THE BUREAU OF MAGICAL THINGS - LA BIBLIOTECA DELLA MAGIA (prima stagione)


Kyra è una giovane, simpatica ragazza sportiva. Un giorno, durante uno dei suoi allenamenti si imbatte, per errore, su un oggetto magico e, toccandolo, acquisisce lei stessa dei poteri, diventando capace di vedere elfi e fate, invisibili agli esseri umani; fa amicizia con alcuni di loro e, sempre con loro, inizia a frequentare una scuola di magia. Insieme dovranno contrastare i piani di chi vuole dimostrare la superiorità del mondo magico e sottomettere a loro l’intera umanità.
Cosa succede se una ragazza, inavvertitamente, entra nel mondo parallelo degli elfi e fate, scoprendo che hanno un potere che qualcuno vorrebbe utilizzare per sottomettere l’intera umanità? Un thriller profuso di magia adatto per tutta la famiglia. Su Netflix
Un nuovo serial TV, firmato Netflix, con maghi, elfi e fate. Un plot semplice, adatto anche ai bambini. Non sono presenti situazioni particolari di violenza o spaventose, i vari momenti di scontro tra buoni e cattivi, così come le varie creature magiche non incutono paura. La storia lascia spazio anche a momenti di grande ilarità. Le 20 puntate scorrono con leggerezza e agilità. Un giallo, inoltre, si svolge tra le mura della scuola di magia: un’indagine che rende ulteriormente avvincenti gli episodi.
Chi è abituato a saghe di maghi ben più famosi (da Harry Potter a Shadowhunters, a The Magicians, etc.) resterà positivamente sorpreso: rispetto ai più blasonati titoli, infatti, l’ambientazione è molto diversa. Mancano gli scenari quasi gotici, lo stile quasi noir nelle riprese e nei colori. L’ambientazione della grande città con strade, parchi e negozi, il clima allegro (nonostante i piani dei nemici per rovinare tutto) rendono il serial per niente cupo. Anche “l’impostazione didattica” della scuola non ha niente a che vedere con gli altri più rinomati curricola della scuola di stregoneria di Hogwarts: sono pochi studenti e amici che si trovano a fronteggiare un problema comune posto dal professore. Molte cose vengono affrontate direttamente sul campo.
La semplicità della storia, comunque, non va a scapito dell’approfondimento psicologico dei personaggi e delle loro relazioni. L’amicizia è uno dei valori preminenti del serial. I ragazzi riescono a superare grandi ostacoli e risolvere alcuni misteri proprio attraverso la condivisione che nasce dal loro rapporto. Non mancano, come anche nella realtà, momenti di disaccordo, di litigio e di incomprensione: tutti superabili (a volte con qualche fatica) in forza dell’unione tra i membri del gruppo.
A volte le amicizie diventano amori: un altro aspetto squisitamente adolescenziale e ben presentato sullo schermo. A volte gelosie, a volte fraintendimenti, ma anche capacità di aspettare i tempi dell’altro, rispetto e desiderio di costruire qualcosa insieme: insomma, di impegnarsi anche nella relazione di coppia.
Infine, il rapporto con i genitori resta il terzo elemento tipico e ricorrente nei serial teen, che non manca neanche in questo caso. Rapporti a volte non semplici, a volte interrotti per un lutto, a volte faticosi perché le aspettative degli adulti non sempre coincidono con i desideri dei più giovani. Tutti tratti che fanno parte della vita dei protagonisti. Le magie aggiungono un po’ di spettacolarità a tutto ciò.
I giovani attori sono nella parte dei personaggi che interpretano, li rendono credibili e simpatici agli occhi degli spettatori. Anche gli elementi animati non umani (la scala e i vari animali parlanti) contribuiscono a dare un tono divertente all’intreccio.
Apprezzabile è la cura messa negli effetti speciali: essendo imperniato sulla magia, la buona resa grafica dei trucchi è di fondamentale importanza. E il risultato finale, infatti, è notevole anche da questo punto di vista. Il montaggio non è concitato e la durata degli episodi è contenuta (23 minuti circa, non lo standard classico dei 40 minuti): sono aspetti che, ancora una volta, giocano a favore dei più piccoli che così possono meglio seguire le vicende presentate.
Ne emerge, in fin dei conti, un buon prodotto di intrattenimento adatto a tutti. Leggero, senza essere superficiale, ben fatto senza pretese di concorsi per premi internazionali. Una felice conferma del trend attuale delle produzioni australiane (come Unlisted) che riesce a produrre contenuti davvero adatti a dei preadolescenti.
TUA PER SEMPRE


All’ultimo anno dell’high school, Lara si trova, durante le vacanze di primavera, con il padre e le sue sorelle in Corea, per conoscere il paese natio della madre, ora defunta. Intanto il suo ragazzo, Peter, è andato all’università di Stanford, per conoscere l’organizzazione del campus. Al ritorno ne parla con Lara con entusiasmo: il loro piano sta per avverarsi: andare insieme alla stessa università ma se Peter è stato già selezionato, Lara sta ancora attendendo una risposta...
All’ultimo anno dell’High School, i due fidanzatini Lara e Peter scoprono che frequenteranno università diverse. Resisterà il loro amore? Un film romantico che ha il vantaggio di affrontare realtà condivisibili da molti giovani. Su Netflix
Perché questa trilogia (sono già usciti Tutte le volte che ho scritto ti amo e P.S. Ti amo ancora) assieme a The Kissing Booth , sono in testa alla classifica, sulla piattaforma Netflix, nella categoria dei film per giovani?
