BLOODY SUNDAY

2002107'16+  

Noi siamo in guerra con i terroristi e in tempo di guerra bisogna fare dei sacrifici”. Così rispondeva il primo ministro inglese Brian Faulkner a quanti esprimevano perplessità sulle leggi d’emergenza varate nell’agosto del 1971 per perseguire i militanti dell’esercito repubblicano irlandese (IRA), leggi che prevedevano la possibilità di incarcerazioni senza processo.

Valori Educativi



Sincera intenzione di lottare pacificamente per i diritti civili. Buone intenzioni di alcuni ufficiali inglesi per contenere il conflitto. Anche se non si è riusciti ad evitare il massacro del Bloody Sunday

Pubblico

16+ Per le scene realistiche degli scontri e l'odio crescente fra le due parti

Giudizio Artistico



Stile sobrio e realistico dei reportage giornalistici. Buona interpretazione del protagonista.

Cast & Crew

Our Review

I “sacrifici di guerra” non si fecero attendere. Il 1971 si concluse con un bilancio di 174 morti e l’anno successivo si aprì con uno degli episodi più drammatici della triste storia degli scontri fra esercito britannico e repubblicani nordirlandesi: domenica 30 gennaio 1972 tredici manifestanti disarmati vennero uccisi dai soldati inglesi lungo le strade della cittadina nordirlandese di Derry. Quella domenica passò alla storia con il triste nome di bloody sunday. Il film omonimo di Greengrass, uscito nelle sale in occasione del trentesimo anniversario della tragedia, è una vivida e appassionata ricostruzione di quel massacro.

Seguiamo l’evolversi  degli eventi attraverso lo sguardo e le azioni di due uomini schierati dalle parti opposte della barricata: il leader irlandese del movimento per i diritti civili Ivan Cooper, interpretato dall’ottimo James Nesbitt (Svegliati Ned), che cerca di organizzare e condurre una marcia pacifica per i diritti civili; e il brigadiere inglese Maclellan, interpretato da Nicholas Farrell (Pearl Harbor, Beautiful People), che, sotto le pressioni del generale Ford, interpretato da Tim Piggot-Smith (Quel che resta del giorno), accetta di assecondare la linea dura contro i manifestanti. Da una parte della barricata Ivan fa di tutto per assicurarsi che la situazione non degeneri. Si affanna a raccomandare ai membri dell’IRA, pochi ma spregiudicati, di non fomentare il disordine e il ricorso alle armi. Cerca di tenere sotto controllo i giovani più vivaci (in particolare Gerry Donaghy, fidanzato con una ragazza protestante). Dall’altra parte il brigadiere MacLellan, alle prese con un generale che intende “impartire una lezione”, “dare un segnale forte”, “arrestare più teppisti possibile”, cerca di mantenere l’uso della forza entro i limiti dello stretto indispensabile. Ma questi limiti, a poco a poco, in una spirale di azioni e reazioni, vanno inesorabilmente alzandosi: avvertimenti, minacce, insulti. Fino all’impiego di idranti, proiettili di gomma, gas lacrimogeni, proiettili veri.  La tensione aumenta. Le informazioni, da una parte e dall’altra, si fanno sempre più confuse. La paura e la rabbia formano un cocktail che porta manifestanti e soldati a distorcere la realtà, a vedere un terrorista armato dove c’è solo un adolescente che fugge terrorizzato. Le frange più estreme prendono il sopravvento e la tragedia si compie in un contesto in cui insulti e minacce in poche ore si sono trasformati in proiettili sparati ad altezza d’uomo.

Paul Greengrass adotta lo stile sobrio e realistico dei reportage giornalistici per raccontare questa storia. La macchina da presa viene quasi sempre portata “a spalla” per dare allo spettatore l’impressione di trovarsi in mezzo ai disordini, di esserne testimone oculare. I personaggi vengono tratteggiati solo in modo essenziale per non disturbare l’effetto documentaristico dell’insieme. I dialoghi sono sempre asciutti e “slabbrati” per evitare ogni rischio di artificiosità. Non c’è alcun commento musicale (ed è invece martellante il suono di telefoni che continuano a squillare, suono che fa un effetto paradossale a contrappunto di scene che non fanno altro che mostrare quanto sia difficile comunicare).

Tutto il film è permeato da un senso di tragica ineluttabilità. Fin dall’inizio si percepisce che la catastrofe finale è insita nel situazione iniziale. Azioni innocenti, da una parte e dall’altra, come la decisione di marciare per i diritti civili e quella di schierare le forze armate per garantire l’ordine, si trasformano nelle premesse sufficienti di un massacro. La massa (il suo “corpaccio” direbbe Manzoni) dei manifestanti e lo “spirito di corpo” dei soldati inglesi prevalgono inesorabilmente sugli individui e sul loro buon senso. Le sequenze mosse e concitate sono scandite da frequenti dissolvenze al nero che comunicano la sensazione di un costante precipitare verso il buio.

E, storicamente, da quell’anno cominciò un periodo davvero buio per tutta la Gran Bretagna. Come dichiara Ivan Cooper alla fine del film, con quella domenica di sangue si era sancita la morte del movimento per i diritti civili. I giovani che ne facevano parte si arruolarono nell’IRA, e negli anni successivi avrebbero insanguinato le strade del Regno Unito.

Il film è stato premiato con l’Orso d’oro 2002 al Festival del cinema di Berlino e con il premio del pubblico al Sundance Film Festival.

Per gentile concessione di Studi Cattolici

Autore: Francesco Arlanch

Details of Movie

Titolo Originale BLOODY SUNDAY
Paese Gran Bretagna Irlanda
Etichetta
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