THE MIDNIGHT SKY

Polo Nord, 2049. La terra non è più ospitale a causa degli errori degli uomini e i pochi ricercatori ancora presenti in quell’ area vengono evacuati verso rifugi più sicuri. Decide invece di restare Augustine Lofthouse, astronomo di fama mondiale, malato terminale. Rimasto solo nell’osservatorio polare, cerca di mettersi in contatto con la nave spaziale Aether, che aveva avuto il compito di individuare nuovi pianeti abitabili, seguendo le indicazioni dello stesso Augustine. In effetti la navicella sta tornando sulla terra con una buona notizia: un satellite di Giove risulta abitabile. Dopo varie peripezie Augustine riesce a mettersi in contatto con l’astronave e parla con Sully, la responsabile delle comunicazioni. Deve subito raffreddare I loro entusiasmi: tornare sulla terra vuol dire condannarsi a una morte certa ed è preferibile raggiungere il satellite di Giove. Mentre l’equipaggio discute su quale sia la scelta più giusta, Augustine si accorge che non è solo: nell’osservatorio c’è anche una bambina spaventata,Iris, che però sembra muta…
George Cloney, alla sua settima regia, è diventato molto bravo nella messa in scena: i gelidi paesaggi artici, le vuote stanze del laboratorio astronomico, le passeggiate degli astronauti nello spazio cosmico, (che rimandano a 2001 Odissea nello spazio e a Gravity). E’ bravo anche come attore: con una folta barba bianca, il suo volto esprime la perdita di ogni emozione di fronte all’ineluttabilità degli eventi e fa quello che deve ancora fare: cercare di mettersi in contatto con l’equipaggio dell’astronave Aether per convincerli a non tornare sulla Terra. Le lunghe silenziose, solitarie sequenze iniziali, quando Augustine dorme, mangia, si fa da solo le trasfusioni di sangue, contempla il gelido paesaggio del polare, svolgono bene la loro funzione di contrasto rispetto a quell’evento inaspettato che irrompe nella sua vita, la scoperta di Iris, un altro giovane essere umano. Ora si deve preoccupare di un’altra persona, ora non può più disperare ma sperare con lei che la
vita possa continuare. La sotto trama parallela, sull’astronave, è molto meno convincente. I cinque astronauti dell’equipaggio faticano a posizionarsi nel racconto: sappiamo che pensano con malinconia alle loro famiglie, che Sully attende serenamente la nascita del figlio che ha avuto dalla sua relazione con il comandante ma oltre a prendere in giro l’astronauta matricola alle prese con la sua prima passeggiata cosmica, non riusciamo a cogliere la coesione e lo spirito del gruppo. Forse anche le loro emozioni sono rimaste ibernate, dopo quattro anni di viaggio nello spazio. Il film avanza in questo modo e se la presenza della bambina fa salire, nell’animo di Augustine il rimorso per quella vita privata che avrebbe potuto avere e che ha tralasciato optando per una vita spesa nella ricerca, finisce per diventare il simbolo del rimorso di tutta l’umanità per gli errori e gli eccessi che sono stati compiuti. La speranza percepita con la presenza della piccola Iris è troppo debole e su tutto il film aleggia una cappa di cupa fatalità: lo si vede in una sequenza dove viene praticata l’eutanasia e in un incidente spaziale che mostra ancora una volta la fragilità dell’essere umano. Alla fine dobbiamo parlare di lavoro incompiuto: la volontà di esprimere le angosce, le riflessioni di una umanità che rischia l’estinzione resta bloccata da una eccessiva reticenza espressiva dei personaggi e dall’accanimento di eventi funesti che sembrano espressione di un fato ineluttabile, indifferente alla sorte dell'uomo