LA BICICLETTA VERDE (F. Olearo)

2012 minTutti  

Wadjda ha dodici anni, vive con i suoi genitori a Riyadh ed ha un grande sogno: poter comprare la bicicletta verde per poter gareggiare con il suo piccolo amico; ma alle ragazze è proibito andare in bicicletta e deve escogitare un piano per trovare il denaro necessario per comprarla. L'occasione arriva quando a scuola viene indetto un concorso su chi avrà imparato a memoria le sure del Corano...

La prima regista donna araba è riuscita a realizzare un film direttamente a Riyadh (ma la produzione è tedesca): uno sguardo occidentale sulla condizione femminile in Arabia Saudita 


Valori Educativi



Il film nonostante le molte costrizioni alla loro libertà che debbono subire le donne, manifesta l’esistenza di forti legami familiari,

Pubblico

Tutti

Giudizio Artistico



La storia è gradevole è ben narrata secondo uno stile essenziale neorealista

Cast & Crew

Our Review

E’ indubbio che le registe donne in Medio Oriente hanno un certo successo (in Occidente).

Nelle nostre pagine abbiamo ospitato i lavori di tre registe iraniane: Persepolis di Mariane Satrapi; Lavagne di Samira Makhmabaf, figlia del noto regista, Donne senza uomini di Shirin Neshat. Dal libano E ora dove andiamo? Di Nadine Labaki.

Queste autrici, assieme a Haifaa Al Mansour che ha firmato “La bicicletta verde” hanno una peculiarità: hanno tutte lasciato il loro paese. Se Mariane Satrapi e Nadine Labaki hanno scelto la Francia come patria adottiva, Haifaa Al Mansour ha sposato un diplomatico americano e ora vive in Australia. “La bicicletta verde” è stato in effetti realizzato tramite una co-produzione tedesca in cooperazione con  Dubai Entetrtainment e Abu Dhabi  Film Commission, quindi con il sostegno degli Emirati Arabi, non certo con quello dell’Arabia Saudita dove  non si potrà  vedere questo film se non tramite copie clandestine.

Questi film, se si fa eccezione per Nadine Labaki che beneficia nel suo paese di maggiore autonomia,  riflettono  inevitabilmente uno sguardo  già occidentale  anche se è ancora molto viva la memoria delle tradizioni native. “La bicicletta verde” è una continua sequenza di sottolineature  su come vive una donna nell’Arabia wahabita che inevitabilmente ci provocano turbamento, mentre sono situazioni ben note per chi è arabo.

Il problema è che il mondo arabo wahabita non modificherà mai il suo atteggiamento nei confronti delle donne solo perché  l’Occidentale disapprova; l’unica vera soluzione sarà una lenta e faticosa maturazione interna.

Da questo punto di vista sono molto  più significativi film come Il principe nel deserto  ambientato nell’ Arabia Saudita di inizio secolo che è stato realizzato da arabi e rivolto ad altri  arabi, cercando di proporre una visione più tollerante e più aperta nei confronti delle novità che provengono dall’Occidente, pur all’interno di una fede rigorosamente islamica.

Non resta che ipotizzare che film come questo, che almeno è stato realizzato direttamente a Riyadh con la partecipazione  di Reem Abdullah, una nota e bella presentatrice televisiva araba, possa fungere da provocazione per chi riuscirà a vederlo clandestinamente.

Il film è una minuziosa descrizione di atteggiamenti che le donne non possono assumere e di permessi negati: non solo non possono guidare la macchina (la mamma della protagonista è costretta a pagare un autista per andare al lavoro) ma neanche usare la bicicletta perché per le ragazze ciò potrebbe costituire un pericolo per la loro verginità. Se le alunne a scuola notano che alle finestre ci sono degli uomini, debbono subito rientrare; è loro vietato mettere lo smalto alle unghie, è proibito portare in aula delle foto e durante l’ora di religione le ragazze con il ciclo non possono toccare il Corano. Nei luoghi pubblici debbono indossare l’abaya nera coprendosi  il volto. In casa non possono parlare ad alta voce perché potrebbero essere udite dai vicini  e se si organizza una cena questa è per soli uomini e la padrona di casa deve lasciare le pietanze pronte ai piedi della porta della sala da pranzo. Molto seria è la situazione della madre di Wadjda: dopo il primo parto non è più in grado di avere altri figli e il marito, pur amandola, si sceglie una seconda moglie. Una piccola compagna di scuola di Wadjda, anch’essa di dodici anni che deve andare sposa con un ragazzo di venticinque.
Non manca, da parte dell’autrice, che per il resto si mostra rispettosa per quel che riguarda lo studio del Corano, una stilettata verso i “martiri della fede” e la loro vocazione a  saltare in aria per poi beneficiare in Paradiso di 70 vergini tutte per loro.

Il film di per sé è molto gradevole, raccontato con i modi semplici di uno stile neorealista. La voglia di denunciare la condizione femminile non mortifica la fluidità del racconto. La piccola Wadjda, che  desidera una bicicletta per gareggiare con il suo piccolo amico Abdullah, si può solo qualificare come una piccola peste, contagiata dal consumismo occidentale. Sente continuamente videocassette musicali, usa scarpe Converse All Star; pur di raccogliere i soldi necessari per acquistare la bicicletta si finge devota al Corano e partecipa a una gara religiosa. Disubbidisce alla madre che gli aveva proibito di far installare sul tetto le luci colorate di un loro vicino candidato alle elezioni “perché non è della nostra famiglia”. Alla fine la madre si arrende ed è  lei stessa a comprarle la bicicletta, quasi una ribellione nei confronti di una società che la costringe a condividere il marito che ama con una seconda moglie, quasi un ribadire il diritto di Wadjda di esprimere se stessa in qualunque modo  e di imparare sbagliando.

Autore: Franco Olearo

Details of Movie

Titolo Originale Wadjda
Paese Arabia Saudita Germania
Etichetta
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