Si tratta di una interessante risposta del pubblico young: quando bisogna alzare il volume del romanticismo le soluzioni narrative adottate fanno leva su difficoltà insormontabili: lei che può uscire dalla stanza solo di notte; loro due che non si possono toccare; lei o entrambi malati terminali oppure lei di famiglia modesta e lui molto ricco. Il tutto in un contesto dove i genitori non ci sono o risultano indifferenti. In questo film ci troviamo di fronte al più prevedibile e scontato dei problemi: amori nati sui banchi di scuola che devono affrontare un “passaggio di stato”: la scelta della facoltà universitaria rischia di separare gli innamorati proprio all’inizio di una stagione di profonda trasformazione e di definitiva presa di coscienza di sè.
Se questa trilogia ha avuto successo è proprio perché affronta con realismo, senza il carico di snodi drammatici non necessari, la banalità del prevedibile e il tutto avviene fra persone con la testa sulle spalle che hanno il conforto di vivere con (almeno) un genitore che vuole il loro bene (per lei il padre e le sorelle, per lui la madre).
In una delle scene iniziali del film, Lara non osa dire a Peter che non è stata ammessa, anzi gli racconta il falso. Poi, quando si trovano a tu per tu in un bar, lei trova il coraggio di dirglielo. Peter, in un primo momento, è incredulo ma poi, quando comprende la sofferenza vissuta da Lara per il dispiacere di non poter stare insieme all’università, si preoccupa prima di tutto di lei e le chiede: “tu stai bene?” e prova a fare qualche battuta spiritosa per allentare la tensione.
Il film ha un suo valore esclusivo proprio perché mostra la grande “qualità umana” dei due protagonisti. Avevamo già visto, nei due film precedenti, come i due ragazzi fossero in cerca, fin da subito, di un amore profondo e destinassero l’intimità sessuale al momento in cui si fossero accorti che il loro scegliersi potesse essere considerato definitivo (sostenuta, lei, da un padre che controlla): in effetti i due giovani arrivano illibati al terzo film (si potrebbe fare dell’ironia dicendo che ormai la virtù della castità è presentata come un valore solo in opere scritte da coreane -in questo caso Jenny Han - o indiane come Rohena Gera in Sir – Cenerentola a Mumbai). Anche quando la sfida sarà più alta (lei preferirà andare ancora più lontano, alla New York University per seguire la sua vocazione di scrittrice), il modo per superare il problema sarà ancora una volta pensare non a ciò che spiace a se stessi ma al bene dell’altro: se si ama veramente, non si vuole che l’altro mortifichi i suoi sogni ma anzi che li sviluppi e cresca nella sua vocazione. Ovviamente il matrimonio, la costruzione di una famiglia è un’altra cosa, c’è l’impegno verso i figli ma non è ancora questo il problema di Lara e Peter (a meno che vengano fatti altri sequel). Per ora basta la loro frase: “se vogliamo stare insieme per sempre, quattro anni di college non sono così tanti”.
NOTIZIE DAL MONDO


Nel 1870, cinque anni dopo la fine della Guerra di Secessione, il capitano in congedo Jefferson Kyle Kidd gira per i villaggi del Texas e si guadagna da vivere fornendo le ultime notizie apparse sui giornali a un pubblico che non sa leggere. Mentre Kyle è in viaggio, incontra una bambina bianca di nome Johanna, sperduta nel bosco. Era stata rapita dai nativi americani quand’era ancora in fasce (i genitori erano stati uccisi) e Kyle decide di farla salire sul suo cavallo per portarla dai parenti più prossimi. Sarà lo stesso percorso che lo riporterà dalla moglie che non ha più visto dall’inizio della guerra….
Un capitano in congedo e una ragazza orfana viaggiano in un Texas ancora devastato dalla Guerra di Secessione, alla ricerca di un nuovo equilibrio e nuovi affetti. Un film sensibile e ben raccontato. Su Sky
Quindi un nuovo western, dopo tanto tempo. Si apprezzano da subito, grazie a una magnifica fotografia, quegli scenari che ci eravamo dimenticati: immense praterie solcate da un approssimativo tracciato per carri, villaggi che appaiono come dal nulla perennemente immersi nel fango, dove la presenza della legge e dello stato è alquanto labile. Sappiamo che i western alla John Wayne e alla James Steward avevano subito una profonda rivisitazione a partire da Soldato Blu del 1970. Non c’era più l’eroe d’acciaio che portava giustizia e onestà contro le prepotenze e I soprusi dei cattivi di turno ma venivano alla luce le violenze indiscriminate compiute contro i nativi americani. Il filone prosegui con altri titoli (Picccolo grande uomo, Un uomo chiamato cavallo,..fino a Balla coi lupi del 1990). Non possiamo però dire che questo Notizie dal mondo si ponga sulla stessa scia revisionista. Nei primi due filoni citati c’erano eroi molto buoni contro cattivi molto cattivi. Qui c’è una dolente consapevolezza che dividere il male dal bene non sia così semplice. Lo comprende Kyle che ha militato nelle file dei Sudisti e ora pensa, da sconfitto, che anche i confederati abbiano commesso degli errori. Qualcosa di simile può dire Johanna, doppiamente orfana perchè rapita dai nativi americani quando era piccola, dopo che i genitori erano stati uccisi, ha ora perso anche i genitori adottivi, uccisi a loro volta. E’ la violenza ora il nemico da battere e ne è cosciente Kyle che non ama usare le armi: le impiega solo quando lui e la bambina stanno rischiando la vita.
