UN DIO VIETATO

2012133 min10+   Ispirazione CristianaUomini e Donne di Chiesa

Quando nel 1931 fu inaugurata la cosiddetta Seconda repubblica spagnola, per i cattolici della penisola iberica iniziarono tempi di feroce persecuzione: si contano più di 6.000 morti (un quarto dei quali sono stati beatificati e 11 canonizzati). Nell’agosto del 1936, appena iniziata la Guerra Civile, a Barbastro, vicino a Saragozza, 51 tra seminaristi e sacerdoti Missionari Claretiani vengono sequestrati e costretti a scegliere tra l’apostasia (della fede e della vocazione) o la morte.

A Barbastro, nel 1936, all’inizio della guerra civile, 51 fra sacerdoti e seminaristi, vennero uccisi dai miliziani. Il film riscostruisce il loro martirio attenendosi rigorosamente ai fatti accaduti. Su Youtube in lingua spagnola; su  DVD in italiano


Valori Educativi



Di fronte all’evidenza della prossima morte 51 sacerdoti e seminaristi sanno trovare nella fede in Dio e nella solidarietà reciproca la forza necessaria per dare valore al loro martirio

Pubblico

10+

Anche se non ci sono dettagli cruenti, le allusioni a gesti di violenza sconsigliano la visione ai più piccoli

Giudizio Artistico



Buone le recitazioni di quasi tutti i protagonisti; il basso budget del progetto, che talvolta viene percepito, non mortifica l’efficacia della narrazione.

Cast & Crew

Íñigo Etayo

Ramón Illa

Produzione

Regia

Sceneggiatura

Our Review

Il vescovo, ormai prigioniero nel seminario, contempla da una finestra il saccheggio della cattedrale e il falò che i miliziani hanno realizzato bruciando tutti gli oggetti sacri. “Sempre lo stesso errore – commenta –  vogliono un mondo migliore costruendolo con il sangue e con il fuoco. Mi chiedo cosa abbiamo fatto di male”. Lo stesso vescovo sarà il primo a esser prelevato, torturato e poi ucciso con tre colpi di pistola alla tempia ma farà ancora in tempo a dir loro che li perdona.

Il film, autoprodotto dalla congregazione claretiana, si vuole attenere con rigore a quanto è realmente accaduto, pur evitando sequenze impressionanti, perché basato su di una sceneggiatura preparata a partire da alcuni scritti rinvenuti alla fine della guerra civile tra i diari dei martiri, riuscendo così a portare alla conoscenza degli spettatori anche alcuni aspetti dell’interiorità di fede e della psicologia dei personaggi.

Il risultato è di grande equilibrio: tanto ai rivoluzionari quanto ai religiosi viene dedicato uno spazio consono per permettere una migliore comprensione della situazione, dei personaggi e delle dinamiche relazionali senza semplificare troppo e senza trattare in modo superficiale un argomento tanto delicato.

Il film ha come tre protagonisti che avanzano in modo progressivo verso la tragedia finale: i miliziani, i sacerdoti con i seminaristi e la gente di Barbastro. All’inizio non ci sono le avvisaglie di quello che sarebbe accaduto dopo: il colonnello José Villalba Rubio si impegna a garantire l’ordine in città; fra gli aderenti al Fronte Popolare c’è ancora chi, come Eugenio Sopena, pur desiderando portare a termine un totale rinnovamento della società in chiave marxista, è cosciente che l’ordine deve essere garantito e che la vendetta per vendetta porta solo altro odio. Sarà proprio la loro partenza verso Barcellona, per combattere sul fronte, a lasciare la gestione della città in mano ai più fanatici.  

Un capitolo a parte è quello dei giovani seminaristi. La testimonianza che riescono a dare è grande. La vita di preghiera mai abbandonata (anche in situazione precaria), la comunione con ostie consacrate fortunatamente trafugate, la fraternità vissuta con affiatamento e solidarietà, diventano gli strumenti per superare la paura del dolore e della morte, forza per resistere anche alle torture e alle umiliazioni. Quella di abbracciare il martirio non è una decisione semplice e presa a cuor leggero né dai superiori né dai seminaristi: più volte viene data loro la possibilità di salvare la vita, abbandonando l’abito talare, ma nonostante la giovane età, i giovani decidono di conservare la fede a scapito dell’esistenza terrena.

Infine c’è il terzo protagonista, il più oscuro: la folla. Una folla che saccheggia le chiese, che esulta quando i seminaristi salgono su un camioncino per andare a morire. “Che cosa abbiamo fatto di male?” è la domanda che si pone il vescovo senza poter ricevere risposta. Anche un seminarista, figlio di contadini, si domanda come mai tanti altri di origine contadina come  lui nutrano tanto odio verso la Chiesa. Se il film costituisce una bellissima testimonianza di martirio in nome della fede, lascia un vuoto narrativo su questo aspetto. Si tratta di una domanda che non ha solo un valore storico ma attuale: come mai la congregazione claretiana ha dovuto lei stessa produrre il film? Questo scorcio di storia, anche se dolorosa, non poteva avere un significato per l’intera nazione e per il resto del mondo?

Le interpretazioni sono molto convincenti anche se non tutti sono dei professionisti; tecnicamente, il film è curato, ma mostra talvolta il basso budget che ha avuto a disposizione. Resta evidente che lo scopo non è quello di concorrere per premi internazionali ma di lasciare alla memoria dei posteri una testimonianza cristiana di alto profilo.

Un film che si unisce ad altri che hanno portato alla luce i fatti legati alle persecuzioni operate durante la guerra civile spagnola: basti pensare a There be dragons di Roland Joffé del 2011 o richiama altri casi di eroico martirio come quello dei monaci benedettini in Algeria nel 1996 ricordato in Uomini di Dio

Autore: Francesco Marini

Details of Movie

Titolo Originale Un Dios prohibido
Paese Spagna
Etichetta
Tematiche (generale)
Tematiche-dettaglio
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