UNA SEPARAZIONE
Simin vuole divorziare dal marito Nader perché l’uomo, per assistere il padre malato d’Alzheimer, ha deciso di rimanere in Iran anziché espatriare con la moglie e la figlia di undici anni. I due si amano ancora, ma per ripicca Simin si trasferisce dai genitori, lasciando soli la figlia e il marito con l’anziano malato. Nader deve assumere Riazeh, una donna incinta che lavora come badante di nascosto dal marito, rigido osservatore della Shari’a. Un giorno Riazeh lega l’anziano al letto e si allontana. Nader ritorna con sua figlia e trova il padre legato, in stato di shock. Al rientro della badante, furioso, la allontana, spingendola fuori dalla porta. La sera stessa viene accusato di aver causato la morte del figlio che Riazeh aspettava, avendola fatta cadere sulle scale. È l’inizio di una guerra di tutti contro tutti, giocata in tribunale, tra menzogne e ipocrisie.
Un doloroso caso di separazione. Un conflitto fra due famiglie davanti al giudice, fra menzogne e mezze verità. Orso d'Oro a Berlino e Oscar 2012 come miglior film straniero
Valori Educativi
Senza virtuosismi e compiacimenti Farhadi coglie l’umanità nella sua tragica e contraddittoria grandezza, dominata dalla menzogna e dall’autoconservazione ma, al contempo, bisognosa di amore e di verità.
Pubblico
10+Poche scene blandamente violente ma in grado di impressionare a causa dell’elevata portata emotiva (ad esempio il maltrattamento ai danni dell’anziano malato).
Giudizio Artistico
La regia si mette umilmente a servizio del racconto e con essa anche la scenografia e l’interpretazione, favorendo una limpida asciuttezza che focalizza l’attenzione sugli eventi narrati, senza --a aggiungere o spiegare. Orso d'oro al Festival di Berlino, Oscar 2012 come miglior film straniero
Cast & Crew
Produzione
Asghar Farhadi
Regia
Asghar Farhad
Sceneggiatura
Asghar Farhadi
Our Review
Con Una separazione l’iraniano Asghar Farhadi, già noto per About Elly, ha meritato un Orso d’oro a Berlino e il plauso della critica internazionale.
Il film sfugge alla censura (che ha costretto al silenzio o all’esilio i conterranei Makhmalbaf, Pnahi e Kiarostami) nel più onesto dei modi, facendo di una circostanza particolare una vicenda universale e riservando il realismo alla resa delle piccose cose del quotidiano.
Nonostante la messa in scena ricordi per certi aspetti il cinema verità, Una separazione è quasi più vicino a una tragedia che a un film di denuncia dei conflitti sociali.
Sebbene le due famiglie protagoniste della contesa appartengano a classi diverse, connotate con estremo realismo sin nelle differenze posturali e di religiosità, i dilemmi che il film pone sono, come quelli della tragedia, universali e insolubili e vertono intorno al rapporto tra giustizia e verità.
Inoltre, proprio come per un'opera teatrale, la forza di Una separazione risiede principalmente nella scrittura dei dialoghi, nella dialettica ferrea con cui i protagonisti si rinfacciano mezze verità, arrancando verso una giustizia offuscata dagli egoismi di ciascuno. In questo il film ricorda Carnage di Polanski, in cui il confronto dialettico tra due coppie vede i buoni intenti trascinati nel magma degli istinti più distruttivi.
Ma in Una separazione non manca anche l’attenzione alla struttura narrativa, alla costruzione del racconto: la progressione della vicenda segue un ritmo cadenzato e coinvolgente che avanza, rivelazione dopo rivelazione, in un movimento a spirale, verso il degenerare del conflitto.
L’abilità di Farhadi emerge anche nella parcellizzazione dei punti di vista, un pluralismo di sguardi che amplifica il realismo e dal quale emergono le mute presenze dell’anziano malato e della giovane figlia di Simin e Nader. La silenziosa corporalità del vecchio padre, che appare come un giudizio e un monito, è lacerante quanto lo sguardo spaesato tra le due bambine delle coppie coinvolte, innocenti testimoni di un’irriducibile verità imbrattata dai maneggi degli adulti.
I personaggi sono resi nella loro complessa chiaroscuralità, senza pietà né sconti, e tuttavia con una tenerezza che non cede di fronte al loro abbruttimento.
Gli unici personaggi granitici sono i giudici che si avvicendano, incarnazione di una giustizia corretta, salomonica, che arriva sin dove può arrivare la buona legge. Ma, come nell’Antigone, va in scena lo iato tra la legge e una giustizia umanamente impossibile, tanto che Nader si trova a dire alla figlia:“la legge non capisce queste cose”.
La regia si mette umilmente a servizio del racconto e con essa anche la scenografia e l’interpretazione, favorendo una limpida asciuttezza che focalizza l’attenzione sugli eventi narrati, senza nulla aggiungere o spiegare.
Senza virtuosismi e compiacimenti Farhadi coglie l’umanità nella sua tragica e contraddittoria grandezza, dominata dalla menzogna e dall’autoconservazione ma, al contempo, bisognosa di amore e di verità.
Il lacerante finale, che ammanta il titolo di un significato più profondo e allegorico, scardina ogni schematismo e lascia lo spettatore nudo di fronte a un dilemma radicale che non può accontentarsi di risposte consolatorie.
Autore: Eleonora Recalcati
Details of Movie
Titolo Originale | Jodaeiye Nader az Simin |
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Paese | IRAN |
Etichetta | Non classificato |
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