Il film descrive bene anche gli umori della gente del Sud dopo la sconfitta: non amano le imposizioni che vengono da Washington in termini di abolizione della schiavitù, sopportano malamente nei loro territori truppe dell’esercito unionista rimaste per il mantenimento dell’ordine ma anche (sappiamo dalla storia ma reso un po’ superficialmente nel film) che è impegnata ad affrontare una profonda crisi post-bellica a causa delle pesanti condizioni di pace. Un sottofondo difficile e opaco che non è di nessun aiuto per queste due anime in sofferenza. La risposta potrebbe venire trascendendo il proprio esistere e cercando consolazione in una sorta di visione sapienziale. Per Johanna, cresciuta nella tribu degli Iowa, il cerchio dà il senso al tutto: terra cielo, alberi, animali, tutto è unito da un unico spirito. Per Kyle, più pragmatico, il giusto simbolo è la linea retta: andare sempre avanti, come i coloni del tempo, fino a trovare una terra da coltivare. Alla fine sarà un’altra soluzione quella giusta, che naturalmente non riveliano, ma che scaturisce dalla loro necessità vitale di vivere di affetti e di speranza.
Paul Greengrass gestisce bene questa materiale insolito per lui, abituato film stile action (e lo si vede anche qui in una sequenza centrale, ad alta adrenalina). Resta fuori posto un episodio presente a metà film, dove la sceneggiatura ha volute inserire una istanza di proto-sindacale che si chiude rapidamente con una pistolettata alla western, ridondante per l’economia del film. Tom Hanks e Helena Zengel sono convincenti espressioni di una malinconia dolente, di affetti strappati.
THE UNLISTED


Sidney. In una scuola superiore viene avviato un nuovo programma educativo finanziato e gestito da un’azienda, la Infinity Group, che nasconde l’obiettivo di ottenere il controllo delle menti delle persone. Tutto questo attraverso un piccolo chip che viene impiantato in bocca agli studenti. Due gemelli indiani, Drupad e Kalpen Sharma se ne accorgono e, insieme a quattro loro amici, cercano di fermare questo piano per evitare che il medesimo dispositivo elettronico possa essere utilizzato per controllare il comportamento di tutti gli abitanti del mondo.
Due gemelli indiani scoprono che i loro compagni possono esser comandati a distanza da poteri occulti. Misteri e amori fra adolescenti pr un thriller adatto agli adolescenti. Su Netflix
Cosa succederebbe se le giovani generazioni, già pesantemente omologate attraverso i media, venissero condizionati fino a diventare ubbidienti come robot, alla mercé di chi detiene il potere dei mezzi di comunicazione? Chi avrebbe interesse ad ascoltare le poche voci dissidenti? Questo serial di origine australiana garantisce suspense da thriller pur restando rigorosamente adatto alla fascia teen.
Il serial si appoggia su una sceneggiatura avvincente e capace di mantenere il pubblico davanti allo schermo per scoprire sempre qualcosa in più sul mistero che avvolge l’Infinity Group e i suoi progetti. Una trama semplice, che non ricorre ad intrecci particolarmente contorti, ma non banale e gli aspetti fantascientifici accostati al mistero riescono a mantenere alta la curiosità dello spettatore..
I personaggi, in particolare i ragazzi protagonisti della storia, sono ben interpretati e convincenti. Vivono quei momenti che sono tipici della loro età: amicizie, innamoramenti, rapporti non sempre semplici con i genitori o con i fratelli. Il tutto rappresentato senza scabrosità, ma con delicatezza. Anche fra loro però, come fra gli adulti, si formano scelte diverse nel discriminante fra il bene e il male: i più collaborano, sono alleati nel compiere il bene; altri accettano il nuovo regime e denunciano chi non si è “allineato”, per guadagnare un posto di rilievo tra i capiclasse della scuola.
Il valore dell’amicizia, più di altri, viene approfondito: amicizia che si esprime nella lealtà, nella capacità di rischiare e di sacrificarsi, nella disponibilità ad accogliere anche quando è rischioso, nella condivisione di ciò che si possiede. Anche la dimensione dell’affetto familiare trova ampio spazio nella storia. Adolescenti che vengono sostenuti e supportati dai loro genitori. Anche le situazioni di incomprensione che a volte si vedono (in particolare tra genitori e figli), diventano occasione per riallacciare i rapporti tra generazioni. Spicca per la sua presenza positiva la nonna dei gemelli: è colei che porta avanti le tradizioni del paese d’origine anche adesso che si trovano in Australia, si mostra sempre comprensiva e accogliente, mantiene vivi i valori con i quali è cresciuta e continua ad insegnarli anche ai ragazzi. È anche loro complice dal momento in cui capisce che hanno ragione a temere e contrastare l’operato dell’Infinity Group.
I membri dell’organizzazione sono dei cattivi senza appello: persone senza scrupoli e desiderose solamente di potere e di soldi. Si dimostrano disposte a tutto: maltrattamenti e ricatti psicologici sia con i ragazzi che con le loro famiglie. Pur di giungere ai loro scopi, sono pronti a rapire e imprigionare i fuori-lista (ovvero coloro che, non avendo il chip impiantato, non rispondo agli ordini).
La regia e la fotografia sono buone anche se non di particolare pregi. I pochi effetti speciali non sono eccellenti, ma non per questo abbassano la qualità del prodotto finale.
Come tante opere di fantascienza, anche questo serial può essere visto come metafora del mondo contemporaneo: un tempo in cui i media digitali sono diventati pervasivi nella vita di ciascuno, è sempre alto il rischio di smettere di pensare con la propria testa a causa dell’eccessiva esposizione agli schermi. Pericolo, quello della manipolazione delle menti, che può essere ovviato attraverso relazioni forti e consapevolezza. Proprio come “insegnano” i ragazzi del serial.
