C’è Margherita, quattordici anni, occhi verdi e capelli neri. Una ragazzina dolce e sognatrice, a un passo dall’inizio del liceo, il giorno in cui suo padre sparisce improvvisamente senza dare spiegazioni. C’è un professore carismatico con un monolocale pieno di libri, tanto entusiasmante con i suoi alunni quanto insicuro nelle decisioni che contano. C’è un ragazzo inquieto e maledetto – Giulio – senza famiglia né sogni, che nell’uomo vede solo menzogne, vive rubacchiando per svago e passa da una ragazza all’altra, senza amore.
Per Margherita la scuola inizia nel momento sbagliato. Si ritrova senza la certezza dello sguardo di suo padre, in un mondo di sconosciuti. A darle coraggio ci sarà la nonna Teresa che è siciliana, la sa lunga, parla in dialetto ed esprime l’amore con i dolci che cucina; poi la compagna Marta, che fa presto a diventare l’amica del cuore e ha una famiglia numerosa e variopinta; infine la storia di Telemaco, che Margherita scopre in un giorno in cui la scuola è chiusa per allagamento, durante una lezione a cielo aperto, su un prato sotto un grande albero.
È Telemaco a far scattare qualcosa nel suo cuore. Il giovane figlio di Ulisse, che un giorno incoraggiato da Atena partì alla ricerca di suo padre, diventando uomo. Margherita deve fare la stessa cosa.
Il secondo romanzo di Alessandro D’Avenia prende spunto da un episodio classico per raccontare un’epopea adolescenziale del giorno d’oggi. Il viaggio di Margherita è soprattutto interiore. È un viaggio dentro se stessa, guidato dall’idea che reagendo alle aggressioni dei predatori possiamo diventare un capolavoro di bellezza, come il mollusco che ricopre di madreperla la scheggia lasciata dentro la conchiglia dal suo aggressore, dando così vita alla perla più preziosa.
La scrittura di D’Avenia è poetica ed impetuosa, a cuore aperto: il mondo e ogni suo dettaglio hanno tanto da dirci, quasi troppo significato da regalarci e si rimane abbagliati. I personaggi di questa storia sono terribilmente sensibili alla bellezza, anche quando vivono vite sbandate, prive di senso. Ed è questo a salvarli. D’Avenia attinge di continuo a immagini classiche e moderne, passa da Omero ai Coldplay, non ha paura di evocare Nietzsche e la Bibbia, antichi proverbi siciliani e scene dei film Pixar. Il mondo che ci racconta, traboccante di lezioni e di significato, è perfettamente ancorato alla realtà quotidiana di un liceo milanese, della vita ordinaria di una famiglia, di piccole situazioni di persone qualunque.
Della storia di Margherita a D’Avenia interessa quello che accade dentro. L’autore non dà troppa corda all’avventura esterna, che pure non manca. La partita si gioca tutta nel cuore dei personaggi. Non importa come risolverai il problema: quel che conta è cosa diventerai nell’affrontarlo. Rispetto al suo primo romanzo, Bianca come il latte rossa come il sangue, D’Avenia ha guadagnato in spessore narrativo, il ritmo del racconto è fluido, movimentato. C’è qualcosa di cinematografico in un montaggio che cambia costantemente il punto di vista – da Margherita al professore, a Giulio e via dicendo – mostrandoci il mondo da differenti angolature, con una visuale molto più ampia e dettagliata.
Cose che nessuno sa piacerà molto soprattutto – ma non solo – ai giovani, assetati di risposte su di sé, per la sua capacità di leggere questa realtà traboccante di senso. È un libro da rileggere, da meditare. Molte frasi sono da incidere nel cuore. La pagina finale sul dolore umano e su come si supera, straordinaria.
Luigi Vassallo