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110\'10+  

Bilal è un ragazzo curdo di 17 anni, dal portamento atletico (nel suo paese, l'Irak, è stato campione di calcio) che si trova a Calais dopo che ha fallito il tentativo di passare oltre la Manica come clandestino. Il  suo sogno è andare in Gran Bretagna perché la sua ragazza vi si è trasferita con tutta la famiglia. Non gli resta che organizzare l'impresa più disperata:  attraversare la Manica a nuoto;  per raggiungere il suo obiettivo decide di prendere lezioni individuali di nuoto alla piscina comunale. Qui conosce l'istruttore Simon, un uomo rassegnato che sta per divorziare dalla moglie Marion. Simon dapprima appare scettico ma poi inizia a trattare Bilal come un figlio e decide di aiutarlo nella sua folle impresa...

Valori Educativi



Il film affronta il problema delle immigrazioni clandestine senza ideologie ma con grande sensibilità umana

Pubblico

10+

Qualche allusione a possibili atteggiamenti pedofili può non essere indicata per i più piccoli

Giudizio Artistico



Grande bravura dell'autore nell'inserire all'interno di storie personali significati di valore universale e il rigore di un non retorico impegno civile. Ottima interpretazione di Vincent Lindon

Our Review

Calais è il nervo scoperto dell’Europa dove affiorano le tensioni sociali e i conflitti  degli utimi 20 anni. Nello scorso decennio, con la guerra Jugoslava,  arrivano i primi immigrati dalla Croazia, Bosnia, Kosovo; senza soluzione di continuità a loro seguono nuove ondate migratorie dall’Irak, dall’Afghanistan, dal Kurdistan e di nuovo dall’Irak. Sono persone che lasciano  il loro paese per sfuggire ai conflitti  o perché perseguitati  in patria e cercano di trasferirsi in Inghilterra dove molto spesso hanno dei parenti già residenti. Restano però bloccati a Calais perché sono dei sans papier, non hanno i permessi necessari. Da subito associazioni di volontari (sopratutto cattoliche, ma questo particolare non viene citato nel film) si  prodigano per  dar loro un pasto caldo e un minimo di conforto. L’Alto Commissariato dei Rifugiati dell’ONU con l’aiuto della Crocerossa costituisce infine il centro di accoglienza di Sangatte che arriva ad ospitare fino a 4000 persone ma la situazione resta grave, a causa del flusso ininterrotto di immigrati.
Nel 2002 Sarkozy, in accordo con il governo inglese, decide di chiudere il centro di Sangatte. A questa iniziativa si accompagnano leggi severe verso i francesi che vengono scoperti ad aiutare o dare alloggio ai clandestini.  Padre Boutoille, che aveva riaperto nel 2002 una chiesa abbandonata per accogliere i rifugiati d’inverno, viene arrestato. Con queste iniziative drastiche il popolo degli immigrati  cerca tuttora di sopravvivere  accampandosi nella foresta intorno a  Calais mentre  associazioni di volontari continuano a organizzare mense volanti, con il rischio di venir arrestati.

Questa premessa era necessaria per comprendere lo spirito con cui  il regista e sceneggiatore si è posto il meritevole compito di portare in evidenza un problema che non è solo  francese, ma di tutti noi europei.

Philippe Lioret è sicuramente dalla parte dei sans papier ma non ha trasformato il suo film in un pamphlet politico, ha invece interiorizzato il problema, raccontandoci le storie personali del curdo-iracheno Bilal e del francese Simon.  Con uno stile asciutto e un racconto lineare, Lioret non nasconde il fatto che i due protagonisti si muovono spinti  da motivazioni personali: il giovane desidera raggiungere Mina, la ragazza che ama, desiderio che si è trasformato in esasperazione  da quando è venuto a sapere che il padre di lei l’ha destinata a sposarsi con un suo zio,  proprietario di un ristorante avviato. Simon ama sua moglie, che però ha trovato un altro compagno: Marion lo accusa di essere abulico e rinunciatario mentre lei è attiva nel volontariato verso i sans papier.
Simon è cosciente dei suoi limiti caratteriali  (“Bilal ha fatto 4000 km a piedi per rivedere la sua ragazza -dice Simon alla moglie -tu sei andata via e io non ho nemmeno attraversato la strada per fermarti”) e istintivamente si avvicina a Bilal e lo aiuta, inizialmente non per lui, ma per fare qualcosa che possa far piacere a sua moglie.
Così, Simon, spinto dall’amore verso sua moglie accetta di trasformare se stesso e aiuta concretamente Bilal:  in questo modo, progressivamte , anche noi veniamo introdotti assieme a lui nel problema dei sans papier. Simon viene convocato dalla polizia per il semplice motivo di aver offerto un passaggio in macchina a due di loro; i vicini di casa, gretti e sospettosi, gli rendono la vita difficile.

Sarebbe stato molto facile per l’autore caricare le tinte, mostrando poliziotti crudeli, clandestini innocenti malmenati ed affamati. Invece la sua accusa risulta tanto più efficace in quanto  ci mostra come certi nostri comportamenti aberranti sono stati ormai assorbiti nella ordinarietà dei comporamenti quotidiani.
Allo stesso modo, nel confronto fra civiltà così diverse Lioret evita qualsiasi forma di idealizzazione: se nell’occidente ormai avvezzo a tutto, l’aiuto di Simon verso Bilal viene visto solo con il sospetto di un interesse sessuale, i clandestini si accapigliano per questioni di soldi e son disposti a rubare anche nelle case di chi li ospita. Se in occidente ci si separa anche solo per noia, nelle famiglie irakene il padre combina  il matrimonio  della figlia in base ai suoi interessi.

La regia incastona sapientemente l’inizio e la fine della storia fra due eventi ad alta drammaticità: nell’incipit assistiamo al tentativo di emigrazione clandestina all’interno di un camion (i sans papier debbono tenere la testa dentro sacchetti di plastica con il rischio di restare soffocati, per ingannare i rilevatori di anidride carbonica utilizzati dalla polizia)  e alla fine, quando Bilal affronta le correnti e le onde della Manica in pieno inverno, inseguito dalle motovedette della guardia costiera inglese.
La sceneggiatura, di impostazione classica e molto  efficace, usa gli oggetti per simboleggiare ciò che non occorre dire: l’anello di Marion era stato perso al momento della separazione e poi ritovato e donato da Simon a Bilal, nella speranza che il giovane possa trovar l’amore che a lui sfugge; ma poi ritorna nelle mani di Simon, quando  intravede la speranza di un rappacificamento….

Il film può contate sull’ottima interpretazione di Vincent Lindon: grigio e sciatto nel vestire, i suoi occhi tradiscono l’abitudine alla rassegnazione ma la sua forza, calma e pacifica, sta proprio nel non derogare dal suo amore coniugale e nel saper compiere atti di umana solidarietà.
Il film è gravido di riferimenti universali: la capacità trasformante dell’amore,  la scoperta di come un incontro fra esseri umani possa avviarci reciprocamente verso una maggiore responsabilità e maturità di coscienza; la capacità che hanno gli uomini di comprendersi, nonostante le culture siano molto diverse; il valore della politica nel senso più alto di questo termine, vista come gestione di problemi collettivi di non facile soluzione ma per i quali non si può prescindere da un trattamento umano nei confronti dei clandestini, la cui unica colpa è quella di essere vittime di circostanze avverse.

Autore: Franco Olearo

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