Sicuramente adatto a ragazzi e adolescenti sia per la qualità della storia, misteriosa senza troppa tensione sia per i valori contenuti e trasmessi.
IO SONO CON VOI


A Lanciano si ricorda il primo miracolo eucaristico riconosciuto dalla Chiesa Cattolica , avvenuto nel VIII secolo . E’ la partenza per un viaggio alla scoperta del beato Carlo Acutis: della sua generosità, altruismo, simpatia contagiosa ma sopratutto alla scoperta delle radici della sua spiritualità.
Un ragazzo morto a 15 anni dichiarato beato dalla Chiesa Cattolica, raccontato nella sua semplicità ma anche nel suo abbandono fiducioso al mistero eucaristico
Poteva esser prevedibile, per far conoscere il beato Carlo Acutis , sviluppare un racconto cronologico della sua breve esistenza. Il documentario inizia invece in modo inaspettato: nelle prime sequenze ci troviamo a Lanciano, dove è avvenuto il primo miracolo eucaristico nel lontano VIII secolo. La sostanza del pane si è trasformata nel corpo di Cristo e la sostanza del vino nel Suo sangue. Mentre un patologo conferma che dalle analisi le reliquie risultano essere vera carne e vero sangue umani, teologi e sacerdoti sottolineano l’eccezionalità della transustanziazione. Perché questo incipit quasi catechistico? Riteniamo che non poteva essere fatta scelta migliore perché se non si comprende il significato e il valore dell’eucarestia, non si può comprendere Carlo Acutis.
L’eucarestia è stata per lui il modo di rendersi intimo con il Signore, il motore della sua esistenza. Lui non comprendeva - racconta sua madre - perché tanta gente si accalchi per vedere un cantante, una partita di calcio mentre le chiese, dove è presente lo stesso Cristo, siano quasi sempre vuote. “Noi siamo più fortunati di coloro che duemila anni fa furono coetanei del Signore: a quei tempi bisognava cercare di trovarsi nel suo stesso luogo e nello stesso tempo: oggi basta entrare nella chiesa più vicina” : ricorda sempre la madre.
Ovviamente il documentario menziona i tanti episodi nei quali Carlo ha reso concreto il suo amore verso il prossimo (comperare un sacco a pelo per darlo a un barbone, dar loro da mangiare) ma è stato anche significativo il gesto di ritornare indietro dal gelataio che per sbaglio gli aveva dato, come resto venti centesimi in più, perché: “anche lui ha una famiglia e lavora per dar loro da mangiare”. Sono attenzioni sociali che colpiscono la fantasia di molti, anche di persone non credenti e finiscono per cristallizzare un’immagine forse troppo semplice, di questo beato. Il documentario invece ritorna sempre, giustamente, al tema dell’eucarestia come fonte di tutto. In una vita spesa nella dimensione eucarsitica, si entra nella coeternità, siamo già nel “tempo di Dio”, il tempo non come kronos ( tempo cronologico) ma come kairos (tempo che ha acquistato un senso).
Per conoscere la vita del beato sono stati intervistati, come già accaduto in altri documentari o programmi televisivi, la madre e il domestico bramino (che si è poi convertito) ma in questo lavoro sono originali l’intervista al suo professore dell’Istituto Leone XIII di Milano, alla sua insegnante di ripetizione quando si trovava ad Assisi e ad alcuni suoi amici d’infanzia.
La mostra sui miracoli eucaristici da lui concepita, è nata proprio dal desiderio di condividere con altri la sua magnifica scoperta (“al sole ci si abbronza; di fronte all’eucarestia si diventa santi). Si preparò a fondo per questo progetto e convinse i suoi genitori a compiere alcuni viaggi, espressamente per fare delle foto che potevano servire. E’ stata anche l’occasione per farci meravigliare della disinvoltura con cui lui, alla sua età, utilizzasse tutti i moderni metodi telematici e visivi per un fine di bene.
Probabilmente verrà riconosciuto patrono di Internet e ciò costituirà per noi un grande vantaggio: quando staremo chattando, preparando filmati da mandare in rete (per fini buoni!), sapremo a chi rivolgerci...
