UNA CASA ALLA FINE DEL MONDO
Bobby cresce a Cleveland nel clima hippy e trasognato degli ultimi anni Sessanta. Dopo la morte del fratello e dei genitori, trova una nuova famiglia nell’amicizia con Johnatan e sua madre Alice. Ma il rapporto con Johnatan presto si trasforma in un sentimento che va oltre l’affetto… I due si ritrovano negli anni Ottanta a New York, dove Johnatan, ormai gay dichiarato, vive con la strampalata Clare. È l’inizio di un nuovo, e ancora più bizzarro, ménage familiare.
Valori Educativi
Il tempo è tutto ciò che fa muovere il vuoto esistenziale di tre giovani: l’uso di droga, i rapporti omosessuali, un ménage a trois non riescono a renderli felici…
Pubblico
DiseducativoVarie scene a sfondo sessuale, utilizzo di droga nei giovanissimi.
Per il nichilismo della storia
Giudizio Artistico
Storia debole e sconclusionata.
Bravi i protagonisti
Cast & Crew
Regia
Michael Mayer
Sceneggiatura
Michael Cunningham
Our Review
La confusione non soltanto non rende felici, ma genera anche film mediocri.
Una casa alla fine del mondosi rivela l'ennesima conferma di un sillogismo vecchio quanto il cinema: se ogni storia è conflitto, e se ogni conflitto che si rispetti è un conflitto di valori, per scrivere una bella storia è per lo meno necessario avere dei valori da mettere in campo. Buoni o cattivi, ma dei valori: ovvero convinzioni profonde, radicate su una precisa visione del mondo, da tradurre in personaggi, eventi, atmosfere.
È proprio questo semplice ma fondamentale requisito che manca al film dell'esordiente Michael Mayer, la cui sceneggiatura è firmata da Michael Cunningham, già autore del libro che ha ispirato il fortunato The Hours. Questa volta Cunningham si è preso la briga di operare in prima persona il passaggio dal romanzo al copione, ma il risultato è una storia sconclusionata e debolissima, così generica (e menzognera) nel suo messaggio da lasciare lo spettatore inappagato e deluso, se non vagamente infastidito.
Una storia che ha la pretesa di parlare d’“amore”, ma che mette in scena soltanto relazioni incompiute, girandole di sentimenti che si avvitano su se stesse, rapporti fintamente “liberi” ma di fatto costruiti su abissi di solitudine e infelicità.
Una casa alla fine del mondoè, in fondo, la storia di un bambino che non cresce mai. Pur passando attraverso traumi dolorosi e mille diverse “esperienze”, il giovane Bobby non diventa mai adulto.
Siamo a Cleveland nel 1967, in piena era hippy. Il piccolo Bobby, sommerso dai vaghi messaggi d'amore e di pace, cresce senza imparare a distinguere con chiarezza il bene dal male, e forse anche la realtà dalle allucinazioni, dato che l'amatissimo fratello maggiore lo inizia in tenera età all'uso degli acidi e della marjuana.
Ma la tragedia è alle porte: prima la morte del fratello, poi quella dei genitori, e Bobby rimane completamente solo. Mosso da un costante bisogno di calore e di affetto umano, li trova nell'amicizia del coetaneo Johnatan e di sua madre Alice, che diventano la sua nuova famiglia. I ruoli, però, sono estremamente confusi: Alice, quasi ansiosa di liberarsi del suo compito educativo, non solo non fa una piega quando scopre che i ragazzi fumano marjuana, ma anzi si unisce a loro, spinta dalla noia e da una indefinita voglia di sperimentare. Bobby e Johnatan, dal canto loro, collaudano pratiche ben più intime, diventano amanti. Anche in questo caso, Alice lascia che sia, con la solita disarmante aria assolutoria. In fondo, è solo amore. Non bisogna giudicare. Peccato che questa amoralità, prima di essere dannosa sul piano dei contenuti, lo è anche a livello drammaturgico: se per tutti tutto va bene, su cosa entrano in rapporto i personaggi, su cosa si scontrano, in che modo cambiano e si evolvono? Che cosa porta avanti la storia? La risposta è purtroppo tanto semplice quanto povera: nulla, se non lo scorrere del tempo.
Il tempo è l'unico motore di cambiamento, ma è un motore molto debole. Infatti Bobby e Johnatan fluttuano attraverso i decenni, però interiormente non cambiano, sempre in balia delle loro solitudini e del loro indefinito desiderio d'amore.
E così li ritroviamo negli eccentrici e kitsch anni Ottanta. Johantan (un ottimo Dallas Roberts), omosessuale ormai dichiarato, convive con Clare (Robin Wright Penn, anche lei molto brava), bizzarra creatrice di cappelli, da sempre innamorata di lui e decisa a farne il padre di un suo figlio, visto che ormai per lei l'orologio biologico ticchetta implacabile. Bobby (Colin Farrell, molto convincente in un ruolo inconsueto), che nel frattempo è diventato fornaio, li raggiunge nella City: Comincia così un nuovo stravagante ménage familiare. Clare ama Johnatan, ma si innamora di Bobby, Johnatan ama Bobby, Bobby forse ama sia Clare che Johnatan. Perché stupirsi? Come dice Bobby, mentre abbraccia Johnatan sulle note di Mozart, “tutto si può ballare”…
Insomma, quando in qualche modo la realtà bussa alla porta, e Clare rimane incinta di Bobby, i tre si accordano per un compromesso che dovrebbe rendere tutti felici, in barba alla noiosa idea di famiglia tradizionale: andranno a vivere tutti insieme in una “casa alla fine del mondo”, un cottage sperduto in mezzo ai campi, metafora di un’idea utopica e impossibile di amore, ancora quell’affettività “universale” e annacquata vagheggiata ad inizio film.
Ma l’amore, quello vero, implica delle scelte. Anche se il film non lo esplicita in modo cosciente, la parabola esistenziale dei suoi protagonisti è la riprova, per contrasto, di questa semplice ma incontrovertibile verità. La prima a rendersene conto è Clare, forse anche perché il suo nuovo status di madre non le permette più di giocare a fare la donna “libera”. Un giorno capisce di non riuscire più a vivere in quella assurda “famiglia” e chiede a Bobby di andarsene via con lei e la bambina. Ma lui non se la sente di abbandonare Johnatan, che nel frattempo si è ammalato di Aids.
E così, Johnatan e Bobby rimangono soli, nella casa alla fine del mondo, ad aspettare la morte: un finale che simboleggia meglio di ogni discorso l’incompiutezza, la sterilità, l’infelicità della loro esistenza. Ma tutto è, ancora una volta, giustificato e assolto: perché, in fondo, “tutto è amore”…
Autore: Franco Olearo
Details of Movie
Titolo Originale | Home at the end of the world |
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Paese | Usa |
Etichetta | Non classificato |
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