Julian Fellowes, premio Oscar per Gosford Park (uno che del bel mondo e dei suoi retroscena se ne intende, quindi), diretta dalla regista indiana Mira Nair (Leone d’Oro a Venezia per Monsoon Wedding) e interpretata da un cast angloamericano di tutto rispetto,questa Fiera delle Vanità sembrava avere tutte le carte in regola per bissare i successi di Ragione e Sentimento.

Purtroppo la ricetta classico inglese, sceneggiatore di successo, regista esotico e grandi star che aveva funzionato egregiamente con l’opera di Jane Austen qui non risulta altrettanto appetitosa.

Il problema, va detto a parziale discolpa, risiede almeno in parte nel testo di partenza, un romanzo fiume che, come del resto suggerisce il titolo di sapore vagamente biblico, ha più a cuore la ricostruzione (critica) di un ambiente sociale e di un’epoca che l’approfondimento psicologico dei suoi numerosi personaggi, che faticano a reggere le esigenze di intensità drammatica di una pellicola cinematografica. Questo vale per la protagonista come per i personaggi minori, che hanno una psicologia più vicina a quella di un apologo morale che di un vero romanzo e che sono più o meno tutti definiti da una o due pulsioni elementari: l’ambizione per Becky, l’amore e la bontà per Amelia, l’orgoglio e il senso dell’onore per George, la devozione per Dobbin.

Il punto di vista di Thackeray sulla sua storia, poi, è quello di chi coglie la sostanziale insensatezza delle regole e dei riti del vivere comune e soprattutto di una certa classe sociale, ma nel film della Nair chi condivide questo punto di vista è un personaggio ambiguo (per non dire negativo) come Lond Steyne, il vero responsabile della consacrazione mondana ma anche della rovina di Becky.

Gli spettatori, quindi, sballottati tra punti di vista differenti spesso contradditori, fanno fatica ad immedesimarsi e a palpitare davvero per la lotta di Becky per il riconoscimento mondano (della quale tra l’altro fatichiamo spesso a capire gli alti e i bassi). Benché, infatti, sia evidente il lavoro fatto dagli sceneggiatori per rendere più accettabile ed amabile il personaggio, trasformandola in una sorta protofemminista, una self made woman dell’Ottocento, è spesso difficile anche per lo spettatore più indulgente fare a meno di considerarla un’approfittatrice e una arrampicatrice sociale.

Thackeray, inoltre, era tutto fuorché un romantico e non aveva intenzione di scrivere storie romantiche. Gli sceneggiatori, invece, sono ricorsi a questo espediente vecchio come il mondo per rendere in qualche modo unitario il materiale composito del lungo romanzo, concentrandosi sulle storie d’amore tormentate (quella altalenante di Becky e Rawdon, ma anche quella di Amelia prima con l’orgoglioso e spietato George e poi con il devoto Dobbin). Nessuna di queste però riesce davvero a fondersi con il tema principale della vicenda o a diventarne in qualche modo la spina dorsale (quella della protagonista ha termine molto prima della fine vera e propria della storia e la povera Amelia entra ed esce dalla storia un po’ secondo il comodo degli autori).

Per questo, pur nella lussureggiante eleganza delle ambientazioni e nell’indubbia efficacia degli interpreti, la storia si impantana ben presto nella noia e riesce difficile appassionarsi fino in fondo al destino dei vari personaggi e il tocco di esotismo dei numerosi rimandi all’india, il mondo del sogno che sembra inseguire Becky fin dall’inizio delle sue avventure, sembra più un omaggio alla terra di origine della regista che un elemento davvero essenziale per lo sviluppo della trama.

Forse l’unica morale resta quella enunciata dalla piccola Becky di fronte alla vendita dell’amato ritratto della madre: ci sono cose importanti nella vita, cose che amiamo, ma cui dobbiamo comunque rinunciare per necessità, che sia quella dettata dalle esigenze di classe o dalla povertà (il denaro, ancor più che il rango sociale è il grande dittatore del mondo). Bisogna dunque solo stabilire a quale prezzo saremo costretti a vedere la nostra virtù, perché è chiaro che prima o poi questo dovrò comunque accadere.

Autore: Laura Cotta Ramosino

Details of Movie

Titolo Originale Vanity Fair
Paese USA/GB
Etichetta
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