Il documentario è l’ultimo lavoro realizzato da Cristiana Video , disponibile da domenica 21 febbraio in VOD presso il sito (https://vimeo.com/ondemand/carloacutis
HIGH SCORE


Nelle puntate del serial vengono raccontate le trasformazioni che ha subito il mondo del videogame, dagli anni ’70 fino alla soglia del 2000, attraverso le interviste dei più importanti protagonisti che vivono fra le due sponde più significative, gli Stati Uniti e il Giappone ma anche alcuni utenti che sono riusciti a vincere contest internazionali
Come si è passati da Space Invaders sulle game machine da bar ai giochi multi-ruolo e multi-utente, dove migliaia di appassionati partecipano contemporaneamente in rete? Ce lo spiega questo documentario portando in evidenza questa realtà troppo spesso, nel bene e nel male, trascurata
Alla fine degli anni ’70, il gioco che aveva maggior successo fu Space Invaders sulla scia di Star Wars, uscito proprio in quegli anni. Le case produttrici e le sale giochi facevano molti soldi ma in Giappone, non bastava; in particolare al progettista il prof Toru Iwatari, dispiaceva che dai giochi fossero escluse le donne. Questi continui combattimenti contro gli invasori non interessavano il gentil sesso. Un giorno, in una tavola calda aveva ordinato una pizza. Tagliandone un pezzo, ebbe l’intuizione giusta: aveva davanti un mostriciattolo con la testa rotonda e con la bocca aperta: aveva davanti a se’ Pac-Man. Ora anche le ragazze correvano a giocare divertendosi a far mangiare a Pac Man tanti biscotti. Passando dagli arcade da bar alle console da tavolo (Hatari, Nintendo,..) con cartucce intercambiabili i videogame si sono evoluti dal bidimensionale al tridimensionale. Il software invece si è evoluto nei giochi di ruolo, delle vere forme narrative interattive dove il giocatore può compiere delle scelte e interpretare il personaggio che desidera (se il videogioco va alla narrazione, anche la narrazione va al videogioco: recentemente Netflix ha prodotto un film interattivo – Black Mirror: Bandernatch dove è l’utente a scegliere quale direzione far prendere al racconto). Si è infine arrivati all’attuale MMORPG (Massive Multiplayer Online Role-Playing Game) dove migliaia di giocatori possono interagire fra loro interpretando personaggi che si evolvono insieme al mondo che li circonda. Bisogna comprendere che nel settore dell’entertainment, quello dei videogiochi è di gran lunga a maggior fatturato: più del cinema, più del settore musicale. Come ha giustamente fatto notare il prof Giuseppe Romano, in un corso web di Family and Media Education (https://www.familyandmediaeducation.eu/corsi/familyandmedia), se noi pensiamo ai film blockbuster come esempio massimo di investimento nel settore dell’entertainment si deve ricredere; creare un nuovo gioco comporta l’investimento di miliardi che coinvolge migliaia di esperti. Grand Theft Auto ha avuto un budget di 300 milioni di dollari, 50 milioni più alto di Avatar, il film più costoso finora prodotto
Il serial non trascura di raccontare quello che è accaduto quando la grafica ha smesso di essere elementare, adatta ai più giovani e si è evoluta, finendo per interessare anche gli adulti arrivando presto realizzare giochi molto violenti o a contenuto sessuale Si è reso pertanto necessario istituire negli anni ‘80 un criterio di classificazione per la protezione dei minori (PEGI in Europa).
Il serial termina la sua panoramica alla fine degli anni ’90, quando il realismo era ormai impressionante ma non si è ancora arrivati alle connessioni iper-veloci caratteristiche di questo inizio del XXI secolo.
Dispiace che l’interesse che questo serial esprime sia soprattutto industriale, evolvendosi con un hardware sempre più sofisticato e realizzazioni software sempre più coinvolgenti, intesi a realizzare sfide (e soldi) in un crescendo senza fine. E’ totalmente assente una panoramica sul valore educativo dei video game: oltre che essere una dimostrazione di destrezza, i videogiochi hanno un grosso potenziale come ginnastica della mente e forza educativa. Sono molto utili i giochi dove decidi di immedesimarti in Annibale (o in un condottiero romano) per stabilire come organizzare l’invasione dell’italia, oppure scegliere quale nazione essere nei delicati equilibri dell’Europa del 1500. Il prof Giuseppe Romano nel Webinar già citato, propone l’esempio di Minecraft (creare e modificare un mondo fatto solamente di blocchi cubici) che stimola la libera creatività dei giocatori. Appartiene infatti alla categoria dei sandbox si indica un tipo di gioco che mette a disposizione dei giocatori numerosi strumenti, senza imporre un particolare obiettivo da raggiungere.
MYTHIC QUEST - RAVEN'S BANQUET (prima stagione)


Siamo nello studio di sviluppo del videogioco The Mythic Quest . Lo dirige Ian Grimm, un uomo che ha un feeling speciale per carpire il successo con i videogiochi ma è vanitoso ed egocentrico. Poppy Li è responsabile della squadra dei programmatori: difende con aggressività e convinzione le proprie idee ma si considera sottovalutata, in un mondo dominato da maschi; David è il produttore esecutivo che, a dispetto della carica che ricopre, è perennemente ansioso e insicuro. Ci sono ancora: due ragazze addette al controllo qualità (Dana e Rachel); Brad, il responsabile della monetizzazione del gioco e C. W., l’anziano del gruppo, responsabile della struttura narrative dei giochi. Uno staff professionalmente preparato ma un po’ scombinato, che deve affrontare sfide quotidiane, prima fra tutte il giudizio di un quindicenne influencer molto apprezzato che con il suo giudizio è in grado di far crollare i guadagni del gioco così come farli salire
Il serial, pur mantenendo un tono leggero, ricostruisce con fedeltà l’ambiente di lavoro di una società produttrice di videogiochi e le sfide che vanno affrontate
Negli anni ‘70 non erano ancora diffusi i computer ma c’erano le game machine in tanti bar e nelle sale da gioco, con le quali, inserendo un numero adeguato di monete, poter fare il gioco del momento. A un certo punto gli incassi iniziarono a diminuire: gli utenti erano diventati esperti e avevano iniziato ad annoiarsi. E’ in quell’occasione che fu inventato il gioco a più livelli, in modo da spingere il giocatore in una spirale di sfide sempre più complesse. Si era ancora alla preistoria del gaming (ma si guadagnava già tanto) mentre oggi si è arrivati a guadagni stratosferici grazie al MMORPG (Massive Multiplayer Online Role-Playing Game) com’è appunto Mythic Quest, il vero protagonista di questa serie, dove migliaia di giocatori possono interagire interpretando personaggi che si evolvono in un contesto di circostanze sempre mutevoli e più complesse. Ma, ciò che conta per i produttori, più i giocatori sono coinvolti nel racconto, più sono costretti a comperare armi speciali per sconfiggere gli avversari. C’è un dato che forse non è chiaro a tutti: Il settore del gaming genera più incassi di tutto il settore dell’entertainment (cinema, televisione, musica,..) e quindi bisogna parlarne, va fatto conoscere anche chi non si sente appassionato al tema.
Questo serial ha il format di una comedy e lavora sulle battute, crea situazioni comicamente imbarazzanti per i protagonisti, spesso congelati in una rigida stereotipizzazione ma nel fondo, è molto serio, mostrando con realismo strutture, funzioni e problemi di questa particolare realtà lavorativa.
Tutte le puntate si svolgono negli uffici della compagnia, (la fiction può senz’altro esser definita un serial di contesto) e le ambientazioni, le dinamiche relazionali sono oltremodo realistiche: la squadra dei programmatori tutti insieme in una stanza del sottosuolo come operai di una catena di montaggio, le ragazze del controllo qualità che passano l’intera giornata in un salottino insonorizzato davanti a un televisore che con il joistik in mano per scoprire i bugs del programma. Il tutto fra persone in dressing casual, in perfetto stile Silicon Valley.
Le giornate si susseguono nella tensione continua fra sviluppare qualcosa di innovativo e simpatico per migliorare il gioco e rispettare il vincolo stretto di perseguire il mandato primario di aumentare i giocatori e quindi gli incassi. Interessante, a questo proposito, la puntata dove si scopre che alcuni giocatori sono dei neonazisti che si sono raggruppati, all’interno di Mythic Quest, in una squadra d’assalto, sconfiggendo gli avversari: sorge il dilemma etico se annullare l’iscrizione di questa categoria di persone oppure seguire la logica della conservazione di guadagni.
Un discorso a parte merita il bellissimo capitolo 5: una novella sentimentale a se stante ambientata nel mondo dei videogiochi. I due protagonisti non compaiono nelle altre puntate, i dialoghi hanno una superiore qualità; raccontano di un lui e di un lei uniti dalla stessa passione: riuscire a raccontare con i videogiochi qualcosa che possa piacere ai giovani. Ben presto però il successo per uno solo di loro metterà a repentaglio questa bella love story.
Non possiamo aspettarci da questo serial spunti per aprire discussioni sul potenziale valore educativo (o diseducativo?) di questi gioch ma parla piuttosto di esseri umani inseriti in un’organizzazione come tante, intese a fornire un servizio che genera profitti. E sotto questo aspetto il serial risulta positivo perchè persone che vivono a stretto gomito tutta la giornata riescono a sviluppare solidrietà, aiuto quando serve e apprezzamento reciproco.
LEI MI PARLA ANCORA


Nino e Caterina sono sposati da 65 anni, vivono in un paese della Bassa Padana e non possono pensare di lasciarsi. Ma lei muore e Nino parla ancora con lei, nella solitudine della sua stanza. La figlia, che gestisce una casa editrice, pensa che il modo migliore per scuotere suo padre sia impegnarlo nella scrittura di una autobiografia e per questo ingaggia Amicangelo, un ghost writer che finisce per accettare a condizione che venga pubblicato il suo romanzo. I due uomini non possono essere più diversi: Amicangelo è divorziato con una figlia che vede raramente e vive di lavori occasionali; Nino è sereno: ha gestito per anni la farmacia del suo paese, ha due figli che si prendono cura di lui e ora vive dei ricordi di un amore che ha dato un senso pieno a tutta la sua vita…
In un paese della Bassa Padana, una coppia è rimasta felicemente unita per 64 anni e ora che lei non c’è più, è giusto che lui scriva la storia di quel forte amore che si è nutrito di piccole, grandi cose. Pupi Avati incontra Guseppe Sgarbi per un inno all’amore coniugale. Su SKY
Renato Pozzetto e Stefania Sandrelli sono strepitosi nel mostrarci le attenzioni, le premure, le apprensioni di una coppia che ha saputo vivere unita per 64 anni uno accanto all’altra, e ora che Caterina se n’è andata, per Nino assume un significato tutto particolare quello che lei aveva scritto in quel foglietto che gli aveva consegnato un momento prima di entrare in chiesa per il matrimonio: se si fossero dati reciproco e infinito amore sarebbero diventati immortali. E’ quello che percepisce Nino, che continua a confidarsi con lei e a chiederle consigli.
Il film compie un’operazione nostalgia incasellando una serie di singoli, piccoli momenti della coppia passati insieme (partecipano a un cineforum di parrocchia, a un ballo in una rotonda sul Po, compiono una passeggiata in bicicletta,..) e non si impegna a mostrarci in qual modo questo amore coniugale si sia consolidato e sia degno dell’epiteto di immortale. O meglio, sono proprio quei piccoli, elementari momenti di vita, la vera spiegazione. Lo chiarisce bene Giuseppe Sgarbi, l’autore del romanzo da cui è tratto il film, in un’intervista a Repubblica del 2016: “Mi bastava questo mondo: le persone che vi abitavano, le lente stagioni, il fiume e i suoi argini, dove andavo a pescare". Quindi la cultura del vivere con calma, di gustarsi un giorno dopo l’altro, che si oppone a quella del progettare, realizzare se stessi. Un approccio che ha un che di religioso, anche se non si parla mai di fede nel film, perché consente di apprezzare ciò che si ha ricevuto invece che costruito. Ancora Giuseppe Sgarbi: "Alla fine una qualche identità la devi pur avere. Si chiamano radici. Ferrara con i suoi dintorni è il loro mondo. È quello che Dio o la natura ti ha dato. Il resto sono conquiste o disfatte provvisorie".
Pupi Avati non poteva che essere il regista più adatto, maestro di nostalgie per gli anni che furono, e struggente amante della propria terra natia. Se coltivare le proprie radici è importante, lo è anche l’amore per la propria famiglia. Il Nino del film, che sta diventando amico di quel ghost writer dalla vita un po’ incasinata, gli ricorda che la fedeltà coniugale ha un “valore sacrale”: val la pena provarci e riuscirci. Lo aveva già sottolineato Giuseppe Sgarbi nella stessa intervista: “Ogni tanto mi è capitato di rimpiangere la famiglia come luogo della tradizione, dove tutto è pace e ordine”.
Nonostante la bravura degli attori, il tema della nostalgia così ben sviluppato, c’è qualcosa di incompiuto in questo film, come di una aspettativa non rispettata. Verso la fine sembra che ci sia fretta di chiudere, quasi ci trovassimo di fronte a un montaggio incompleto: il percorso di trasformazione di Amicangelo appena accennato, frettolosa chiusura della scrittura del libro, piccoli accenni al lavoro in farmacia, alla passione della coppia per l’arte, quasi riferimenti doverosi ma non sentiti.
L'ULTIMO PARADISO


Nel 1958, fra gli uliveti della Murgia pugliese, i braccianti lavorano nelle tenute di Cumpà Schettino. Il pagamento delle ceste di olive raccolte è l’occasione per il giovane Ciccio di proclamare davanti a tutti che non è più tollerabile che vengano pagati per pochi soldi mentre tutto il guadagno resta nelle mani dei padroni. Molti braccianti si manifestano solidali con lui e Cumpà deve assolutamente trovare un modo per rendere innocua questa spontanea forma di sindacalismo. Ma don Schettino scopre ben presto di avere un altro grave motivo per odiare Ciccio: proprio lui che è sposato con un figlio, è l’amante segreto di sua figlia Bianca…
Nella campagna pugliese alla fine degli anni ’50, si scatena la prepotenza dei padroni, le vendette dei contadini, e amori adulterini innescano rappresaglie e contro-vendette. Un dramma a fosche tinte molto confuso. Su Netflix
L’inizio del film è particolarmente promettente: molto ben filmate le distese degli uliveti pugliesi, ben realizzato l’adattamento delle masserie con gli arredi del tempo e la ricostruzione delle usanze e dei modi di vivere del tempo. Se gli uomini vanno a zappare, le donne si ritrovano al torrente per lavare i panni; quando mariti e figli tornano a casa, secondo lo spirito patriarcale allora imperante, li servono a tavola e le donne mangeranno quando ci sarà tempo. Fra i contadini c’è voglia di andare in America e di ribellarsi ai massari che li sfruttano. La messa in scena della Puglia alla fine degli anni ’50, come fondale del racconto, può dirsi completo.
Poi il racconto si sviluppa ma il tema della protesta dei contadini passa rapidamente in second’ordine: Ciccio trascura i problemi sindacali per portare avanti la sua storia d’amore con Bianca, alla continua ricerca di un posto segreto dove incontrarsi. Da qui in poi la storia si ingarbuglia rapidamente: omicidi seguiti da vendette, cambio di protagonista, accumulo di infedeltà coniugali, violenze sessuali sulle giovani contadine, senza contare il frequente cambio di stile narrativo: dalla tragedia rusticana si passa a sequenze oniriche e alla magia del surreale. A causa della troppa carne al fuoco, lo spettatore finisce per disorientarsi e si salva solo la performance di Gaia Bermani Amaral nella parte di Bianca che rende credibile una giovanile e cocente passione amorosa.
C’è un altro aspetto che disorienta: la mancanza di una bussola etica. Lo spettatore ha la consuetudine di seguire le vicende del protagonista perché costituisce in genere il riferimento positivo o magari è vittima di un’ingiustizia oppure è un cattivo, cosciente di esserlo. Se escludiamo le donne, viste tutte come vittime di una società patriarcale, gli uomini sono uguali nel loro seguire le proprie passioni incontrollate: odio, vendetta, violenza sulle donne, adulterio.
In una sequenza baricentrica del film, Ciccio e sua moglie Lucia si trovano da soli in chiesa, davanti all’altare. Lei sa tutto della relazione del marito ed è venuta in chiesa per pregare, per capire. Lui sviluppa una tesi insostenibile: vuole bene alla moglie e al figlio ma l’amore per Bianca è un’altra cosa (è una fuga, un sogno, come si esprimerà in altri momenti: evidentemente gli è rimasto qualche residuo non consumato di immaturità adolescenziale). La scena si conclude con un’esibizione di pessimo gusto: per dimostrare che lui si sente senza colpa, Ciccio apre il calice e si mangia un’ostia (consacrata? Non si sa) come fosse una merendina per il pomeriggio.
Grazie alla brava Gaia Bermani Amaral, l’amore fra Ciccio e Bianca si veste di toni iper-romantici, di struggente sogno che non può realizzarsi, ma anche questa nota idillica si frantuma perché veniamo a sapere che Ciccio ha avuto in precedenza altre donne, è una sorta di seduttore seriale. Se c’è alla fine un messaggio che può essere colto da questo film, potrebbe essere proprio un elogio all’amore libero.
ADOLESCENTI - ADOLESCENTES


La vita quotidiana di due amiche Emma e Anaïs riprese dal vivo dall’età di 13 anni fino ai 18. Vivono nella cittadina di Brive-La Gaillarde nella Nuova Aquitania (Corèze, Francia). All’inizio frequentano lo stesso collège (scuola media) ma sono di estrazione sociale diversa. Emma, una ragazza spesso insicura, è figlia unica, la madre è un’ispettrice delle imposte, il padre un direttore commerciale; le piace cantare e aspira a diventare un’attrice. Il suo percorso scolastico prevede il liceo e poi l’università. Anaïs, estroversa e passionale, ha una famiglia di estrazione operaia, e desidera iscriversi a un istituto professionale (si sente portata ad accudire bambini o a prendersi cura di anziani) per poter guadagnare e diventare indipendente al più presto. Di loro seguiamo l’evoluzione delle amicizie, i primi amori, i rapporti non sempre facili con i genitori, l’impatto di eventi che hanno scosso la Francia, come gli attentati di gennaio e novembre del 2015…
Due ragazze vengono riprese a intervalli regolari nel periodo che va dai 13 ai 18 anni. Un docu-reality molto interessante sulla maturazione dei millennials. Su Prime Video, audio in francese, sottotitoli in italiano
L’esperimento che ha tentato il regista Sébastien Lifshitz è indubbiamente originale: riprendere due ragazze con una telecamera discreta a intervalli regolari per cinque anni consecutivi durante alcuni momenti significativi della loro esistenza, cogliendo le loro reazioni spontanee in casa, a scuola, in feste con amici o di fronte a fatti di cronaca come i due attentati terroristici che hanno sconvolto la Francia in quegli anni: Charlie Hebdo e Bataclan. Può essere chiamato docu-reality e ha un obiettivo chiaro anche se praticamente irraggiungibile, comune a tanti altri autori: cogliere l’essenza dell’adolescenza, quel non essere più e non essere ancora, relativamente a una specifica generazione, in questo caso quella dei millennials. Nel sottotesto c’è un altro obiettivo, ancora più ambizioso: “catturare” il tempo: cogliere la trasformazione delle protagoniste con il trascorrere del tempo (che si nota anche fisicamente: dai volti paffuti e ancora fanciulleschi delle prime sequenze a quelle di due ragazze ormai formate). Sotto questo aspetto si avvicina al regista Richard Linklater che aveva fotografato, nel film Boyhood la vita di un ragazzo dai 6 anni fino a alla partenza per il college ma in quel caso si è trattata di una fiction.
Il rapporto con i genitori è sicuramente conflittuale per entrambe le ragazze. I genitori sembrano interessarsi esclusivamente dei rendimenti scolastici ma lo fanno in forma ossessiva e sotto forma di minacce, soprattutto quelli di Anaïs ottenendo solo reazioni di fastidio. Anche la mamma di Emma non sembra avere maggior fortuna: cerca maldestramente di aiutare la figlia a completare i compiti a casa ma è troppo oppressiva, creando solo ansia nella figlia. L’attentato a Charlie Hebdo scuote tutta la Francia e a scuola i professori sentono la necessità di parlarne apertamente, di ascoltare le loro reazioni. Dai banchi emerge molta saggezza: non si può ridere di tutto e bisogna sempre conservare il rispetto per gli altri. Anche nelle conversazioni a tavola, Anaïs ha una reazione sorprendente: quando la madre interpreta quello che è successo affermando che le religioni non solo sono inutili ma anche dannose, perché hanno creato e creeranno solo guerre, la ragazza è pronta a sostenere che bisogna fare una netta distinzione: una cosa sono i mussulmani e un’altra cosa i terroristi. Finiscono i 15 anni, sorge l’ansia di passare gli esami di fine collegio ma nasce anche il primo amore, almeno per Anaïs, più appassionata e impulsiva. Nella generazione dei millennials, il tema della “prima volta” è visto ormai, in modo definitivo, come un fatto privato, senza consigli da parte dei genitori. Quando la madre di Anaïs si accorge che la ragazza soffre per essere stata lasciata dal ragazzo, non ha altro da commentare se non: “presto te ne farai un altro”. Le ragazze discutono fra loro su quale sia il momento giusto e naturalmente non arrivano ad alcuna conclusione se non a un generico “quando ti senti pronta”. La conversazione con una ragazza che ha già “saltato il fosso” esprime soprattutto il dispiacere per la sensazione che ha provato, di perdita della propria intimità: per lei sarebbe stato sufficiente scambiarsi un po’di coccole. Si è forse accorta che non si tratta di un nuovo esercizio ginnico e che non è pronta all’amore come donazione totale e reciproca, anche perché nessuno glielo ha mai spiegato.
Emma ha un comportamento sotto certi versi peggiore: ha un atteggiamento apatico, è lontana da una qualsiasi idea di amore e alla fine accetta l’offerta di un ragazzo che glielo ha chiesto esplicitamente, per scrollarsi di dosso questo “problema”.
Sono molte altre le situazioni in cui si trovano le due ragazze ma possiamo concludere che l‘esperimento di Sébastien Lifshitz sia riuscito? Solo parzialmente, proprio perché l’approccio è stato quello dell’esperimento. Le due ragazze sono state messe sotto analisi come fossero dei fenomeni naturali: a fronte di uno stimolo, ci si attende una reazione. In questo modo si è registrato il fenomeno, non ne è stata colta l’essenza. Ci sono ignoti i loro pensieri, i loro intimi convincimenti.
Resta comunque un’iniziativa valida, uno studio onesto di certi comportamenti degli adolescenti di oggi. Se ne ricavano conclusioni non certo esaltanti per quel che riguarda i comportamenti dei genitori come delle ragazze ma comunque veritiero.